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Reato di clandestinità: le buone ragioni per abrogarlo

Inutile e inefficace. Natura e genesi del presunto deterrente contro l’"Ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato", architettato sette anni fa dal governo Berlusconi per aggirare la normativa comunitaria sui rimpatri e oggi mantenuto -dopo dietrofront- dal governo Renzi per non disturbare la "percezione" dei cittadini. 
Intervista a Guido Savio, avvocato dell’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (ASGI)

Abrogare il reato di clandestinità è un atto necessario e di onestà”. Inizia da qui la riflessione a voce alta di Guido Savio, avvocato torinese membro dell’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (ASGI), che ha messo in fila le “buone ragioni” per cancellare quella che definisce una autentica “bufala”. Sono i giorni degli annunci rimangiati del governo Renzi a margine della legge parlamentare che dal 2014 ha fornito la delega all’esecutivo per la depenalizzazione di una serie di reati, e delle interviste del ministro dell’Interno Angelino Alfano, che all’epoca dell’introduzione del reato era inquilino berlusconiano del dicastero della Giustizia.
 
Di fronte alla “pochezza della politica”, Savio ricostruisce il percorso del “vero motivo” per cui il governo Berlusconi e il ministro dell’Interno Roberto Maroni decisero di puntare -non solo mediaticamente- su quel reato, introdotto dalla legge 94 del 2009 (il cosiddetto “Pacchetto sicurezza”) nel Testo unico delle norme sugli stranieri non comunitari all’articolo 10bis (“Ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato”). Un iter cominciato otto anni fa.
 
“Nel 2008 -racconta ad Ae l’avvocato Savio- il Parlamento europeo e il Consiglio hanno adottato la direttiva 115/2008, la cosiddetta ‘Direttiva rimpatri’. Questa norma si poneva due obiettivi: rendere efficaci le espulsioni dei cittadini di Paesi terzi assicurando il rispetto delle garanzie fondamentali. Quella direttiva doveva essere recepita entro due anni, e precisamente entro il 24 dicembre 2010. In quel termine, cioè, gli Stati membri avrebbero dovuto adeguare la propria normativa alla direttiva dell’Ue. Il punto è che questa prevedeva in via ordinaria che l’espulsione non fosse coattiva ma venisse invece comminata con un termine per una partenza volontaria, da 7 a 30 giorni, allungabile ulteriormente ad esempio per comprovate esigenze, come cure o questioni familiari. Deroghe a parte, quindi, l’uso della forza doveva essere esercitato soltanto se non fosse stato possibile disporre l’espulsione con le modalità brevemente riassunte”.
 
Che cosa fece il governo Berlusconi di Maroni e Alfano? 
 
“Fin dal 2002, cioè dalla legge Bossi-Fini, il sistema delle espulsioni italiano è al contrario caratterizzato dall’uso della forza. Le espulsioni sono (o dovrebbero essere) immediatamente esecutive, e la proposizione del ricorso da parte dell’interessato non sospende affatto l’efficacia del provvedimento. Al momento dell’adozione a livello comunitario della ‘Direttiva rimpatri’, le espulsioni nel nostro Paese dovevano essere fatte tutte con la forza, se non in casi particolari. Si comprende bene che il disegno del sistema di espulsioni italiano e quello europeo erano profondamente difformi”. 
 
Dunque?
 
“Il cuore del discorso sta nel fatto che la direttiva prevedeva che i singoli Stati fossero legittimati a non concedere il termine di cui sopra -e quindi a non governare in senso meno coattivo l’espulsione- solamente nei casi in cui l’espulsione fosse conseguente ad una sanzione penale. Ed ecco che Maroni s’inventò il reato di immigrazione illegale”.
 
In che senso?
 
“Il reato è contravvenzionale, cioè prevede come sanzione un’ammenda compresa tra i 5mila e i 10mila euro. In quanto tale, cioè punibile con la sola pena pecuniaria, non è possibile adottare forme limitative della libertà personale (come l’arresto o il fermo di polizia). La sanzione pecuniaria elevata, per presentandosi come segnale forte all’opinione pubblica, è in realtà una misura del tutto inutile, visto che uno straniero irregolare -in quanto tale- non può accendere un conto corrente, essere assunto, intestarsi beni immobili o mobili registrati. Nessuno quindi paga la sanzione, e l’allora ministro Maroni ne era ben consapevole. Ecco quindi che la legge 94 del 2009 attribuisce ai giudici di pace -competenti in materia- il potere di sostituire quell’ammenda pecuniaria con l’espulsione a titolo di sanzione sostitutiva: il primo ed unico caso nella storia d’Italia dove la sanzione sostitutiva è più onerosa della sostituita. Ed è la chiave per aggirare la normativa comunitaria”.
 
Non senza conseguenze paradossali.
 
“Lo straniero che viene sorpreso in condizione irregolare sul territorio italiano deve essere obbligatoriamente espulso in via amministrativa dal prefetto oltreché chiamato a rispondere del reato di cui stiamo parlando. La normativa prevede che il giudice possa effettuare la sostituzione tra ammenda ed espulsione solo se non esistono ostacoli alla sua immediata esecuzione: lo straniero è identificato, ha il passaporto, c’è un vettore disponibile a riportarlo alla partenza. Peccato però che la sussistenza di queste stesse circostanze avrebbe già determinato l’esecuzione dell’espulsione in via amministrativa, con conseguente sentenza d’improcedibilità in sede penale. Se però si celebra il processo penale, vuol dire che l’espulsione amministrativa non è stata eseguita, proprio per la sussistenza di quegli stessi impedimenti che ostano all’adozione dell’espulsione a titolo di sanzione sostitutiva. Capisce la portata dell’inutilità, della bufala?”
 
A sette anni dall’introduzione del reato, parte del ceto politico dichiara di rinunciare all’abrogazione per non “dare agli italiani l’idea di un allentamento della tensione” (Alfano a la Repubblica il 10 gennaio)?
 
“È come se avessimo raccontato per anni che l’acqua santa fosse un rimedio fenomenale per combattere il tumore. Ora è complicato spiegare ai cittadini di averli presi per i fondelli. La pochezza della politica mi pare abbastanza evidente. Ma è sbagliatissimo elevare la percezione di insicurezza a criterio unico di valutazione delle scelte, è la condanna all’inerzia, la rinuncia alle scelte intelligenti, ben argomentate, convincenti e in grado di generare consenso. È una miopia politica senza senso proposta dagli stessi che hanno indotto quella percezione”.

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