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Ragazze senza istruzione né diritti, in Afghanistan aumentano i matrimoni precoci

© Wanman Uthmaniyyah, unsplash

Il fenomeno era già diffuso nel Paese, dove il 28% delle ragazze si sposava prima di aver compiuto i 18 anni, ma a un anno di distanza dal ritorno al potere dei Talebani arrivano segnali allarmanti per l’aggravarsi della violazione dei diritti fondamentali delle più giovani. La denuncia in un report di Amnesty International

“A un anno dalla definitiva presa del potere da parte dei Talebani, la vita di molte donne e ragazze in Afghanistan è cambiata oltre ogni aspettativa. Non possono andare a scuola, lavorare, uscire di casa o vestirsi come preferiscono. Non dispongono di alcun sistema di sostegno o di protezione dalle violenze domestiche, vengono arrestate e detenute arbitrariamente per infrazioni a regole discriminatorie e rischiano di essere costrette a matrimoni a cui non hanno acconsentito. Quando le donne afghane hanno resistito a questi cambiamenti con proteste pacifiche, hanno subito molestie, minacce, abusi, imprigionamenti e torture”.

Lo denuncia il report “Afghanistan: Death in slow motion. Women and girls under Taliban rule” realizzato da Amnesty International sulla base di un centinaio di interviste, condotte tra settembre 2021 e giugno 2022, a donne e ragazze residenti in 20 delle 34 province del Paese. Inoltre sono stati ascoltati sei membri del personale di centri di detenzione, 22 operatori umanitari che lavorano per Ong o per agenzie delle Nazioni Unite e dieci tra giornalisti ed esperti. Il primo luglio 2022 Amnesty International ha inviato i risultati della ricerca -poi pubblicata a fine luglio- al ministero afghano degli Esteri e a quello del Lavoro e delle politiche sociali senza però ottenere alcuna risposta.

Nonostante la caduta del primo governo talebano nel 2001, gli estremisti islamici non hanno mai lasciato il Paese e progressivamente hanno recuperato il controllo su aree sempre più vaste del territorio. A febbraio 2020, con la firma dell’Accordo di Doha, gli Stat Uniti hanno posto fine al conflitto i taliban e nei mesi successivi hanno iniziato a pianificare il ritiro delle proprie truppe (oltre a quelle della coalizione internazionale): il 15 agosto 2022 -dopo aver conquistato una dopo l’altra tutte le principali città del Paese- i Talebani hanno ripreso il controllo della capitale Kabul, decretando la fine della Repubblica islamica dell’Afghanistan.

Dalla presa definitiva del potere, il nuovo governo ha imposto severe restrizioni alla libertà di movimento, di espressione e di accesso al lavoro per le donne, ha chiuso rifugi per le vittime di violenza e soppresso il ministero degli Affari femminili, sostituendolo con quello dei Vizi e delle virtù che si è reso promotore di gravi discriminazioni. Tra le imposizioni più gravi vi è il divieto per donne e ragazze di viaggiare senza un accompagnatore (mahram). Diverse intervistate hanno raccontato che a partire dal marzo 2022 i rappresentati del ministero hanno iniziato a pattugliare le strade della città fermando le donne che non si vestivano in modo conforme o non erano accompagnate da un mahram. Il 7 maggio 2022 il ministero dei Vizi e delle virtù ha emanato un decreto che richiede alle afghane di “coprirsi dalla testa ai piedi”.

Alle imposizioni dei Talebani va ad aggiungersi una situazione economica e umanitaria estremamente difficile. “Anche prima del ritiro delle forze statunitensi e della Nato, l’Afghanistan stava attraversando una più grandi e complesse emergenze umanitarie del mondo, a causa di decenni di guerra, siccità, insicurezza alimentare diffusa e migrazioni interne”, evidenzia il rapporto. A un anno dall’occupazione la situazione è ulteriormente peggiorata: secondo una relazione di aprile 2022 delle Nazioni Unite il 95% della popolazione si trovava in una grave insicurezza alimentare.

Una delle conseguenze più gravi (e temute) del ritorno al potere dei Talebani è stata l’esclusione delle studentesse scuole e università. Nonostante le difficoltà, nel 2018 circa il 40% delle ragazze era iscritto agli istituti secondari; nel 2003 erano appena l’8%. Ma nel corso degli ultimi dodici mesi tutto questo è stato annullato. Il 17 settembre 2021 il ministero dell’Istruzione ha annunciato la riapertura delle scuole secondarie, ma solo per gli studenti maschi, mentre il ritorno in classe delle studentesse è stato costantemente rimandato dal governo con la scusa di adeguare le scuole alle leggi islamiche.

Le università pubbliche, invece, hanno riaperto senza restrizioni nel febbraio 2022 mentre quelle private avevano ripreso i corsi ad agosto 2021. Sebbene formalmente non sia loro vietato studiare, alle ragazze sono stati imposti divieti riguardanti l’abbigliamento, gli spostamenti, la possibilità di frequentare conferenze, accedere a colloqui individuali con professori e di parlare in pubblico. “Sono andata dal mio insegnante per dire che volevo fare una presentazione sulla salute mentale. Mi ha detto che non potevo parlare davanti alla classe. Alle ragazze non è più permesso farlo”, racconta Farida una studentessa dell’Università del Nangarhar intervistata nel report di Amnesty International. I divieti e le repressioni hanno contribuito a creare un ambiente non sicuro per molte ragazze che si sono quindi ritirate dall’università o hanno rinunciato ad iscriversi. Inoltre il divieto di accesso a molte professioni imposto dai Talebani ha privato le studentesse della motivazione per continuare il proprio percorso educativo.

“La maggior parte delle impiegate statali è stata invitata a rimanere a casa, a eccezione di quelle che lavorano in alcuni settori come sanità e istruzione. Nel settore privato la capacità delle donne di continuare a lavorare è variata anche in base alla regione del Paese in cui vive, al settore d’impiego e al singolo posto di lavoro. Tuttavia le persone intervistate da Amnesty International hanno dichiarato di aver osservato il licenziamento di molte colleghe in posizioni di alto livello”, continua il report.

Huda, consulente finanziaria, ha spiegato che questo cambiamento è stato reso evidente quando ha esaminato un sito web che elencava offerte di lavoro. “Si può vedere come le posizioni per le donne siano state limitate -ha spiegato-. Prima utilizzavo la stessa piattaforma ed erano disponibili ruoli di prestigio, ora invece sono tutti ruoli da stagisti e assistenti”. Chi era riuscita a mantenere il proprio impiego ha dovuto sottostare a restrizioni e obblighi come il divieto per infermiere e dottoresse di visitare uomini e avere contatti con i colleghi. Molte lavoratrici hanno denunciato inoltre ispezioni da parte dei Talebani. Shabnam, un’infermiera di 25 anni in un ospedale governativo di Kabul, ha raccontato di avere subito diverse volte questa procedura. “Dicevano che non dovevamo lavorare con gli uomini o comunicare con loro. Poi un giorno mi hanno detto che non avrei dovuto indossare la mia uniforme. Ho risposto che rispetto la mia uniforme, perché ho lavorato duramente per ottenerla e loro non avevano il diritto di dirmi cosa indossare. Uno di loro mi ha dato uno schiaffo, e un altro mi ha puntato la pistola contro e mi ha detto che potevano uccidermi e che non avrei potuto fare nulla”, ha denunciato. A seguito dell’aggressione subita Shabnam ha partecipato alla prima manifestazione di protesta contro i Talebani. Successivamente ha scoperto di essere stata licenziata proprio a causa della sua partecipazione alle proteste.

Nell’ultimo anno diverse donne sono anche state sottoposte ad arresti arbitrari per aver violate le leggi (discriminatorie) imposte loro dal regime talebano. Quattro membri delle strutture di detenzione afghane intervistati da Amnesty International hanno testimoniato che vi è stato un drastico aumento delle donne fermate e imprigionate per essere comparse in pubblico senza essere accompagnate da un familiare di sesso maschile o per accuse legate alla “corruzione dei costumi”. “A volte portano via i ragazzi e le ragazze dai caffè, o se vedono una donna che non è in compagnia di un mahram, possono arrestarla. In passato le persone fermate per questo tipo di violazione non venivano portate in prigione. Il numero aumenta ogni mese”. Secondo gli intervistati le persone arrestate anche per accuse di “corruzione dei costumi” hanno spesso subito torture e trattamenti degradanti.

Il report dedica un approfondimento anche al tema dei matrimoni precoci e forzati: un fenomeno già presente e molto diffuso nel Paese prima del ritorno al potere dei Talebani: secondo gli ultimi dati Unicef, il 28% delle donne afghane di età compresa tra i 19 e i 49 anni si è sposata prima di aver compiuto i 18 anni. Uno dei tassi più elevati al mondo. Amnesty International evidenzia come questa prassi non solo rappresenti una violazione dei diritti delle bambine, esponendole al rischio di subire violenze e abusi da parte dei mariti, ma le esponga al rischio di gravidanze precoci che rappresentano la principale causa di morte per le adolescenti (tra i 15 e i 19 anni) nei Paesi a basso reddito come l’Afghanistan. Sebbene non ci siano dati o ricerche che permettano di valutare in maniera complessiva il fenomeno, ci sono però diversi indicatori allarmanti: a marzo 2022 gli osservatori Unicef hanno segnalato una crescita dei matrimoni precoci sia nelle aree urbane, sia in quelle rurali. Un dato confermato dall’Ong “Too young to wed” che denuncia un drastico aumento di questa pratica nelle provincie di Ghor, Herat e Badghis dove un terzo delle famiglie intervistate era sul punto di obbligare la propria figlia a sposarsi. “In Afghanistan siamo di fronte alla tempesta perfetta per i matrimoni precoci -commenta la direttrice Stephanie Sinclair-. Abbiamo un governo patriarcale, guerra, povertà, siccità, ragazze che non possono frequentare la scuola: con tutti questi fattori combinati tra loro… sapevamo che i matrimoni precoci sarebbero aumentati a dismisura”.

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