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Diritti / Opinioni

Quello che manca nel dibattito sull’intelligenza artificiale

Il primo ministro del Regno Unito, Rishi Sunak, alla plenaria del summit sull'intelligenza artificiale di Bletchley Park © Kirsty O'Connor / No 10 Downing Street

Conoscenze e potere operativo sono nelle mani di pochi soggetti privati. Le richieste di “democrazia algoritmica” restano inascoltate. La rubrica di Lorenzo Guadagnucci

Tratto da Altreconomia 265 — Dicembre 2023

Durante la Seconda guerra mondiale, nella tenuta di Bletchley park, poco distante da Londra, operò il gruppo di ricercatori che, seguendo le indicazioni del matematico Alan Turing, riuscì a decifrare i messaggi criptati trasmessi dal nemico tedesco con la macchina Enigma. Un luogo-mito, dunque, scelto dal premier britannico Rishi Sunak per un summit globale su sicurezza e intelligenza artificiale (Ai), uno dei temi cruciali del nostro tempo.

Nonostante tanta enfasi, difficilmente la Dichiarazione di Bletchley, sottoscritta il 2 novembre 2023, lascerà una traccia storica, ma i suoi stessi limiti dicono qualcosa sullo stato dell’arte. Il testo si è concentrato su un punto: “I rischi per la sicurezza che sorgono alla ‘frontiera’ dell’Ai” e che “possono causare danni gravi, persino catastrofici, sia intenzionali sia non intenzionali”. Per intelligenza artificiale “di frontiera” si intendono quegli sviluppi che i “sistemi” potrebbero generare, sfuggendo al controllo umano. Nasce da qui l’insistenza sui rischi “catastrofici”, addirittura “esistenziali” per la specie umana: una prospettiva decisamente sfuggente e controversa, utile però ad attirare l’attenzione generale.

Il summit alla fine ha partorito i due classici topolini: un impegno non vincolante per alcune Big Tech a sottoporre ai governi alcuni nuovi “prodotti” prima di metterli in commercio e la promessa di redigere ogni anno un rapporto sui rischi globali per la sicurezza. Tutto qui. A Bletchley park non si è detto nulla su rischi forse meno “esistenziali” ma già concreti legati all’uso massivo degli algoritmi: dalla crescente violazione della privacy all’uso sistematico e incontrollato dei dati, dalla “discriminazione algoritmica” nella salute, nel lavoro e nella vita quotidiana, fino alla questione delle questioni: la concentrazione del potere cognitivo e operativo in pochissime mani. Il sospetto è che il paventato “pericolo esistenziale” sia un diversivo per non trattare sul serio i temi più attuali e scottanti. Big Tech dispone oggi di un potere quasi totale sullo sviluppo, l’applicazione e anche sulla ricerca nel campo dell’intelligenza artificiale.

I poteri pubblici sono pressoché impotenti, nonostante la normativa europea attesa per fine 2023 e gli “ordini esecutivi” (concentrati sulla sicurezza) emanati a fine ottobre dall’amministrazione Biden. Non esiste un progetto globale di reale guida pubblica e trasparente di un processo di trasformazione tecnologica e sociale che potrebbe rivelarsi epocale. E c’è di più: non solo il dibattito stenta, ma sta procedendo senza la voce dei cittadini, dei gruppi organizzati, della cosiddetta società civile, in buona parte (ed è vero) ancora poco preparata sul tema, ma ben cosciente e competente in tante sue avanzate espressioni. È in seno a questo nascente movimento per la “democrazia algoritmica” che sta prendendo forma una rivendicazione di apertura, trasparenza, decentramento, in conflitto con Big Tech e in dialogo con governi e Parlamenti.

Sono 28 i Paesi firmatari della Dichiarazione di Bletchley park: Arabia Saudita, Australia, Brasile, Canada, Cile, Cina, Corea del Sud, Emirati arabi uniti, Filippine, Francia, Germania, Giappone, India, Indonesia, Irlanda, Israele, Italia, Kenya, Nigeria, Olanda, Regno Unito, Ruanda, Singapore, Spagna, Svizzera, Turchia, Ucraina, Usa. Più l’Unione europea

Attorno all’intelligenza artificiale è in atto un incontro-scontro sotterraneo e dissimulato fra governi e grandi aziende, gli uni e le altre concordi su molti punti, non belligeranti su quelli più controversi (per esempio la concentrazione di potere e la prevalenza degli interessi privati nella ricerca), sinceramente preoccupati per pochi altri (come la possibile esplosione delle fake news). Manca ancora un’attenzione seria ai diritti, alla partecipazione, all’obbligo di trasparenza. Manca la democrazia.

Lorenzo Guadagnucci è giornalista del “Quotidiano Nazionale”. Per Altreconomia ha scritto, tra gli altri, i libri “Noi della Diaz” e “Parole sporche”

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