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Quello che la campagna di Philip Morris sulla riduzione del danno da fumo non dice

© Luther.M.E. Bottrill - Unsplash

La filiale italiana del colosso del tabacco ha lanciato una campagna per “promuovere un dibattito partecipato e costruttivo su come provare a risolvere il problema del fumo”. Propinando però la propria sigaretta elettronica o a tabacco riscaldato come strumento di “riduzione del danno”. Un’ipotesi smontata dalla comunità scientifica

“Questa è riduzione del danno”, dice il claim di una campagna che mostra un giubbotto salvagente arancione: “Potrebbe funzionare anche per eliminare le sigarette?”. L’iniziativa di comunicazione si chiama Sfumature ed è stata lanciata nel corso dell’estate dalla Philip Morris Italia, la filiale italiana di una delle più grandi major del tabacco a livello mondiale. Le diverse immagini che compaiono sulla pagina Facebook della campagna hanno un unico obiettivo: creare un parallelismo tra vari dispositivi di protezione individuale (come il salvagente, l’uso del casco in moto o delle cinture di sicurezza in auto) e l’uso di sigarette elettroniche e di prodotti a tabacco riscaldato (Heated tobacco products, Htp) come alternative meno dannose alle sigarette “tradizionali” e come un metodi sicuri ed efficaci per ridurre i danni causati dal fumo.
“Piuttosto che stigmatizzare o punire i fumatori -si legge sul sito della campagna- il principio di riduzione del danno cerca soluzioni pragmatiche per aiutare a ridurre i danni causati dal fumo, in particolare per coloro che non possono passare immediatamente da un danno elevato (sigarette tradizionali) a un danno zero (smettere)”.

Un messaggio in aperta contraddizione con le posizioni assunte nel corso degli ultimi anni dai principali istituti di ricerca scientifica e dalla stessa Organizzazione mondiale della sanità, la cui posizione in materia è molto netta: sia le sigarette elettroniche sia gli Htp presentano rischi per la salute e l’approccio più sicuro è quello di non accenderli mai.

In Italia l’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri di Milano, l’Istituto superiore di sanità (Iss), l’Università di Pavia, l’Istituto per lo studio, la prevenzione e la rete oncologica di Firenze (Ispro) sono giunti a conclusioni simili: nello studio, publicato a ottobre 2022 sulla rivista Tobacco control, si afferma che non solo questi sostituti non aiutano a smettere ma al contrario favoriscono la dipendenza nei più giovani (anche minorenni) e le ricadute negli ex fumatori.

La ricerca -finanziata dalla Fondazione italiana per la ricerca sul cancro (Airc)- è stata condotta nel 2020 e ha preso in esame le abitudini di un campione di 3.185 persone, che sono state intervistate una prima volta a marzo e una seconda a novembre, in modo da studiare se e in che modo siano cambiate le loro abitudini nel corso del tempo. “Tra coloro che alla prima intervista non fumavano sigarette ‘tradizionali’, la proporzione di soggetti che ha iniziato a fumarle era nove volte superiore tra gli utilizzatori di sigarette elettroniche e sei volte superiore tra chi faceva uso di Htp, rispetto a chi non si era avvicinato a questi dispositivi -ha fatto notare Roberta Pacifici, che dirige il Centro nazionale dipendenze e doping dell’Istituto superiore di sanità-. Inoltre, tra coloro che si erano definiti ex tabagisti durante la prima fase della ricerca, la percentuale di soggetti che ha ricominciato a fumare era quattro volte maggiore tra chi usava sigarette elettroniche e tre volte superiore tra gli utilizzatori di prodotti a tabacco riscaldato. Non solo, chi è riuscito a smettere era soprattutto chi non faceva uso questi di due prodotti”.

Facciamo un passo indietro e andiamo a osservare più da vicino questi dispositivi che, sebbene siano spesso considerati simili tra loro,  in realtà presentano delle differenze. Le e-cigarette producono aerosol a partire da un liquido (talvolta aromatizzato e che può contenere o meno nicotina) mentre gli Htp utilizzano una vera e propria sigaretta di tabacco che non viene bruciata ma riscaldata a temperature elevate, intorno ai 350 gradi. Una terza tipologia di prodotto sono le puff bar o sigarette elettroniche usa-e-getta, analoghe alle e-cigarette ma pensate per essere consumate e sostituite nel giro di un paio di giorni. 

Confezioni di puff bar © Tobacco endgame

Se gli Htp sono effettivamente derivati del tabacco e con livelli di nicotina paragonabili a quelli delle sigarette “tradizionali”, stabilire gli effetti sulla salute delle e-cigarette presenta diverse difficoltà. “I principali ostacoli nell’analizzare gli effetti di questi prodotti sono la loro estrema varietà e la velocità con cui si rinnova il mercato -spiega ad Altreconomia Silvano Gallus, responsabile del laboratorio di Ricerca sugli stili di vita presso l’Istituto Mario Negri-. Impieghiamo almeno un anno per svolgere una ricerca completa su un liquido per e-cigarette o su un dispositivo e nel frattempo questo potrebbe essere stato sostituto da un nuovo modello o tolto dal mercato”.

La Fondazione italiana per la ricerca sul cancro (Airc), anche se non è possibile analizzare la composizione di tutti i liquidi in commercio, ha rilevato nei vapori delle sigarette elettroniche la presenza di sostanze cancerogene. Tra queste figurano il glicole propilenico, presente nei fumogeni utilizzati in concerti e effetti cinematografici, considerato innocuo per esposizioni limitate ma il cui uso prolungato potrebbe causare irritazioni alle vie respiratorie e, in casi molto rari, anche l’asma. Inoltre, il glicole propilenico, quando riscaldato a temperature elevate, può causare la formazione di formaldeide e acetaldeide, due composti che a elevate concentrazioni risultano cancerogeni. 

La comunità scientifica resta scettica anche sull’efficacia di e-cig e Htp nell’aiutare a smettere di fumare. “Una manciata di test clinici effettuati su un campione di pazienti in setting clinico ha mostrato come le sigarette elettroniche abbiano un tasso di successo maggiore rispetto ai cerotti alla nicotina -riprende Gallus-. Si tratta però di studi controversi, perché effettuati su un pubblico di persone già intenzionate a smettere di fumare e perché non paragona gli effetti delle sigarette elettroniche con trattamenti molto più efficaci dei cerotti alla nicotina, come ad esempio alcune terapie farmacologiche che prevedono la somministrazione di vareniclina o citisina. Tuttavia, le ricerche che si sono concentrate su un campioni casuali della popolazione non hanno mostrato alcuna efficacia nell’aiutare le persone ad abbandonare il tabacco”.

I timori su come i prodotti alternativi siano attraenti per i non fumatori e per gli ex tabagisti sembrano confermati, almeno per quanto riguarda l’Italia, dai dati Istat pubblicati a gennaio 2023 e relativi al 2021 sui consumi dei prodotti smoke free. Il numero di persone che utilizzava le sigarette elettroniche è passato dagli 800mila del 2014 a quasi un milione e mezzo del 2021. Un’abitudine diffusa soprattutto tra i giovani, compresi i minorenni a cui per legge ne sarebbe vietata la vendita: nella fascia di età tra i 14 e i 17 anni il 2,8% ha dichiarato di utilizzare la sigaretta elettronica e il 2,1% i prodotti a tabacco riscaldato, con una maggiore popolarità, pari al 5% per i giovani tra i 18 e i 34 anni. Anche i dati su nuovi consumatori e uso duale sembrano confermare le ricerche: un consumatore su quattro utilizza entrambi i prodotti mentre tre su quattro fumano anche sigarette.

Fonte: Istat, 2023

“Le sigarette elettroniche e a tabacco riscaldato sono pensate proprio per attirare i più giovani -continua Gallus- hanno un design molto discreto e possono facilmente essere nascoste in un astuccio e confuse per evidenziatori. Questo permette anche di evitare lo stigma sociale associato al tabacco. Inoltre, le loro campagne marketing sono spesso rivolte ai giovani, tramite l’utilizzo di social media e influencer o pubblicità”.

Il tema della riduzione del danno è diventato il centro della comunicazione delle aziende in particolare Philip Morris international (Pmi) e British american tobacco (Bat). Il loro obiettivo è quello di presentarsi come alleati dei consumatori e della loro salute. Fulcro della strategia sarebbe la Foundation for a smoke free world: secondo Tobacco tactics, il centro di ricerche dell’Università inglese di Bath, l’ente si presenta come un interlocutore imparziale quando in realtà è interamente finanziata da Pmi. 

Nonostante i rischi siano molti, in diversi Paesi le e-sigarette godono di agevolazioni rispetto ai prodotti tradizionali. Italia inclusa. Secondo un’analisi di Altroconsumo e di Tobacco endgame, l’alleanza per un’Italia senza tabacco, i prodotti smoke free nel nostro Paese godono di una tassazione agevolata al 33% rispetto al 77% applicato alle sigarette tradizionali. Una politica che avrebbe permesso alle aziende di risparmiare 1,2 miliardi di euro in tasse nel solo 2021. Ma i vantaggi non si limitano solo alla questione fiscale, anche le regole sul loro utilizzo sono differenti. Ad esempio, è possibile utilizzare la sigaretta elettronica sul luogo di lavoro o presso ristoranti e bar, se il titolare lo consente.

Uno screenshot del sito della campagna Sfumature

Il nostro Paese è sempre stato una vetrina per questo tipo di iniziative, è stata proprio l’Italia a essere scelta da Philip Morris come punto di lancio della Iqos, la sigaretta a tabacco riscaldato in Europa, nel 2014. Un legame che non si è mai interrotto, complice anche la storica sponsorizzazione della Ferrari. Pmi possiede a Bologna, attraverso le sue filiali, un centro di ricerca e sviluppo che, secondo l’azienda, sarebbe incentrato proprio sui prodotti senza fumo. Tobacco endgame e Altroconsumo propongono di equiparare il prelievo fiscale tra le sigarette e i prodotti alternativi e di aumentarlo per quanto riguarda le prime. “In Italia non sono solo i prodotti alternativi a godere di vantaggi fiscali -conclude Gallus-. Il pacchetto di sigarette ha un costo di sei euro, tra i più bassi in Europa. Aumentandolo non solo si ridurrebbe il consumo di tabacco ma si renderebbe anche più difficile il passaggio dai prodotti ‘senza fumo’ a quelli ‘tradizionali’”.

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