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Economia / Opinioni

Quei pericolosi luoghi comuni che alimentano le diseguaglianze

© Marco Poggioli - Flickr

Dal rialzo dei tassi di interesse alla spesa del Pnrr: scelte politiche e fiscali di corto respiro penalizzano i ceti più deboli. La rubrica di Alessandro Volpi

Tratto da Altreconomia 259 — Maggio 2023

Smentire luoghi comuni, spesso, è un’azione necessaria. Provo a elencarne alcuni, assai ricorrenti. Gli ultimi dati forniti dalla Banca centrale europea (Bce) fanno emergere come, nel caso italiano, l’inflazione non sia trainata dai salari ma dai profitti. In altre parole, non è vero che esiste una spirale “salari-inflazione”, ma la seconda dipende dal fatto che molte imprese hanno aumentato i prezzi in misura assai maggiore di quanto sarebbe stato giustificato dall’aumento dei loro costi.

Un secondo luogo comune riguarda la stessa Bce: l’idea che il rialzo dei tassi sia uno strumento salvifico per le economie nazionali lascia assai perplessi alla luce di numeri puntuali. Nell’arco di nove mesi il costo degli interessi del debito italiano per il periodo 2023-2026 è salito da 186 a 252 miliardi di euro, in pratica 22 miliardi di euro in più all’anno.

Inoltre, la fine degli acquisti di titoli del debito pubblico da parte della Bce, tramite la Banca d’Italia, sta rapidamente riducendo il trasferimento di risorse da quest’ultima alle casse dello Stato che sono state pari, negli ultimi dieci anni, a circa quattro miliardi di euro l’anno. Ciò significa minore disponibilità di spesa pubblica. In sintesi, la povertà cresce e il perimetro degli interventi pubblici ha meno risorse.

Un terzo è quello che sostiene l’assoluta indispensabilità del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) per il nostro Paese. I “negoziati” tra il governo italiano e la Commissione europea in merito a tale strumento sembrano avere un vincolo fermo: la data ultima entro cui devono essere spesi i 191,5 miliardi di euro fissata, in maniera non negoziabile, al 2026. Questo impone, di fatto, una revisione radicale del Pnrr in base al grado di realizzabilità delle opere; in sostanza uno stravolgimento che non potrà rispondere ad alcuna logica che non sia quella dei tempi.

Si tratta di una prospettiva rischiosissima perché tende a privilegiare opere già concepite da tempo e pensate sulla base di necessità ormai superate, scelte peraltro caso per caso, senza una dimensione d’insieme. Il tempo come unico criterio per spendere decine di miliardi finisce per favorire, oltre alla scarsa trasparenza e alla deroga delle regole, l’impegno verso progettazioni decisamente inutili e dannose solo per spendere risorse che animano l’economia per un breve periodo ma non rispondono, appunto, ad alcuna visione.

Il tasso d’inflazione registrato ad aprile sul cosiddetto “carrello della spesa” è del 12,7%, in crescita rispetto al mese precedente.

Esiste un ulteriore luogo comune da smentire. L’inflazione è scesa, ad aprile, al 7,7% ma quella sul “carrello della spesa” è salita al 12,7%. L’aumento dei prezzi si sta concentrando sui beni indispensabili e dunque colpisce in maniera più dura le fasce di popolazione con redditi più bassi. Non è vero, alla luce di ciò, che l’inflazione sta esaurendo i propri perniciosi effetti. Per affrontare questi temi occorrerebbe una riforma fiscale che consentisse, tra le altre cose, di ridurre la pressione sui beni essenziali, allargando però la base imponibile sulle rendite e sui grandi patrimoni.

Non è possibile continuare ad accentuare le disuguaglianze coltivando luoghi comuni, la lista dei quali non può trascurare il riferimento all’effetto salvifico affidato ai bonus cartolarizzati che stanno facendo emergere truffe, e maggiori costi per l’erario, di decine di miliardi di euro.

Alessandro Volpi è docente di Storia contemporanea presso il dipartimento di Scienze politiche dell’Università di Pisa. Si occupa di temi relativi ai processi di trasformazione culturale ed economica nell’Ottocento e nel Novecento.

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