Esteri / Reportage
Le proteste della società civile infiammano il Niger
Gli aiuti economici e il sostegno politico offerti dall’Europa per fermare i flussi migratori non hanno migliorato le condizioni di vita della popolazione. Che scende in piazza contro l’autoritarismo del governo e la sua politica di austerity
Quando Moussa Tchangari prende la parola, all’ombra della tettoia dell’Espace Frantz Fanon, il pubblico si fa silenzioso. Braccia si stendono, per registrare il discorso con il cellulare. “Oggi è un giorno speciale: esattamente 27 anni fa, a pochi chilometri da qui, la democrazia faceva capolino nella storia del Niger”. Quarantanove anni, mani lunghe e un fisico asciutto, Tchangari è il decano degli attivisti del Paese africano e padrone di casa: lo spazio è proprietà di Alternative Espaces Citoyens, l’ong che Tchangari ha creato sulla scia della conferenza nazionale, il summit di partiti e società civile che, nel luglio 1991, chiudeva decenni di regime militare in Niger.
“Siamo il movimento più forte in Niger dal 1991, e sappiamo che il multipartitismo introdotto allora, è stato tradito”, continua Tchangari, agitando la mano come un direttore d’orchestra. “Ora la palla passa a noi, dobbiamo trasformare la frustrazione che attraversa il Paese, scacciare la paura che domina le nostre vite”. Un applauso gli copre la voce quando ringrazia “voi tutti, che mi avete sostenuto, in quattro mesi di prigionia: la lotta continua”.
Nouhoua Arzika e Ali Idrissa, gli altri due leader della società civile incarcerati, e liberati con Tchangari a fine luglio 2018, si alzano poco dopo, mentre un militante leva i pugni ripetendo “yaki kulum”, la lotta continua in lingua hausa. “Saremo ancora prigionieri fino a quando tutti i nostri non saranno liberati”, dice Idrissa al microfono, ricordando i 23 attivisti rimasti in detenzione. Arzika, il più caloroso fra i tre oratori, conclude portando alla mente il monito di Paolo Borsellino: “Chi ha paura di morire, muore tutti i giorni”. Terminato l’incontro, i militanti del Cadre de concertation de la société civile, che riunisce una decina di organizzazioni, si riversano in strada, parlando animatamente. Qualcuno insegue i tre leader per una foto. Fuori, il calore di Niamey è stemperato dalle prime piogge della stagione. E per la prima volta da mesi, l’Espace Frantz Fanon non è circondato da pick-up carichi di poliziotti.
Cominciate nel novembre 2017, dopo l’approvazione della legge finanziaria per il 2018, le mobilitazioni contro la loi finance sono cresciute nei mesi successivi, contagiando in poco tempo quasi tutte le città del Niger. Per Tcherno Hamadou Boulama, coordinatore di Alternative Espaces Citoyens, “sono la reazione a un autoritarismo crescente, figlio di una strategia della tensione orchestrata dal presidente della Repubblica, Mahamadou Issoufou, con la complicità dei partner europei”. L’Unione europea e alcuni stati membri, spiega Boulama, seduto nell’ufficio dell’associazione, “hanno offerto appoggio a un regime disposto a tutto, pur di rafforzarsi: a ospitare basi militari straniere, ad aprire centri per migranti e criminalizzare i movimenti verso Nord”. La preoccupazione per le nuove misure fiscali, che ha spinto decine di migliaia di persone in piazza, si è saldata progressivamente con l’insofferenza verso politiche considerate impopolari, quando non dannose.
Moussa Tchangari è stato arrestato la mattina del 25 marzo 2018, sulla soglia del suo ufficio. Alcune ore dopo era il turno di Ali Idrissa, direttore della televisione Labari e segretario di ROTAB (Rete delle organizzazioni per la trasparenza e l’analisi del budget). Dopo averlo preso, sulla porta degli studi televisivi, gli agenti hanno arrestato anche l’avvocato Lirwana Abdourahmane, suo ospite in una trasmissione, e Nouhou Arzika, animatore del “Movimento per la promozione della cittadinanza responsabile”. Mentre quattro dei volti più noti delle proteste venivano ammanettati, almeno 35mila persone scendevano in strada nelle stesse ore, al culmine di mesi di mobilitazione.
“Il presidente Issoufou non ha fatto nulla per migliorare la vita dei nigerini, mentre ha trasformato il Paese in un gendarme per l’Occidente” – funzionario Ue
Tra gli elementi critici della finanziaria 2018, secondo i contestatori, la crescita della soglia minima di tassazione sul commercio al dettaglio, l’aumento dei prelievi su trasporti e money transfer, l’innalzamento delle tariffe di elettricità e acqua corrente e una tassa sulla proprietà prelevata dalle utenze domestiche. Misure di austerità, in uno dei Paesi più poveri del mondo, a cui solo una Repubblica Centrafricana devastata dal conflitto ha rubato, nel 2017, l’ultimo posto nell’Indice globale di sviluppo umano.
Ad appoggiare le riforme, una troïka composta da Fondo monetario internazionale, Banca mondiale e Unione europea, su forti pressioni francesi. Condizionato dai donatori e da dati macroeconomici allarmanti -un debito pubblico che supera il 45% del prodotto interno lordo, una spesa militare in crescita vertiginosa, che con il comparto sicurezza tocca il 21% del Pil e una dipendenza annosa da aiuti internazionali- il governo di Mahamadou Issoufou, al secondo mandato, ha così adottato misure drastiche. “Le proteste non sono minoritarie, come vorrebbe far credere il governo”, dice un funzionario europeo di stanza nel Paese, che chiede l’anonimato. “Il presidente Issoufou è stato uno dei protagonisti del summit Ue-Africa sulle migrazioni a La Valletta, nel novembre 2015 -prosegue- ma i fondi europei che si sono riversati nel Paese, in cambio del contrasto alle migrazioni, sono diventati strumento di cooptazione politica”.
La renaissance, come Issoufou ha chiamato pomposamente il suo programma politico, “non ha fatto nulla per migliorare la vita dei nigerini, mentre ha trasformato il Paese in un gendarme per l’Occidente: per l’Unione europea che vuole fermare le migrazioni verso la Libia, per Francia e Stati Uniti che dispiegano truppe e droni per controllare i Paesi vicini e contrastare l’influenza cinese”. Secondo Tcherno Hamado Boulama, le proteste in corso nel Paese hanno due elementi di novità: “Il fatto che il governo non abbia mai aperto uno spiraglio per il dialogo con la società civile, come invece era successo nel 2005, dopo una riforma simile, e il fatto che l’Ue e singoli Stati membri non abbiamo alzato la voce, chiedendo di mettere fine a detenzioni arbitrarie, processi politici e violazioni delle libertà fondamentali”. Al contrario, sostiene l’attivista, “forte di un sostegno percepito come incondizionato, Issoufou e il ministro dell’Interno Mohamed Bazoum hanno creato uno Stato di polizia”.
Il legame tra controllo delle migrazioni e mobilitazioni sociali, diventa evidente ad Agadez, 900 chilometri a Nord-Est della capitale Niamey. È qui, alle porte del Sahara, che il governo ha tracciato nel 2016 una linea invisibile, oltre la quale solo i nigerini possono spingersi. Per senegalesi, nigeriani, ghanesi e cittadini di tutta l’Africa occidentale, abituati a transitare in città prima di attraversare il deserto, diretti in Libia e talvolta in Italia, il Nord del Niger è terra proibita. Centinaia di passeurs, autisti e facilitatori, sono stati arrestati, mentre migliaia di migranti venivano riaccompagnati alle frontiere meridionali del Paese.
“Qui ad Agadez non protestiamo solo contro la finanziaria -spiega Mohamed Alkontchi- ma anche contro la legge 36 sulla migrazione, che ha criminalizzato un’attività vitale per la nostra comunità, che vive da sempre dell’ospitalità e del trasporto dei viandanti”. Ex combattente ribelle, fiero di un’identità tuareg “che rappresenta il miglior antidoto a ogni fondamentalismo”, Alkontchi è stato arrestato nel 2014, come promotore di un corteo che chiedeva di ridefinire i benefici per la popolazione dell’estrazione di uranio, ed è tornato in piazza negli ultimi mesi.
“In tutto il Nord del Niger la frustrazione è palpabile, i giovani non hanno lavoro e solo grazie all’influenza di alcuni leader resistono all’attrazione dei movimenti jihadisti, attivi appena oltre la frontiera con il Mali”, spiega Alkontchi. La proibizione, a fine agosto 2018, di una conferenza dei tre rappresentanti della società civile appena scarcerati, sotto il pretesto della sicurezza, “è stato un segno della paura del governo: temono che la collera della gente di Agadez si saldi con quella del resto del Paese, e cercano di dividerci”.
Temporaneamente bloccata all’aeroporto di Agadez, la tournée di Ali Idrissa, Moussa Tchangari e Nouhou Arzika ha però toccato le città principali del Paese, dando il via -a inizio settembre- a una seconda ondata di manifestazioni. “Siamo determinati a far piegare il governo, nel suo tentativo di imbavagliare il popolo, diffondendo corruzione e malgoverno. E il popolo vincerà”, ha detto Ali Idrissa a Altreconomia. Per i partner europei, per cui il Niger è diventato un alleato centrale per fermare le migrazioni, “una storia di successo, da replicare in altri Paesi”, secondo la rappresentante per la politica estera Federica Mogherini, ignorare questo nuovo autunno caldo nigerino non sarà più possibile.
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