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Diritti / Approfondimento

“Prosciugati”: la politica israeliana di sottrazione dell’acqua in Cisgiordania

© B’Tselem, 2023

I cittadini israeliani, compresi quelli che vivono negli insediamenti, consumano in media 247 litri d’acqua pro-capite al giorno, tre volte la quantità dei palestinesi nella West Bank (82,4 litri). “Non è una crisi idrica regionale ma il risultato voluto di una politica discriminatoria”, denuncia la Ong israeliana B’Tselem in un dettagliato report

Il Centro di informazione israeliano per i diritti umani nei territori occupati B’Tselem ha pubblicato a maggio il rapporto “Parched” (prosciugati, assetati), dedicato, come spiega il sottotitolo, alla “politica israeliana di sottrazione dell’acqua in Cisgiordania”. Si tratta di una delle tante violazione dei diritti umani cui, secondo B’Tselem, “il regime israeliano basato sull’apartheid e l’occupazione è inestricabilmente legato”. 

La differenza di accesso all’acqua nella West Bank tra israeliani e palestinesi. Fonte: B’Tselem, 2023

Nel settore dell’approvvigionamento idrico, mostra il rapporto, “il regime ha creato deliberatamente un’enorme disparità tra gruppi”: il primo, quello dei coloni degli insediamenti, gode dei lussi concessi da quella che è, oggi, una superpotenza nel settore. Il secondo, quello dei residenti palestinesi, è lasciato in balìa di una crisi idrica cronica, che è andata aggravandosi negli anni per le conseguenze dei mutamenti climatici.  

“Parched” esamina le condizioni createsi nel 1967, quando a seguito dell’occupazione della Cisgiordania, Israele ha assunto il controllo di tutte le fonti d’acqua tra il Giordano e il Mediterraneo. Tale controllo è stato poi ratificato nel Water interim agreement firmato dai palestinesi nel 1995, nel quadro degli Accordi di Oslo. L’accordo aveva una validità quinquennale e prevedeva una gestione congiunta basata sulla reciproca buona fede. Nel corso degli ultimi decenni, Israele ha sviluppato a tal punto le tecniche di reperimento e gestione delle sue risorse idriche da diventare un Paese in grado di mettere a disposizione dei suoi cittadini una quasi illimitata fornitura d’acqua, non più dipendente, quindi, dalle risorse che si spartiva in origine con i palestinesi. Israele, tuttavia, continua ad appellarsi alle clausole di un trattato scaduto 23 anni fa e impedisce ai palestinesi di procurarsi più acqua attraverso nuove trivellazioni nei territori occupati, agendo così non più da partner secondo il trattato ma da monopolista.  

I serbatoi di acqua sui tetti delle case di Nablus © Salma A-Deb’i, B’tselem, aprile 2023

Il risultato è che i cittadini israeliani su ambo i lati della linea verde consumano il triplo dell’acqua “concessa” ai vicini. Il consumo d’acqua di un abitante negli insediamenti, considerati illegali secondo il diritto internazionale, è, infatti, di 247 litri al giorno, (in Europa era di 144 litri nel 2018), mentre il consumo d’acqua pro-capite in Cisgiordania è di appena 82 litri al giorno. Tale quantità, nelle aree rurali dove vive più di un milione di persone, è usata per il 50% in agricoltura. In circa 70 comunità, per un totale di più di 100mila persone, che non dispongono di acqua corrente, il consumo d’acqua è simile a quello delle zone disastrate: circa 26 litri pro-capite al giorno. La quantità minima raccomandata dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), ricorda B’Tselem, è di 100 litri al giorno. 

Il consumo medio di acqua pro-capite in Israele e in Cisgiordania. Fonte: B’Tselem, 2023

Nella Valle del Giordano il 70 % dell’acqua estratta dalle falde è destinata agli insediamenti benché il numero dei palestinesi dell’area sia otto volte superiore a quello dei coloni, che godono di un’assegnazione doppia o persino tripla rispetto agli stessi cittadini di Israele, dai 400 ai 700 litri pro-capite al giorno.  

A complicare ulteriormente il quadro è la divisione della West Bank nelle aree A, B e C. Tutti i collegamenti tra le aree A e B, dove l’Autorità palestinese avrebbe sulla carta un qualche potere amministrativo, devono passare attraverso l’Area C. I palestinesi hanno quindi bisogno delle autorizzazioni israeliane per qualsiasi operazione intendano compiere, autorizzazioni che Israele raramente concede. La frammentazione dello spazio concesso ai palestinesi, principale causa dell’impossibilità di un’azione politica concertata, impedisce perciò la costruzione di un sistema di distribuzione idrica efficiente e integrato. All’Autorità palestinese in pratica non è consentito trasportare acqua da un’area all’altra, in particolare da zone dove è possibile produrla ad altre che ne sono prive. 

L’accordo ignora la realtà dell’occupazione e anche quando potrebbe avvantaggiare i palestinesi non viene implementato. Il comitato misto (Jwc) previsto nel trattato promuove però unicamente gli interessi degli occupanti. I dati che lo provano: tra il 1995 e il 2009 i palestinesi hanno presentato 602 progetti al Jwc. Nessuno riguardante la falda acquifera occidentale è stato approvato e solo 24 per quella orientale. Di un totale di 68 pozzi richiesti ne sono stati approvati appena 38, sottoposti a ulteriori autorizzazioni e lungaggini che ne hanno tardato la realizzazione. Nello stesso arco di tempo tutte le domande di fornitura agli insediamenti sono state approvate insieme all’autorizzazione alla realizzazione di tre nuovi pozzi. 

Si tratta di una politica, come documenta il rapporto, che dimostra il profondo processo di disumanizzazione subito dai palestinesi nella società israeliana. Questo processo ha consentito a Israele di utilizzare la più basilare delle risorse sia come mezzo di controllo sia al fine di conseguire obiettivi politici, anche a costo di mantenere milioni di persone assetate. L’obiettivo finale, denuncia B’Tselem, è costringerle ad abbandonare le terre che coltivano e i pascoli per le greggi, per dare così pieno corso al processo di spossessamento e all’appropriazione dello spazio indispensabile per far avanzare il progetto di insediamento, controllo e supremazia su tutto il territorio. 

E tuttavia, come si afferma nella chiusa del rapporto, “il regime dell’apartheid non sarebbe in grado di perseguire questa politica o consolidare le incredibili disparità tra israeliani e palestinesi senza la pressoché totale immunità concessa dalla comunità internazionale riguardo alle gravi violazioni dei diritti umani dei palestinesi”. 

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