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Cultura e scienza / Intervista

Presente, passato e possibile di “Lyd”, porta della Palestina sul mondo chiusa con la forza

Oggi il nome ufficiale del centro urbano è quello ebraico, Lod, imposto alla città dopo essere stata inglobata nel nascente Stato di Israele nel 1948. I militari non esitarono a sparare sui civili ammassati nella moschea. Altre 35mila persone furono costrette alla fuga. Intervista a Rami Younis, co-regista del film documentario che ne racconta su più piani la storia. Attualissima

“Che cos’era, cos’è, cosa avrebbe potuto essere” la città di Lyd “che una volta univa la Palestina al mondo”? Se lo chiedono Rami Younis e Sarah Ema Friedland, registi del film documentario science fiction “Lyd” (2023) in cui i tre piani temporali, passato, presente e possibile, si incrociano e si guardano.

Il passato e il presente lo raccontano attraverso riprese, interviste e materiale d’archivio mentre il possibile, quello che sarebbe accaduto se Israele non fosse mai nato, se la città avesse mantenuto il suo nome arabo, se palestinesi, ebrei e cristiani avessero potuto vivere in pace nel centro urbano a una ventina di chilometri dal mare e a una quindicina da Tel Aviv, lo lasciano alle parti di animazione.

Oggi il nome ufficiale del centro urbano è quello ebraico, Lod, imposto alla città dopo essere stata inglobata con la violenza nel nascente Stato di Israele nel 1948. I reparti israeliani entrarono e non esitarono a sparare sulle centinaia di civili ammassati nella moschea. Altre trentacinquemila persone furono costrette alla fuga: non avrebbero mai più rivisto le proprie case.

“La mia collega Sarah aveva letto l’articolo dell’editorialista Ari Shavit sulle violenze avvenute nel 1948 nella mia città”, dice l’altro regista di “Lyd”, il palestinese Rami Younis, che, intervistato da Altreconomia, ricorda: “L’idea è sua. Amicizie in comune ci hanno messo in contatto e fin da subito abbiamo iniziato a pensare a far qualcosa insieme su quello che era accaduto in città con la nascita dello Stato di Israele. Nel 2018 avevamo già tra le mani un documentario tradizionale con interviste e riprese, ma abbiamo pensato di far qualcosa di diverso, di non convenzionale”.

“Sin dall’inizio c’era una contraddizione sostanziale tra il sionismo e Lydda (nome greco della città di Lyd, ndr)”, scriveva il giornalista Ari Shavit nel 2013. È questa caratteristica unica che vi ha spinto a fare di una città, Lyd per l’appunto, sia il titolo sia il soggetto del vostro documentario?
RY
Per rendere il nostro lavoro più originale e interessante abbiamo deciso di dare voce alla stessa Lyd, facendola diventare la protagonista della storia. Siamo convinti, infatti, che le città abbiano delle vibes, una vera e propria anima. Lyd ce la siamo immaginata, quindi, dopo essere stata la prima capitale della Palestina storica, come una diva di altri tempi che, con la tragedia del 1948, è caduta in rovina, dimenticata dal mondo. Abbiamo voluto ridarle voce e ci siamo chiesti che cosa sarebbe successo se non ci fossero stati né il 1948 con la nascita dello Stato di Israele e la Nakba per il popolo palestinese né addirittura l’accordo Sykes-Picot più di un secolo fa che, durante la Grande Guerra, ha diviso il Medio Oriente tra le potenze occidentali. Nel film ci siamo immaginati una realtà alternativa capace di dare una risposta a questi quesiti ipotetici.

Sarah Ema Friedland e Rami Younis, registi del film documentario “Lyd”

Nella prima parte del film sono riportate le testimonianze dei soldati israeliani che entrarono a Lyd nel 1948, uccidendo e forzando tanti residenti arabi ad andarsene. Quanto successo in città è ancora un episodio nascosto nella memoria pubblica israeliana?
RY Secondo l’israeliano medio, in generale, il 1948, anno della dichiarazione di indipendenza di Israele, è stato semplicemente l’anno della liberazione. Non sa nulla, invece, di come l’hanno vissuto e di come tuttora lo intendano i palestinesi (Nakba, catastrofe, in arabo, ndr). Nelle scuole di Israele, che ho frequentato, si studia la storia solo dal punto di vista dei vincitori.

Il vostro film e la serie Farha su Netflix parlano del 1948 e della Nakba. Pensi che si stia squarciando il velo su queste tematiche oppure credi che siano lavori inevitabilmente fruiti soprattutto da un pubblico internazionale?
RY Onestamente credo che la società israeliana stia acquisendo tratti sempre più fascisti e non mi interessa davvero che un film documentario come “Lyd” diventi un successo di pubblico in Israele. Ce lo siamo detti fin dall’inizio io e Sarah: anche se dovesse essere visto in Israele, non riuscirebbe a cambiare le percezioni maggioritarie nella società. Eravamo e siamo più interessati a rivolgerci al pubblico palestinese e a un’audience internazionale.

Tratto dal film “Lyd”

Nella seconda e nella terza parte del film l’attenzione è rivolta al presente con interviste a palestinesi cresciuti e residenti nella stessa Lyd. Quali sono le condizioni della minoranza araba in Israele, in particolare dopo l’attacco di Hamas del 7 ottobre 2023 e l’invasione di Gaza?
RY La situazione è diventata molto peggiore. Se il mondo guardasse davvero a ciò che succede ai cittadini palestinesi, si renderebbe conto che Israele non è una vera democrazia. Il diritto di manifestare la propria opinione e il proprio dissenso non è garantito: manifestazioni, anche piccole, vengono regolarmente disperse con la forza dalla polizia. In questi mesi persone sono state arrestate per aver scritto un post su Gaza sui social media, o anche solo per aver messo un like o aver condiviso contenuti critici su quanto sta succedendo nella Striscia. Se sei un palestinese in Israele, non sei libero di dire ciò che vuoi a meno che sia in favore di Israele e di quanto il suo esercito stia compiendo a Gaza. Ma noi abbiamo amici e famiglie nella Striscia: è la nostra gente. Come possiamo sostenere un genocidio contro di loro? Dopo il 7 ottobre la situazione sta degenerando sempre più rapidamente e sfortunatamente i governi occidentali, tra cui quello italiano, sono ciechi di fronte a quanto sta avvenendo. Devono fermarsi, devono essere fermati.

Il vostro è un film di science fiction, che alterna parti di animazione e riprese reali. Quale funzione avete voluto attribuire all’animazione?
RY Abbiamo pensato a un modo per rendere cinematograficamente possibile una Palestina senza l’occupazione israeliana e abbiamo scelto l’animazione perché è un qualcosa senza limiti. Fintantoché rimani dentro nel budget, puoi fare e pensare ciò che vuoi. Per esempio, le persone in carne e ossa, originarie di Lyd, incontrate durante le riprese nel campo profughi di Balata le abbiamo immaginate come due studenti universitari in una città, in arabo Lyd, in ebraico Lod, da cui provengono le loro famiglie, ma dove in realtà non possono andare.

Tratto dal film “Lyd”

Oltre a essere coregista di questo film, è anche collaboratore di un media indipendente come +972 che cerca di affrontare il tema dell’occupazione, della guerra e delle condizioni della minoranza palestinese in un modo diverso rispetto al resto delle testate israeliane. Quanto è difficile diffondere la loro voce?
RY È molto difficile. I palestinesi sono discriminati, repressi e trattati davvero come cittadini di seconda classe. Dopo il 7 ottobre, sono stato contattato da tanti giornalisti di tutto il mondo per sapere che cosa volesse dire essere palestinese in Israele in quei giorni. Ho sempre rifiutato perché, qualunque cosa si dicesse, c’era il rischio molto concreto di essere sbattuto in carcere e alla fine ho solo registrato una testimonianza per Al-Jazeera in inglese. Anche la stampa indipendente è incapace di incidere realmente in una società come quella israeliana: la versione in ebraico di Haaretz, la voce dei progressisti israeliani, esprime posizioni ben più moderate di quelle che il mondo può leggere sulla versione inglese. E poi, parliamoci chiaro, quanti sono i suoi lettori? Se il mondo pensa che una speranza possa venire dai media, non verrà. Se il mondo crede che un cambiamento possa arrivare dai media indipendenti, nonostante personalmente li rispetti e collabori con loro, è onesto dire che non sono abbastanza forti, non avendo né le risorse né la diffusione, per cambiare la narrazione dominante. E soprattutto a gran parte degli israeliani manca la volontà di parlare apertamente di occupazione e non interessa loro di ciò che succede a pochi chilometri da loro, appena oltre il muro. Per questo l’attacco di Hamas è stato un completo shock per la società israeliana nel suo complesso.

Pensi che bastino nuove elezioni e un nuovo governo per cambiare le cose oppure è la società israeliana nel suo complesso a dover mutare?
RY Forse, alla fine di un lungo e graduale processo, Israele capirà i limiti del suo supposto infinito potere, facendo i conti davvero con la questione palestinese. Ma, pur sforzandomi di concludere con una nota ottimista, non posso far a meno di notare quanta influenza abbiano nella società israeliana personaggi razzisti e xenofobi. Tocca al mondo fare pressione su Israele per cambiare le sue politiche nei confronti dei palestinesi a Gaza, in Israele, in Cisgiordania e della diaspora.

Nel corso dell’estate il documentario “Lyd” è stato proiettato a Milano presso il “Nuovo Armenia” che, sin dalla primavera, ha dedicato alla Palestina una rassegna con proiezioni, musica e incontri dal titolo “I volti dell’apartheid”

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