Diritti / Opinioni
Polizia, una riforma di Stato
Non sappiamo ciò che avviene nelle caserme e nei commissariati. Alcuni recenti episodi, però, rendono evidente l’ urgenza di un intervento per trasformare in senso democratico le forze dell’ordine
La protesta di piazza del cosiddetto “movimento dei forconi” ha improvvisamente riportato alla ribalta la “questione polizia”, tema solitamente tabù nel discorso pubblico italiano. Ha fatto scalpore la notizia (o la presunta notizia, a seconda dei punti di vista) degli agenti che in più di una città, a manifestazioni in corso, si sono tolti il casco di fronte ai cittadini scesi in piazza a protestare, mandando loro un chiaro messaggio di distensione.
Il gesto ha ovviamente colpito i partecipanti alle iniziative come i cronisti e gli osservatori esterni. Ma il dibattito che ne è seguito, anziché far crescere la discussione intorno alla condotta delle nostre forze dell’ordine, ha accresciuto, se possibile, l’opacità che le caratterizza.
L’establishment di polizia ha cercato di minimizzare il fatto, sostentendo che gli agenti hanno semplicemente eseguito un ordine dei loro comandanti, che per prassi chiedono di togliere i caschi e dismettere scudi e altre dotazioni quando il confronto con i manifestanti non presenta più rischi di degenerazioni violente. Altri hanno dato un’interpretazione opposta: gli agenti avrebbero in realtà compiuto un gesto di solidarietà con chi protestava, mostrando così di condividere la rabbia verso il potere per il degrado della qualità della vita in questi tempi di recessione.
Altri ancora hanno innestato su questa interpretazione una lettura politica: la solidarietà ci sarebbe stata per il colore politico destrorso di quelle specifiche manifestazioni. Niente del genere sarebbe avvenuto di fronte a militanti della sinistra o del sindacato. A riprova ci sarebbe quanto accaduto nei giorni successivi all’università La Sapienza a Roma, con cariche contro gli studenti parse ai più sproporzionate.
Anche i sindacati di polizia si sono divisi fra chi ha avallato la versione dei vertici di polizia e chi ha riconosciuto nel gesto dei caschi abbassati un sentimento di solidarietà con i cittadini esasperati.
La sensazione forte è che tutte le interpretazioni siano possibili, e nessuna prevalente sulle altre, per una precisa ragione: non sappiamo niente di quel che avviene nella Polizia di Stato. Le caserme e i commissariati sono chiusi al resto della società. Il potere politico pare poco interessato a indagare su quel che accade in quegli ambienti e lo stesso sistema dei media non riesce a svincolarsi dalla sua storica vicinanza agli apparati. A ben vedere sappiamo poco anche di quel che pensano e progettano i vertici supremi della Polizia di Stato e delle altre forze dell’ordine, a parte i pronunciamenti di fedeltà istituzionale di prammatica, suscitati stavolta da una provocatoria lettera aperta inviata da Beppe Grillo ai comandanti (non ai semplici appartenenti) di Polizia, Carabinieri e Guardia di finanza per invitarli a “non proteggere più questa classe politica”.
In assenza di un dibattito autentico e a fronte di una chiusura corporativa che ci riporta al clima pre riforma del 1981 (quella che smilitarizzò la Polizia di Stato), vanno registrate con un po’ di preoccupazione alcune recenti affermazioni del capo della Polizia Alessandro Pansa, il quale chiede un “ammodernamento” e una “semplificazione” delle strutture operative previste dalla riforma, senza specificare che cosa abbia in mente e che cosa intenda quando parla di “superamento” di alcune parti dell’ordinamento previsto dalla legge dell’81.
Le nostre forze dell’ordine sembrano sempre più lontane dallo spirito di quella riforma, che si proponeva di aprire la Polizia alla società e di stabilire con forza la prevalenza della logica della prevenzione su quella della repressione. Un ordine di priorità che sembra ormai invertito. Tutto questo avviene mentre la società ribolle e le piazze si riempiono di cittadini esasperati e spesso rabbiosi. In Argentina uno sciopero delle polizie locali ha dato il destro a manifestazioni che si sono tradotte in saccheggi di negozi e supermercati. Niente del genere è avvenuto in Italia, ma simili episodi fanno capire quanto sia delicata la relazione fra le forze di sicurezza e la cittadinanza in fasi storiche tempestose. I punti cardine per garantire la credibilità delle forze dell’ordine e quindi un rapporto sano con il resto della società, dovrebbero essere la trasparenza, l’attitudine al dibattito democratico, l’ammissione degli errori (tutt’altro che infrequenti) e un’azione concreta di auto-correzione, ossia tutto quel che manca nel contesto italiano. Più che un generico appello al superamento e alla semplificazione della riforma di polizia dell’81, servirebbe una nuova riforma, radicalmente democratica ed estesa alle altre forze dell’ordine. Sarebbe anche urgente. —