L’inchiesta sugli agenti della questura genovese accusati non solo di spaccio, ma anche di consumo di stupefacenti (in servizio), non è arrivata alle cronache nazionali. Questa vicenda merita invece d’essere considerata con attenzione, perché è una spia dello stato di salute della polizia italiana, un corpo dello stato del quale si sa sempre meno, ma che in questi anni ha destato grandi preoccupazioni: da Genova 2001 in poi.
Non dimentichiamo che il vertice della polizia è riuscito a ottenere protezione e legittimazione, anche rispetto agli scempi compiuti a Genova, sia dai governi Berlusconi sia dal governo Prodi, e non ha pagato minimamente per la perdita di credibilità innegabilmente avuta sia sul piano interno che internazionale con le sentenze di condanna nei processi Diaz e Bolzaneto. In tribunale la polizia di stato è stata accusata a più riprese di essere omertosa e di avere ostacolato il corso della giustizia.
Tutti hanno finta di niente. E’ più che lecito dubitare della tenuta democratica della polizia di stato. Sull’edizione ligure della Repubblica è comparso il commento pubblicato qui sotto.
Quel filo che lega agenti drogati e violenti del G8
di Vittorio Coletti
TRA i poliziotti drogati e spacciatori di oggi e la polizia del G8 uscita
semiassolta dalla discussa sentenza del tribunale di Genova c´è qualche
rapporto? A me pare di sì, e assai chiaro. Coloro che hanno criticato la
sentenza che ha negato la documentabilità giuridica di un preordinato
piano eversivo da parte dei dirigenti delle Forze dell´ordine, in fondo,
amano credere che la polizia si sia comportata male nei giorni del G8 per
colpa di capi perfidi e deviati. Se non ci fossero stati politici neri e
alti dirigenti iniqui, sostengono, certe cose non sarebbero successe.
Chi la pensa così, in realtà cerca una consolazione e non vuole prendere atto
che, purtroppo, nel nostro paese la cultura democratica e politica delle
forze dell´ordine è tornata a essere così bassa e precaria com´era negli
anni Cinquanta ed è anche peggiorata negli ultimi tempi. Se ci fossero
stati dei diabolici ufficiali, dei malvagi politici dietro l´inettitudine
dei poliziotti contro i facinorosi e la loro violenza contro gli inermi,
tutto sarebbe stato più semplice e accettabile e, a pensarci bene, meno
preoccupante. Si sarebbe potuto usare l´immagine delle mele marce
adoperata non a caso anche per gli agenti spacciatori e violenti. Invece,
purtroppo, non è così.
Chi ci ha riflettuto sul nostro giornale, in questi
giorni, lo ha ben notato. Non è questione di casi sporadici o atti voluti
da pochi cattivi, ma di un comportamento diffuso nelle forze dell´ordine
italiane per le quali il berlusconismo e lo sdoganamento del fascismo non
sono passati invano. Almeno dal 2001 la (in) cultura della violenza, della
forza fisica, dell´odio contro i "civili" è tornata a far parte (se mai se
ne era andata) dell´humus in cui crescono i ragazzi che entrano e si
formano in polizia. I modelli che la società stessa propone loro non sono
di rispetto civile e democratico, ma di aggressività contro i devianti di
qualsiasi genere e gravità. Perfino certe nuove divise da Rambo lo
proclamano con tutta evidenza.
Sarebbe bastato vedere, una di queste sere,
come si avventavano, esagitati e eccessivi, alcuni vigili urbani in via
Garibaldi contro un ragazzo, certo colpevole di qualcosa e da catturare,
ma strattonato con troppo plateale determinazione, per rendersi conto che
la gente in armi respira un´aria di brutalità e di imposizione fisica che
non può più essere attribuita a questo o a quel gruppo o a qualche
dirigente o a quella situazione eccezionale, ma è endemica e
caratteristica.
È la cultura dell´Italia berlusconiana in cui la polizia è tornata a fare
da gendarme al potere, di chiunque ne abbia uno contro chi non ne ha o ne
ha uno minore: guardie del corpo dei politici potenti contro la gente
qualsiasi, tutori della gente qualsiasi contro tutti gli altri, gli
sbandati o anche solo i diversi, gli estranei, gli immigrati, i poveri, i
sospetti. La polizia che ha picchiato i dimostranti innocui del G8 è la
stessa in cui oggi crescono agenti dediti al consumo e allo spaccio di
droga e speriamo non ad altro: una polizia che conosce la sola legge della
forza, si ritiene esente dalla legalità e protegge non i deboli ma i forti.
Che cosa pretendiamo dai poliziotti? Se chi ha il potere è sopra la legge,
anche la divisa è un potere che consente di evadere la legge.
La polizia è democratica e legalitaria dove prevalgono democrazia e legalità. Dove
queste cominciano a vacillare o ad essere messe in discussione, le forze
dell´ordine sono le prime a risentirne, anche per il livello socialmente
basso e culturalmente povero da cui spesso vengono i suoi uomini. A questi
giovani oggi viene proposto un modello di uomo vincente e forte,
aggressivo, di uso violento del potere perfino nelle aule del Parlamento;
ogni giorno apprendono che chi ha il potere (dei numeri, della ricchezza,
della forza…) deve usarlo senza pietà, anzi, come ha detto il ministro
degli Interni, con cattiveria. Come ci si può allora stupire di certi
comportamenti?
Per questo è sbagliato parlare di mele marce, e l´unica consolazione è
che, nonostante tutto, ci sono tante mele sane nelle forze dell´ordine,
uomini rispettosi degli altri e generosi verso il prossimo, che si sentono
o si mettono al servizio della gente. Ma lo sono, come dire, a titolo
individuale, per cultura propria, per indole e sensibilità privata e non
per spirito e senso di corpo, per la consapevolezza del valore civico
della divisa che portano, che è invece, nell´insieme delle varie armi,
sempre più simbolo di forza e immagine di spregiudicatezza nel suo impiego.
Chi si illude che in Italia si sia davanti solo a una "normale" alternanza
di forze di simile e compatibile cultura democratica e sociale, può trarre
anche da questi episodi, in ambiti delicatissimi come quello delle Forze
dell´ordine, proficui motivi di riflessione.