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Diritti / Opinioni

Polizia e fascismo: manca un dibattito

Il cadavere di Ansi Amri davanti alla Stazione Fs di Sesto San Giovanni (MI)

La Germania nega un riconoscimento ai due agenti italiani che hanno ucciso il presunto terrorista di Berlino. Lo fa per le loro “opinioni politiche”, ma non se ne parla. “Distratti dalla libertà”, l’editoriale di Lorenzo Guadagnucci

Tratto da Altreconomia 191 — Marzo 2017

Il quotidiano tedesco Bild ha scritto che il governo della Germania è stato sul punto di assegnare un’onorificenza ai due poliziotti italiani che il 23 dicembre scorso uccisero a Sesto San Giovanni Ansi Amri, autore pochi giorni prima dell’attentato a un mercatino natalizio a Berlino (12 morti, decine di feriti). Il governo di Angela Merkel avrebbe poi rinunciato, una volta verificato ciò che la polizia italiana frettolosamente oscurò nei giorni di celebrazione degli “eroi”, ossia la presenza di numerosi post sui profili Facebook dei due poliziotti inneggianti al fascismo e a Mussolini, evocativi di Hitler, per non parlare dei messaggi ripresi da siti razzisti e anti immigrati. Per lo Stato tedesco non è possibile premiare chi esprima simili posizioni (ci sarebbe anche da discutere se di fronte a una persona uccisa, sia pure rispettando la legge, la pietas umana non dovrebbe prevalere su premi e riconoscimenti, ma questa è un’altra storia ancora).

4 sono gli agenti indagati in Francia per avere picchiato e brutalizzato con i manganelli Théo, un ragazzo di 22 anni sottoposto a fermo Aulnay-sous-Bois, nella banlieue parigina. Tre agenti sono indagati per violenze volontarie, uno per stupro. Sono stati tutti sospesi dal servizio

I quotidiani italiani hanno timidamente riportato la notizia ma non c’è stato alcun dibattito (come non c’era stato a dicembre all’indomani della sparatoria), salvo un improvvido intervento di un commentatore del Corriere della Sera, Aldo Cazzullo, secondo il quale “il fatto che (i due poliziotti) abbiano tolto di mezzo un terrorista islamico pluriomicida è incomparabilmente più importante delle loro opinioni politiche”.

Nel luglio 2001 durante il G8 di Genova furono testimoniati numerosi episodi di esplicita esaltazione del fascismo e del razzismo da parte di agenti delle forze dell’ordine, nelle stesse ore e negli stessi luoghi degli abusi e delle torture su cittadini inermi. “Uno due tre viva Pinochet / quattro cinque sei a morte gli ebrei / sette otto nove il negretto non commuove” o “Chi è lo Stato? La polizia! Chi è il capo? Mussolini!” erano filastrocche recitate per intimidire e umiliare i detenuti nella caserma-carcere di Bolzaneto, dove si veniva spesso accolti da un esplicito “Benvenuti ad Auschwitz”. E così via. Le denunce furono numerose ma non ci sono mai state spiegazioni né prese di distanza.

Nel 2009 il giornalista Carlo Bonini pubblicò “Acab”, dedicato a un reparto speciale della polizia italiana; il libro, nella quarta di copertina, è presentato così: “Sono odiati e hanno imparato a odiare. Basta leggere l’impressionante e inedita chat del loro reparto per capirlo. Cresciuti nel culto della destra fascista, si scoprono disillusi al termine di una parabola di violenza che è la loro educazione sentimentale”.
Quanto è diffuso il culto del fascismo nelle forze dell’ordine italiane? Quanto è accettata la cultura dell’odio verso stranieri e minoranze? Sono domande decisive, perché non stiamo parlando di semplici opinioni personali, ma della credibilità delle forze di polizia, e perché serie politiche di prevenzione di abusi e violenze sono possibili solo in un contesto di trasparenza e di confronto con l’esterno. In questi anni i vertici di polizia hanno respinto richieste d’intervento e ipotesi di riforma (dai codici di riconoscimento alla legge sulla tortura) ribadendo sdegnati che le forze di polizia sono fedeli alla democrazia. Ma il dibattito va aperto. Le semplici professioni di fedeltà democratica non sono sufficienti in un  Paese come il nostro, che celebra due agenti “eroi” oscurandone le vergogne, per poi prendersi uno schiaffo in faccia da Merkel.

Diceva Piero Gobetti che il fascismo in Italia è stato l’autobiografia della nazione. È un’osservazione che non possiamo permetterci d’ignorare.

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