Economia / Opinioni
Più Stato in economia: una proposta per la ripartenza
La pandemia obbliga a pensare nuovi strumenti di tutela sociale capaci di rafforzare il welfare. Contro le sirene della privatizzazione. La rubrica “Il dizionario economico dell’ignoto” di Alessandro Volpi
Sembra sempre più indispensabile il ricorso allo Stato come strumento per la ripresa economica e sociale. Questa affermazione generica, e destinata a suscitare reazioni allarmate, è in realtà declinabile in più modi. Tuttavia senza voler essere esaustivi, è possibile fare riferimento a pochissimi elementi assai eloquenti. Il primo ha a che fare con un acronimo ostico. “Iscro” sta per indennità straordinaria di continuità reddituale e operativa ed è un ammortizzatore sociale destinato ai lavoratori autonomi iscritti alla gestione separata dell’Inps. Viene erogato dall’istituto previdenziale in caso di reddito da lavoro autonomo inferiore al 50% rispetto alla media degli ultimi tre anni e non superiore a 8.145 euro.
È stato introdotto nella Legge di bilancio 2021 e non prevede grandi cifre; è stata stanziata infatti una spesa di 70,4 milioni di euro per il 2021, di 35,1 milioni di euro per il 2022, di 19,3 milioni di euro per il 2023 e di 3,9 milioni di euro per il 2024. Al di là delle cifre, parametrate su una stima di circa 40mila potenziali fruitori, la misura ha però un importante valore politico e sociale perché rappresenta uno dei primi, concreti, tentativi di estendere l’ambito del welfare a lavoratori finora del tutto scoperti e abbandonati a se stessi in una fase estremamente complessa. Può servire a ridurre le tensioni che sembrano emergere con sempre maggior forza fra i lavoratori dipendenti e il mondo degli autonomi in una dinamica destinata a trasformarsi nel pericoloso scontro tra “tutelati” e “non tutelati”.
241,1 miliardi di euro: il fatturato delle 32 principali società industriali e di servizi in Italia che fanno direttamente capo allo Stato attraverso il ministero dell’Economia
Il disastro della pandemia obbliga a immaginare strumenti di tutela sociale e di accompagnamento lavorativo di carattere nuovo, capaci di costruire una dimensione realmente universalistica per consentire al Paese di sentirsi una comunità, ora più che mai indispensabile. La ripartenza avrà certamente bisogno di una maggior dose di Stato nell’economia, evitando le “storiche” sirene delle privatizzazioni e della paura del debito. Le 32 principali società industriali e di servizi che fanno capo direttamente allo Stato, attraverso il ministero dell’Economia, registrano, ancora oggi, un fatturato di 241,1 miliardi di euro, occupano 471mila dipendenti, fanno utili per quasi 27 miliardi di euro e hanno un fatturato per dipendente pari a 512mila euro. Di queste 32 società, 11 sono quotate in Borsa e, da sole, fanno quasi il 30% del totale della capitalizzazione che è pari a 598 miliardi di euro, espressa da 371 società. In estrema sintesi, si tratta di numeri non banali che dovranno essere resi ancora più solidi in futuro sia per la capacità di produrre reddito sia per la prerogativa mostrata di non ridurre il numero dei dipendenti, neppure nei momenti di peggiore crisi.
Risulta importante allora, nella attuale transizione verso l’ignoto, limitare il numero e l’ammontare degli incentivi concessi in passato a imprese private, totalmente dipendenti dal sostegno pubblico -prontissime a cavalcarlo per poi “ristrutturarsi”- per spostare una parte di simili risorse verso gli investimenti pubblici in grado di far funzionare meglio il mercato, senza lasciarlo preda di un capitalismo di rapina, capace in dieci mesi di pandemia di far lievitare le fortune dei 500 paperoni del Pianeta di 1.800 miliardi di dollari. L’efficacia di tali investimenti dipenderà da una chiarezza normativa, ben più utile della “semplificazione” intesa come mero arbitrio, e da un rapido abbattimento delle sovrapposizioni di competenze amministrative. Dipenderà dalla capacità della politica di abbandonare definitivamente il vizio dell’occupazione clientelare dei vertici delle società pubbliche. Uno Stato con ammortizzatori universali, con una propria ossatura portante in termini produttivi e con un funzionante sistema di regole, è davvero necessario.
Alessandro Volpi è docente di Storia contemporanea presso il dipartimento di Scienze politiche dell’Università di Pisa. Si occupa di temi relativi ai processi di trasformazione culturale ed economica nell’Ottocento e nel Novecento
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