Crisi climatica / Intervista
Perché le misure spropositate e repressive contro gli attivisti per il clima sono una minaccia
I giovani che mettono in atto proteste nonviolente vengono colpiti da provvedimenti penali e amministrativi, oltre che da sanzioni economiche. Accuse di associazione a delinquere e uso sistematico dei fogli di via sono i segnali più preoccupanti. Per l’avvocato Francesco Romeo l’obiettivo è neutralizzare i movimenti ecologisti
“C’è un’attenzione repressiva spropositata nei confronti degli attivisti ambientali, come quelli di Ultima generazione. È sorprendente come di fronte a un movimento non violento venga utilizzato questo dispiego di strumenti repressivi di carattere penale, amministrativo ed economico”. L’avvocato Francesco Romeo segue il procedimento penale -attualmente nella fase delle indagini preliminari- partito a seguito dell’azione di protesta che lo scorso 6 maggio è stata compiuta in Piazza Navona a Roma, quando quattro persone hanno versato carbone vegetale diluito in acqua nella fontana dei Quattro Fiumi.
Romeo è anche tra i firmatari di un appello lanciato lo scorso maggio che denuncia come nei confronti di “nuove forme di contestazione da parte di nuovi movimenti -dai sindacati di base ai movimenti ambientalisti- le attività delle procure hanno a volte assunto caratteri fortemente repressivi, con contestazioni di reati spropositate”.
Una preoccupazione espressa anche da Michel Forst, Relatore speciale delle Nazioni unite per i difensori dell’ambiente, ospite di un evento promosso da Amnesty International Italia a Torino il 13 aprile durante il suo viaggio in Europa proprio per raccogliere informazioni sulle forme di attivismo ambientale e sulla risposta governativa al dissenso. Per Forst la repressione sta diventando la risposta più comune al dissenso, attraverso un uso sproporzionato di strumenti investigativi da parte delle forze dell’ordine e proposte per inasprire leggi che limitano la libertà di manifestare o impongono sanzioni e pene più pesanti a carico dei difensori dell’ambiente. In tutta Italia gli attivisti ambientali sono sottoposti a indagini e coinvolti in diversi processi.
In questa intervista l’avvocato Romeo spiega perché ha deciso di firmare l’appello e quali rischi e conseguenze corrono in Italia le persone che stanno portando avanti proteste non violente.
Avvocato, qual è l’obiettivo dell’appello lanciato lo scorso maggio?
FR Vuole affermare che le attività di protesta non violenta -come quelle di associazioni come Ultima generazione ma non solo- devono essere valutate e pesate per quello che sono. Ossia azioni di disobbedienza civile nonviolente e certo non attività a cui rispondere con accuse di reato gravi come l’associazione a delinquere, come accaduto ad esempio a Padova. Inoltre vogliamo sollecitare una riflessione da parte dell’opinione pubblica poiché ci stiamo rendendo conto che queste persone scontano un’ostilità difficile da comprendere. Vengono dileggiate, osteggiate senza sapere che cosa stanno affrontando, quali rischi si assumono in prima persona e quali conseguenze dovranno affrontare se le cose dovessero andare male nel corso dei processi.
Oltre all’accusa di associazione a delinquere, a quali altre accuse o provvedimenti devono far fronte gli attivisti?
FR Il caso più estremo è proprio l’accusa di associazione a delinquere contestata ai ragazzi di Ultima generazione di Padova. Una realtà che non ha nessun livello occulto, si muove alla luce del sole, con documenti e azioni pubbliche volte alla tutela e alla salvaguardia dell’ambiente e non a mettere da parte guadagni illeciti o con la finalità di commettere dei reati a scopo di lucro o stabilire e mantenere il dominio su un territorio. In altre occasioni si contesta agli attivisti di aver deturpato o imbrattato opere d’arte, ma anche in questo caso è tutto da dimostrare visto che non fanno ricorso a sostanze chimiche nocive, spesso usano carbone vegetale liquido, una sostanza naturale. Anche in questo caso mi sembra ci sia una asimmetria tra la gravità dell’accusa e l’azione effettivamente commessa. Bisogna tenere presente poi che accanto alla denuncia penale ci sono le sanzioni amministrative: sia quelle previste a livello nazionale sia quelle locali. Per non parlare poi della misura più subdola, di prevenzione, che viene utilizzata nei confronti di questi giovani.
Quale?
FR Il foglio di via, che viene impiegato sistematicamente. Si tratta di provvedimenti che limitano la libertà personale: se una persona residente a Milano partecipa a una protesta a Roma, con il foglio di via le viene impedito di rientrare nella città per un periodo che va da uno a tre anni, per fare un esempio. Anche qui c’è un problema di proporzionalità: il foglio di via è una misura di prevenzione che fa parte del cosiddetto “Codice antimafia”, serve cioè a contrastare la criminalità organizzata o situazioni di pericolo serio. Di fronte ad azioni nonviolente impiegare questo strumento è veramente spropositato. E impiegarlo non una tantum ma sistematicamente, significa riempire questi attivisti di provvedimenti limitativi della loro libertà di movimento. Una misura non secondaria.
Quale può essere la finalità di questo eccesso di provvedimenti?
FR Sono misure che innanzitutto puntano a dissuadere, a neutralizzare, impedire che si possano riproporre azioni di questo tipo. Poi c’è la volontà di intimidire gli attivisti e in ultimo a delegittimare, a “spoliticizzare”, le azioni messe in campo. Queste tre componenti sono molto evidenti nel procedimento simbolo, che è quello per associazione a delinquere in corso come detto a Padova, ma io penso che siano caratteristiche presenti in ogni denuncia portata all’attenzione dell’autorità giudiziaria e amministrativa. È un vero e proprio accanimento. Per me è sorprendente che di fronte a un movimento nonviolento venga utilizzato un dispiego di strumenti repressivi -di carattere penale, amministrativo ed economico- così imponente.
Nonostante il quadro che ha descritto, sono attualmente in esame congiunto della seconda commissione permanente Giustizia del Parlamento i tre disegni di legge che vogliono inasprire le misure contro il danneggiamento beni culturali e artistici. Testi a firma, rispettivamente, del ministro della Cultura, Gennaro Sangiuliano, dei senatori Claudio Borghi (Lega) e Marco Lisei (Fratelli d’Italia).
FR Sono misure che intendono aumentare e inasprire le pene e le sanzioni amministrative di vario tipo già esistenti. Sono una sorta di imprinting a firma della destra sulle politiche repressive. Dal punto di vista penale vi sono proposte di aumento di pena, sebbene queste siano già elevate per il tipo di reati che vengono contestati attualmente dalle procure. La proposta del disegno di legge della Lega si caratterizza poi per chiedere di introdurre la misura penale dell’arresto facoltativo in flagranza di reato per questo tipo di azioni. Dal punto di vista amministrativo, quella di Linsei invece chiede una stretta sui divieti di avvicinamento alle opere o ai luoghi d’arte, già introdotti dal cosiddetto decreto Minniti del 2017, e intende allungarne la durata.
Poco fa ha accennato ai rischi che gli attivisti corrono in prima persona mettendo in atto le azioni di protesta. Può dire quali sono le conseguenze per loro?
FR Intanto devono essere affrontati una marea di processi e non è una passeggiata. Inoltre, una volta che questi procedimenti sono iscritti, risultano nel casellario giudiziario. Questo è un problema, perché queste persone ovviamente hanno una loro vita, cercheranno di costruirsi un percorso professionale e potrebbero trovarsi in difficoltà nel momento in cui un datore di lavoro, sia pubblico o privato, chieda loro il certificato dei carichi pendenti e del casellario per valutare un’assunzione. Si crea così un danno, un pregiudizio, che parte prima ancora che si celebri il processo, prima ancora che si sappia come va a finire, se ci sarà una condanna o meno, soltanto con il procedimento aperto, anche se in fase di indagini. Questo solo per fare un esempio. Poi c’è il danno economico: tutte le spese per affrontare i processi e le multe che dicevo prima. È un cumulo enorme che potrebbe essere oggetto di valutazione più attenta.
Gli attivisti sono consapevoli fino in fondo di tutto quello che rischiano?
FR Sono ben consapevoli. Portano a termine le loro azioni con la convinzione di stare lottando per una causa giustissima. E noi dobbiamo fare un passo in avanti nello sviluppo della comprensione di un fenomeno come questo e non ragionare su un livello di rispetto o non rispetto della legge. Le persone che hanno compiuto l’azione in Piazza Navona a Roma avevano già avuto un foglio di via precedente. Dopo la partecipazione all’azione alla fontana dei Quattro Fiumi sono stati accusati di un altro reato, ovvero la violazione del foglio di via. È tutta una catena che si autoalimenta. Ma bisogna capire che per gli attivisti ci sono leggi che vengono applicate ingiustamente, e per questo per loro è giusto non rispettarle, per questo si assumono il rischio di non rispettarle. In questo consiste la disobbedienza civile. Ma non credo che questo dipinga una situazione di “emergenza da attivisti ecologisti”.
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