Diritti / Opinioni
Perché il ritorno dei confini interni ci riguarda
La sospensione della libera circolazione che colpisce le persone migranti mette a repentaglio l’unità europea. Aprendo alla disgregazione. La rubrica di Gianfranco Schiavone
Nel Codice Frontiere Schengen (Regolamento Ue 399/2016) viene dichiarato solennemente che “l’adozione di misure […] volte a garantire che non vi siano controlli sulle persone all’atto dell’attraversamento delle frontiere interne, è un elemento costitutivo dell’obiettivo dell’Unione […] di instaurare uno spazio senza frontiere interne nel quale sia assicurata la libera circolazione delle persone”. E ancora si ricorda che “la creazione di uno spazio in cui è assicurata la libera circolazione delle persone attraverso le frontiere interne è una delle principali conquiste dell’Unione”.
Per questa ragione il ripristino dei controlli alle frontiere interne deve dunque avvenire solo in circostanze eccezionali, essere proporzionale alla minaccia che si vuole contrastare e durare per il minore tempo possibile. Se l’esistenza di una minaccia terroristica o legata alla criminalità organizzata può giustificare una temporanea sospensione della libera circolazione, invece “la migrazione e l’attraversamento delle frontiere esterne di un gran numero di cittadini di Paesi terzi non dovrebbero in sé essere considerate una minaccia per l’ordine pubblico o la sicurezza interna”. Pertanto la “deroga al principio fondamentale della libera circolazione delle persone deve essere interpretata in modo restrittivo e il concetto di ordine pubblico presuppone l’esistenza di una minaccia reale, attuale e sufficientemente grave”.
Nonostante tali limiti stringenti, dal 2015 si è assistito in modo crescente in tutta l’Unione al ripristino, anche per periodi lunghi, dei confini interni, rendendo tale misura sempre meno eccezionale e sempre più ordinaria. La Commissione europea non ha mai voluto frenare tale deriva, e a settembre 2024 il ripristino dei controlli alle frontiere interne è attuato dall’Italia, Slovenia, Croazia, Austria, Francia, Danimarca, Norvegia, Svezia e Germania. Un elenco che probabilmente si allungherà in breve tempo a causa delle ripercussioni che avrà la decisione assunta dalla Germania, considerato il forte impatto di tale scelta su tutto il sistema europeo.
Il 2015 è stato l’anno in cui si è iniziato ad assistere al ripristino, anche per periodi lunghi, dei confini interni all’Unione europea.
Le motivazioni addotte dagli Stati, specie nei casi più recenti, appaiono ben lontane dal principio di eccezionalità e sono poco o per nulla motivate in quanto vengono invocati rischi di natura generale e ipotetica e non specifici e circoscritti. In particolare alla base di molte decisioni vi è l’intensione di attuare un maggior controllo dei flussi migratori, compreso il tentativo di far rispettare l’inapplicabile Regolamento Dublino III, cercando di impedire ai richiedenti asilo di spostarsi da un Paese a un altro.
Si tratta però di motivazioni che poco o nulla hanno a che fare con la nozione di minaccia grave per l’ordine pubblico o la sicurezza interna che va interpretata in modo doverosamente restrittivo, come ricorda la norma e la giurisprudenza della Corte di giustizia. Il terrorismo è invece un pericolo reale, ma quanto, in concreto, una misura come il ripristino dei confini interni funge da protezione quando assume una dimensione generalizzata e non risponde all’esigenza stringente di attuare una specifica e circoscritta reazione connessa a un dato evento?
I dati mostrano che non c’è alcun nesso tra contrasto al terrorismo e chiusura delle frontiere interne e altresì gli attentati, compreso quello di Solingen in Germania, sono quasi sempre commessi da persone che già vivono, e spesso da tempo, in Europa. Siamo disponibili a compromettere una delle più importanti evoluzioni storiche dell’Europa contemporanea inseguendo scelte poco razionali e inutili? Chiudere ripetutamente i confini interni difende il principio della libera circolazione, come alcuni sostengono, o è una scelta che ne segna invece una lenta fine? Vogliamo riprendere e portare a compimento il disegno di un’unità europea o ci rassegniamo a un futuro prossimo di disgregazione? Sono questi i grandi temi politici e sociali di cui la società e la politica dovrebbero dibattere. Ma di ciò non vedo traccia.
Gianfranco Schiavone è studioso di migrazioni. Già componente del direttivo dell’Asgi, è presidente del Consorzio italiano di solidarietà-Ufficio rifugiati onlus di Trieste
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