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Perché è urgente “riprendersi” i Comuni e riformare la finanza locale
Anni di politiche di austerità e tagli indiscriminati dei trasferimenti hanno finito per strozzare gli enti locali e pregiudicarne la funzione pubblica. Una campagna dal basso propone due leggi d’iniziativa popolare per cambiare rotta
Un Comune italiano su cinque oggi è tecnicamente in disavanzo, con un’alta concentrazione al Sud (sei su dieci in Calabria) ma anche una forte espansione al Centro (quattro su dieci nel Lazio). Il tutto mentre le risorse per il personale restano al palo: dal 2010 al 2020 il numero di dipendenti comunali nel nostro Paese è diminuito del 24%. Cioè 112mila unità in servizio in meno. E nello stesso periodo la spesa per il personale si è ridotta del 19% (meno tre miliardi di euro).
I dati diffusi a fine gennaio dall’Istituto per la finanza e l’economia locale (Ifel, Fondazione Anci) nell’ambito dell’undicesima Conferenza sulla finanza e l’economia locale confermano l’urgenza della campagna Riprendiamoci il Comune. Promossa da decine di organizzazioni e movimenti sociali (da Arci e Acli a Cittadinanzattiva, da Attac Italia a Medicina Democratica, dal Forum dei movimenti per l’acqua all’associazione dei Comuni Virtuosi, e c’è anche Altreconomia), punta a raccogliere nei prossimi mesi 50mila firme a sostegno di due proposte di legge di iniziativa popolare per la riforma della finanza locale e la ripubblicizzazione di Cassa depositi e prestiti.
Con la prima proposta -“Principi e disposizioni per la riforma della finanza pubblica locale”- si vogliono cambiare radicalmente le regole di austerità che da trent’anni governano la gestione economica e finanziaria di Comuni e Province. Un complesso quadro normativo che ha finito per strozzare gli enti locali e pregiudicarne la funzione pubblica, come dimostra, da ultimo, il fatto che la legge di Bilancio approvata a fine 2022 abbia spostato al 30 aprile i termini per l’approvazione dei bilanci. “Se così non fosse accaduto -osservano i promotori della campagna- gli enti locali avrebbero dovuto riconoscere uno squilibrio strutturale e, teoricamente, dichiarare una situazione di pre-dissesto o di dissesto finanziario”.
Con la seconda proposta di legge -“Principi e disposizioni per la tutela del risparmio e per la socializzazione di Cassa depositi e prestiti”- si vuole ottenere invece un ribaltamento della missione di Cdp, riportandola al servizio delle comunità locali e non invece dei grandi interessi della rendita, della finanza e delle privatizzazioni. “Con l’avvento delle politiche liberiste e di austerità, la funzione pubblica e sociale della ‘Cassa’ è stata fortemente pregiudicata. Eppure quando è nata nel 1850, Cdp aveva uno scopo preciso -ricordano ancora da Riprendiamoci il Comune-: raccogliere e tutelare il risparmio dei cittadini e utilizzare questa enorme massa di denaro, pari a 280,5 miliardi di euro nel 2022, per oltre 20 milioni di risparmiatori, per finanziare gli investimenti degli enti locali a tassi agevolati”.
“I dati dell’Ifel confermano che avere come unico parametro di riferimento le politiche di austerità depaupera Comuni e comunità territoriali di beni comuni, servizi pubblici e saperi tecnici -dice Marco Bersani di Attac Italia e tra i promotori della campagna-. I Comuni, pur concorrendo solo per l’1,5% al debito pubblico nazionale, sono stati resi strutturalmente impossibilitati a svolgere la loro funzione pubblica e sociale. Solo con una profonda riforma della finanza locale e solo restituendo un ruolo di servizio pubblico a Cassa depositi e prestiti, come propongono le nostre due proposte di legge d’iniziativa popolare, si potrà invertire la rotta. Tanto più che oggi i Comuni e le comunità territoriali devono affrontare sfide fondamentali come la conversione ecologica e l’emergenza sociale”.
“I Comuni, pur concorrendo solo per l’1,5% al debito pubblico, sono stati resi strutturalmente impossibilitati a svolgere la loro funzione sociale” – Marco Bersani, Attac Italia
I Comuni sono stati tra gli enti più duramente colpiti dalla crisi generata dalla fase pandemica 2020-2021, come ricorda anche l’Ifel, “dovendo contare principalmente su entrate proprie rigide ed esposte agli effetti di blocco della mobilità”. Il combinato disposto tra il Covid-19 e un quadro normativo che ha finito per strozzare gli enti locali e pregiudicarne la funzione pubblica, ha prodotto quella che per l’Istituto è una “area di crisi ben più vasta rispetto ai casi di dissesto e pre-dissesto”.
Sono numerose le amministrazioni locali schiacciate da un costo del debito che “rimane assai oneroso”, pari a quattro miliardi di euro su scala nazionale nel 2021. L’incidenza dei costi dei mutui è destinata a crescere, come dimostra il tracollo della spesa corrente comunale nel decennio 2010-2019: -15% quello stimato a valori costanti, pari a oltre sei miliardi di euro in meno. Questo si tradurrà sempre di più nell’aumento dell’incidenza nella spesa corrente della spesa “obbligatoria” (mutui in particolare) rispetto alle spese per migliorare la qualità della vita, come servizi sociali, culturali, casa, trasporti pubblici.
I Comuni, privi di risorse e personale, rischiano di essere travolti dal carico amministrativo che sta comportando il Piano nazionale di ripresa e resilienza
Ifel nei suoi dati evidenzia poi un altro “scandalo”, cioè la mancata ristrutturazione del debito nonostante una legge dello Stato l’abbia esplicitamente prevista da tempo: “La Legge di Bilancio 2020 aveva introdotto un dispositivo di vera ristrutturazione del debito degli enti locali. Tuttavia, anche a causa della crisi pandemica contestualmente intervenuta, questa disposizione non ha fin qui conosciuto alcuna fase attuativa”.
La sostanza, quindi, è che la ristrutturazione dei debiti degli enti locali non si riesce (o non si vuole) attuare. In questo modo i tassi dei mutui compresi quelli di Cassa depositi e prestiti restano alti e gli oneri finanziari “mangiano” la disponibilità per spese sociali. È così che Comuni privi di risorse e personale (il 21,4% degli attuali dipendenti a tempo indeterminato ha più di 60 anni ed è prossimo alla pensione) rischiano di essere travolti dal carico amministrativo che sta comportando il Piano nazionale di ripresa e resilienza. Ifel infatti osserva come “desta crescente preoccupazione il mancato decollo del nuovo regime assunzionale basato sulla ‘sostenibilità finanziaria’ (insieme alla persistente ‘corsa ad ostacoli’ che caratterizza i percorsi di assunzione)”.
“Le prospettive per il 2023 sono negative per l’ennesimo venire meno di trasferimenti statali, dopo i contributi straordinari 2020-2021 per il Covid-19 e nel 2022 per i consumi energetici, e l’attribuzione di risorse vincolate che non incidono sugli equilibri di bilancio -ricorda Corrado Conti, esperto di finanza pubblica, già dirigente al Bilancio della Provincia di Lecco e promotore di Riprendiamoci il Comune-. La stagione dei tagli delle risorse continua e aumentano le difficoltà. Senza una profonda riforma della finanza locale non potrà che aumentare il numero di enti in disavanzo e in dissesto”. Andate a firmare.
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