Diritti / Attualità
Per Microsoft in Arabia Saudita gli affari vengono prima dei diritti umani
La multinazionale statunitense ha annunciato nuovi e importanti investimenti nella realizzazione di data center cloud a Riyad, nonostante le note ed evidenti violazioni gravi dei diritti e la repressione del dissenso da parte del regime. Avvenute anche per via tecnologica. Il richiamo di Human Rights Watch e la debole difesa dell’azienda
“Microsoft dovrebbe sospendere ogni suo investimento nella realizzazione di data center cloud in Arabia Saudita fino a quando non sarà in grado di dimostrare chiaramente come mitigherà il rischio di facilitare gravi violazioni dei diritti umani da parte del regime saudita”. La denuncia di Human rights watch risale al 13 aprile di quest’anno. Poco prima, il 6 febbraio, in occasione della conferenza tecnologica internazionale LEAP 2023 tenutasi proprio a Riyad, Microsoft aveva annunciato investimenti nel Paese come parte dello sforzo dell’azienda nel “fornire alle organizzazioni pubbliche e private di tutto il mondo servizi cloud intelligenti e affidabili”.
Un investimento redditizio: secondo lo stesso comunicato dell’azienda, infatti, l’ingresso nella regione le porterebbe enormi vantaggi economici. Microsoft, i suoi partner e i clienti che utilizzeranno il servizio cloud potrebbero generare insieme circa 24 miliardi di dollari di nuovi ricavi nei quattro anni successivi, come riporta una ricerca finanziata dalla stessa multinazionale. Ma il colosso statunitense dell’informatica si difende dalle accuse di favorire la violazione dei diritti umani. “Gli investimenti saranno coerenti con l’impegno di Microsoft per la tutela dei diritti fondamentali e comprenderanno un’attenzione particolare alle pratiche cloud responsabili, tra cui sicurezza, sicurezza digitale, privacy, conformità e trasparenza, oltre all’adesione ai valori e ai principi dell’azienda”, si legge nel comunicato. Dichiarazioni che però non convincono Hrw.
“Le autorità saudite hanno violato ripetutamente e in modo grave il diritto alla privacy dei propri cittadini controllando i telefoni, infiltrandosi nelle principali aziende tecnologiche e approvando leggi che concedono ampi poteri di sorveglianza alle entità governative -ha ricordato Arvind Ganesan, direttore per la giustizia economica e i diritti umani di Human rights watch-. Microsoft non dovrebbe chiudere gli occhi di fronte agli abusi dell’Arabia Saudita e dovrebbe sospendere gli investimenti fino a quando non sarà in grado di spiegare in modo significativo come mitigherà i rischi per i diritti umani”.
Secondo la stessa organizzazione, le autorità del Paese hanno incarcerato manifestanti pacifici e attivisti per i diritti umani, in alcuni casi condannandoli al carcere per le loro opinioni diffuse sui social media. Il 9 agosto 2022 una corte ha condannato Salma al-Shehab, dottoranda saudita dell’Università di Leeds, nel Regno Unito, a 34 anni di carcere per aver “turbato l’ordine e il tessuto sociale”, basandosi, come riferisce la Ong, solo sulla sua attività su Twitter.
La legge contro il cybercrimine emanata nel 2007 dal governo saudita permette di perseguire “la produzione, la preparazione, la trasmissione o l’archiviazione di materiale che implica l’ordine pubblico, i valori religiosi, la morale pubblica o la privacy“. Su queste basi l’Arabia Saudita potrebbe costringere Microsoft a consegnare dati personali degli utenti in forza di accuse vaghe ed estremamente arbitrarie e che giustificano la violazione della libertà di espressione. “Il primo ministro e principe ereditario Mohammed bin Salman, governante de facto dell’Arabia Saudita, ha intensificato notevolmente la repressione interna, supervisionando un’intensa guerra al dissenso e un significativo deterioramento dei diritti -continua Hrw-. Nel 2017, la procura e l’apparato di sicurezza del Paese sono stati posti direttamente sotto l’egida della corte reale, mettendo gli strumenti principali della repressione saudita nelle sole mani del re e del principe ereditario”.
La politica del regime si avvale anche di strumenti non convenzionali. Nel 2019 due dipendenti di Twitter sono stati accusati dalla Corte di giustizia degli Stati Uniti di spionaggio per conto dell’Arabia Saudita, in quanto avrebbero trafugato informazioni non altrimenti accessibili su dissidenti e attivisti per i diritti.
Investire in infrastrutture informatiche nel Paese sarebbe quindi in contrasto con i principi di responsabilità sottoscritti dalla stessa Microsoft. Secondo Hrw, inoltre, la responsabilità dell’azienda nel tutelare i diritti esiste in modo indipendente dalla volontà dello Stato in cui opera nell’adempiere i propri obblighi in materia. La dichiarazione globale sui diritti umani di Microsoft afferma infatti che l’azienda “si impegna a rispettare i Principi guida delle Nazioni Unite su imprese e diritti umani (Ungp). Lavoriamo ogni giorno per implementare gli Ungp in tutta Microsoft, sia presso la sede centrale e gli uffici in circa 200 Paesi e territori, sia lungo le nostre catene di fornitura globali”. Per queste ragioni Hrw ha invitato il gruppo a sospendere gli investimenti in Arabia Saudita: “Dovrebbe mettere i diritti al primo posto e non diventare uno strumento per le autorità saudite per spiare ulteriormente le persone i cui dati si trovano nel Paese”.
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