Economia / Opinioni
Economia, istituzioni e moneta: i rapporti globali stravolti dal virus
“La pandemia cambia radicalmente i rapporti globali e l’Europa in primis deve capirlo, adoperando quanti più strumenti possibili, senza timore di aumentare il debito o di creare liquidità, perché è evidente che ormai la normalità, i canoni, i patti sono stati definitivamente superati”. L’analisi di Alessandro Volpi
Non è davvero possibile che la fondamentale comunicazione sulla diffusione di Covid-19 venga data in pasto a show televisivi di carattere generalista. In altre parole non ha senso la proliferazione di interviste ad autorevoli scienziati e ai vertici dell’Unità di crisi condotte da protagonisti e protagoniste dell’intrattenimento televisivo, magari nell’ambito di talk show pomeridiani e serali animati da gossip e altre amenità. In un momento così delicato la comunicazione deve essere chiarissima e soprattutto non deve essere inghiottita in contenitori che la trasformino in spettacolo, tanto meno se la spettacolarizzazione la rende superficiale, la drammatizza in chiave sentimentalistica e finisce quindi per farla apparire irreale; appunto, come se l’epidemia fosse uno show.
La chiarezza e l’efficacia della comunicazione sull’epidemia dipendono proprio dal fatto che i messaggi vengano presi sul serio e non diventino la parte di una soap particolarmente tragica. Non è parlandone tanto, ma parlandone in modo corretto, negli spazi e con i linguaggi adeguati, che si può centrare l’obiettivo della sensibilizzazione.
Le pandemie costituiscono un fenomeno sociale che coinvolge, oltre agli aspetti sanitari e organizzativi, una dimensione emotiva rispetto alla quale è fondamentale, come per gli altri due aspetti ricordati, il ruolo delle istituzioni. Il tema vero è dunque cosa si intenda con questo termine, in particolare di fronte ad un’epidemia sconosciuta. Le istituzioni sono le autorità competenti che sono costituite dal decisore politico e dagli esponenti del mondo della scienza, ma fanno parte delle istituzioni anche il “senso” e la fiducia nelle stesse che, sul piano emotivo e su quello dei comportamenti individuali, hanno un peso forse più determinante delle stesse misure adottate.
In altre parole, la natura imprendibile di una crisi epidemica ha bisogno di una vera condivisione dell’essere istituzioni perché il sistema delle regole rischia di essere sempre comunque insufficiente.
Dopo aver coltivato per anni la diffidenza verso le istituzioni in quanto tali, dopo aver costruito una narrazione pubblica dominata dalle fake news, e dopo aver screditato l’autorevolezza della competenza, a cominciare dalla scienza, ora è complesso fare appello al senso delle istituzioni e alla fiducia nei loro confronti. L’epidemia obbliga quindi ad una vera inversione dell’idea di cittadinanza maturata nel recente passato; una inversione che non può essere dettata solo dalla paura.
In questi giorni si susseguono stime circa l’entità della recessione possibile e si formulano ipotesi di interventi necessari a contenerla; il Governo ha definito una prima manovra e ha chiesto al Parlamento l’autorizzazione ad aumentare il livello di indebitamento. Forse, data l’assoluta imponderabilità della situazione e date le condizioni già critiche di gran parte dell’attività economica del Paese, servirebbe ora una chiara affermazione da parte italiana e soprattutto europea sul modello della dichiarazione espressa dall’ex presidente della Banca centrale europea Mario Draghi di fronte al tracollo del debito: “Whatever it takes”, fare tutto ciò che serve è la sola politica possibile, senza limiti di debito, senza riferimenti ai parametri, con tanta liquidità subito, con l’accantonamento delle regole per banche e imprese in modo da coprire la sospensione e l’abbattimento del carico fiscale per chi è travolto dalla situazione.
La politica economica e monetaria deve assolvere ora, prima di tutto, ad una funzione psicologica, a dare coraggio a chi così potrà stare a casa senza il dramma del dopo. Dare cifre ora non serve a nulla, perché è molto probabile che tali cifre non bastino mai. Ora serve la massima fiducia, battendo l’epidemia e azzerandone i costi sociali ed economici. In una fase così delicata occorrerebbero una comunicazione lineare non solo nei contenuti e nelle regole definite, ma anche nelle forme e nelle sedi dove tali messaggi vengono proposti, un’idea di istituzioni in grado di comprendere in sé, come parti costitutive, il senso e la fiducia istituzionale e una visione economica e sociale che, per una volta, abbandoni i numeri in quanto tali per declinarli in una dimensione molto più ampia in cui il solo punto fermo è costituito dalla volontà di fare, in ogni momento, tutto ciò che serve, senza parametri e senza vincoli inutili.
La pandemia cambia radicalmente i rapporti globali e l’Europa in primis deve capirlo, adoperando quanti più strumenti possibili, senza timore di aumentare il debito o di creare liquidità, perché è evidente che ormai la normalità, i canoni, i patti sono stati definitivamente superati. Nel momento in cui serve il massimo sforzo europeo, la prima mossa della Bce di Christine Lagarde appare invece decisamente debole; si continuano ad utilizzare gli strumenti concepiti da Draghi mentre l’epidemia infuria, i prezzi delle materie prime crollano, l’oro cessa di essere un bene rifugio e i mercati tracollano. In tali condizioni non ha senso stabilire in 120 miliardi di euro la capacità di fuoco dell’istituto di Francoforte e, soprattutto, ribadire che il compito della banca centrale non è quello di contenere gli spread. Occorre un’impostazione diversa e renderla evidente subito per andare oltre il diluvio, stroncando anche i professionisti del disastro, facile terra di speculazione, dove si lucra poi sulle correzioni di tiro postume, come quella della presidente della Commissione europea Ursula Von der Leyen.
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