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Diritti / Approfondimento

Ors, Ekene, Engel, Badia Grande: le “regine” dell’affare milionario dei Cpr

L'Affare Cpr è il nuovo report della Coalizione italiana libertà e diritti civili, pubblicato a inizio giugno 2023

Un nuovo rapporto Coalizione italiana libertà e diritti (Cild) pubblicato a inizio giugno approfondisce, dati alla mano, i guadagni e la gestione problematica da parte di cooperative e multinazionali dei Centri per il rimpatrio attivi in Italia. Una “partita” da oltre 56 milioni di euro tra 2021 e 2023 in cui a perderci sono “solo” i reclusi

Per il triennio 2021-2023 il ministero dell’Interno ha messo a bando 56 milioni di euro per la gestione dei dieci Centri di permanenza per il rimpatrio attivi nel nostro Paese, luoghi dove vengono recluse le persone “irregolari” in attesa di espulsione. La gestione (o meglio, la malagestione) di queste strutture è nelle mani di diversi soggetti: dalle multinazionali Gepsa e Ors alle società come Engel srl alle cooperative come Edeco-Ekene e Badia Grande come ha ricostruito in dettaglio la Coalizione italiana libertà e diritti (Cild) nel nuovo rapporto “L’Affare Cpr, il profitto sulla pelle delle persone migranti”, pubblicato a inizio giugno 2023. E che sottolinea come sempre più spesso si verifichino due tendenze: da un lato la “minimizzazione dei costi da parte del pubblico”, quindi il ministero dell’Interno tramite gli uffici territoriali, dall’altro la “massimizzazione dei profitti da parte dei privati” che si traduce negli scadenti servizi offerti ai trattenuti. “L’affidamento ai privati comporta il rischio di ‘diluire’ le responsabilità delle autorità pubbliche -si legge nel report– consentendo ai privati di speculare sulla pelle delle persone detenute”.

Dati di bilancio, bandi di gara, contratti di aggiudicazione e inchieste giudiziarie alla mano i sei autori del rapporto (Marika Ikonomu, Alessandro Leone, Simone Manda, Federica Borlizzi, Eleonora Costa e Oiza Q. Obasuyi) tratteggiano il “mostruoso stato di eccezione” che caratterizza la vita di reclusione all’interno dei Cpr e ricostruiscono gli affari delle società e delle multinazionali che gestiscono queste strutture in Italia. Già, perché al fianco delle cooperative (stabilmente coinvolte dal 2011 in avanti) solo negli ultimi dieci anni hanno cominciato a inserirsi sul mercato anche grandi realtà del mondo profit attratte dalla “filiera molto remunerativa” del trattenimento dei migranti. Una filiera in cui i bandi delle prefetture vengono quasi sempre vinti dai privati con offerte al ribasso proprio per massimizzare il profitto. Solo in pochi caso gli importi finali sono stati dichiarati alla Cild: i 56milioni di euro stimati su tre anni (iva esclusa) sono quindi una cifra indicativa, perché conteggiano le cifre indicate in base d’asta delle gare d’appalto, ma non quelle di aggiudicazione. In ogni caso, a questi costi vanno sommati quelli del personale di polizia e quelli relativi alla manutenzione delle strutture.

Una delle principali protagoniste del settore è Organisation for refugees services (Ors), società con sede in Svizzera a Zurigo, che sul proprio sito internet si presenta come “leader nei settori dell’accoglienza e della detenzione amministrativa dei migranti in tutta Europa” da oltre trent’anni. Un colosso con più di 1.400 dipendenti che nel 2021 gestiva oltre cento strutture tra Svizzera, Austria, Germania e appunto Italia. L’ingresso nel mercato del nostro Paese è avvenuto con dinamiche “particolari”: Ors Italia, società a responsabilità limitata interamente controllata dalla casa madre elvetica, risulta iscritta nel registro delle imprese dal 25 luglio 2018, meno di due mesi dopo l’insediamento del Governo Conte I con Matteo Salvini al ministero dell’Interno. Ma l’azienda da avvio alla propria attività economica, si legge nel report, solo a gennaio 2020: un inizio “prodigioso” perché Ors Italia riesce ad aggiudicarsi la commessa da oltre 572mila euro per la gestione del Cpr di Macomer, in Sardegna, nel dicembre 2019, quando era ancora inattiva.

Un dettaglio che non sfugge né ad Erasmo Palazzotto, che in un’interrogazione parlamentare presentata a metà maggio 2020 chiede al ministero dell’Interno come sia possibile che una società senza alcuna concreta esperienza sia ritenuta idonea alla gestione del centro; né al Tar del Friuli-Venezia Giulia. Già, perché l’attenzione di Ors Italia, un mese dopo essersi aggiudicata il bando per il Cpr sardo, si concentra su Trieste dove la neonata società vince anche quella indetta dalla prefettura per “Casa Malala”, un centro di accoglienza chi arriva dalla rotta balcanica, con un ribasso del 14% (pari a 788mila euro) sulla base d’asta. Il Consorzio italiano rifugiati (Ics), secondo in graduatorio non ci sta e presenta ricorso: il 17 dicembre 2020 è il Tribunale amministrativo regionale a escludere dalla gara Ors Italia sottolineando come “lo stato di inattività di un’impresa sia preclusivo alla possibilità di concorrere a una gara per l’aggiudicazione di un pubblico appalto”. A Macomer, però, nulla cambia: in un cortocircuito per cui un tribunale dichiara che una società non è idonea a gestire una struttura mentre, in un’altra Regione, questa può continuare a svolgere il proprio lavoro.

Gli affari di Ors Italia non si fermano alla Sardegna. In meno di due anni la società si aggiudica la gestione di due strutture di accoglienza a Bologna (settembre 2021) e Milano (ottobre 2021) cui seguono il Cpr di Ponte Galeria a Roma (dicembre 2021) e quello di Torino (febbraio 2022). Gli affari girano, insomma, anche grazie all’attività di lobby svolta dalla società di consulenza” Teleos analisi e strategie”, con cui l’azienda elvetica ha siglato un accordo nel 2020. “Non c’è niente di illegale in tutto questo -si legge nel report– ma è interessante notare come Ors sia l’unica tra le cooperative e società multinazionali che hanno gestito o gestiscono un Cpr ad avere consulenti che rappresentano i suoi interessi alla Camera dei deputati”.

Il tratto comune della gestione di Ors, da Nord a Sud, dai Cas al Cpr è il massimo ribasso nei servizi per vincere, a qualunque costo, i bandi di assegnazione. Basti pensare che per “Casa Malala” aveva proposto tre pasti al giorno a meno di cinque euro pro-capite. “Non appare difficile immaginare -scrivono i ricercatori di Cild- come questa corsa al ribasso possa incidere sui diritti delle persone accolte o trattenute nei centri gestiti da Ors”. Intanto, la casa madre ha fatto il “salto”: nel settembre 2022 è stata acquisita da Serco Group plc, gruppo britannico che offre numerosi servizi tra cui il “trasporto e controllo della circolazione stradale in aree pubbliche e private, aviazione, contratti militari e armi nucleari, gestioni di centri di detenzione e prigioni”.

Dal settore turistico al business dell’accoglienza e del trattenimento dei migranti. È questa la parabola seguita invece da Engel Italia Srl, società nata nel 2012 e con sede legale a Salerno, città nella quale sorge il primo resort di proprietà. Un albergo che, ben presto, è stato trasformato in centro di accoglienza. Le difficoltà economiche incontrate negli ultimi mesi dall’azienda non hanno fermato la partecipazione alle gare d’appalto bandite dalle prefetture: dopo aver ottenuto l’affidamento del Cpr di Palazzo San Gervasio (in provincia di Potenza), recentemente è riuscita anche ad acquisire la gestione del Centro per il rimpatrio di via Corelli a Milano per un importo stimato di quasi cinque milioni di euro. Lo ha fatto attraverso la controllata Martinina Srl, a cui nel gennaio 2022 ha ceduto un ramo d’azienda.

Da Potenza al capoluogo lombardo, le criticità nella gestione sono comuni: violazione del diritto alla salute e alla difesa legale dei migranti rinchiusi nelle due strutture, cui viene impedito anche di comunicare liberamente con l’esterno. Due ex operatrici di via Corelli hanno raccontato che “l’ente non garantisce ai trattenuti acqua calda per lavarsi, riscaldamento, coperte, oltre a rifiutarsi di pagare molti farmaci (tranne le benzodiazepine, gli unici farmaci che permetteva di comprare). Le stesse hanno riferito che non sono mancati i maltrattamenti nei confronti delle persone trattenute, che sembra venissero definite ‘merde’ o ‘bestie’ o con un numero”. A questo si aggiungono le pessime condizioni di lavoro dei dipendenti. “Le operatrici denunciano come perfino i medici del Centro, così come chi si occupava del servizio mensa, non ricevessero lo stipendio per mesi, e, conseguentemente, diversi prendevano la decisione di dimettersi”, si legge nel report

Tra i colossi della detenzione amministrativa nel nostro Paese non si può non citare la multinazionale Gepsa (società controllata dal colosso energetico Engie) che in Francia gestisce i servizi ausiliari di diversi istituti penitenziari e che nel 2011 ha iniziato ad affacciarsi anche in Italia, affermandosi nel settore dell’accoglienza con una “strategia aggressiva”: “Per mesi ha continuato ad aggiudicarsi appalti offrendo un ribasso sui prezzi a base dell’asta dal 20 al 30% inferiori a quelli dei suoi concorrenti”, si legge nel report. Ottenendo così la gestione dei Cpr di Roma (2014-2017), Torino (2015-2023) e Milano (2014-2017).

Affari milionari che proseguono ancora oggi. Gepsa, infatti, ha gestito il Cpr di corso Brunelleschi a Torino (oggi chiuso a seguito delle proteste dei reclusi che hanno reso inagibile le strutture) fino al marzo 2023: “In questo periodo si sono verificate due morti e numerosi casi di autolesionismo e rivolta”, osservano i curatori del rapporto. Inoltre, si sottolinea come “le visite di idoneità al trattenimento effettuate, non dal medico del Sistema sanitario nazionale, come richiesto dalla normativa, bensì da personale sanitario convenzionato con l’ente gestore”. Un evidente conflitto di interessi che caratterizza tutto il sistema Cpr: il datore di lavoro, società o cooperativa che sia, guadagna sulle presenze effettive (quindi per ogni persona che è nel centro e non per il singolo posto messo a bando), avrà interesse nel tenere reclusa la persona e non rilasciare anche se per ragioni sanitarie.

È “italianissima”, invece, la cooperativa Badia Grande nata nel luglio 2017, leader nel settore soprattutto nel Mezzogiorno, dove ha gestito hotspot (Lampedusa, Trapani, Pozzallo e Messina), Centri per l’accoglienza straordinaria (Cas) e negli ultimi anni anche Cpr. La cooperativa è al centro di diverse inchieste giudiziarie. A Bari, dove Badia Grande si è aggiudicata per cinque milioni di euro la gestione del Cpr, l’accusa dei giudici è “frode nell’esecuzione del contratto di affidamento servizi e forniture relativi al funzionamento del Cpr” con specifico riferimento alla “fornitura del servizio di assistenza sanitaria”. Accuse simili arrivano anche in merito al funzionamento del Cpr Trapani Milo tra il 2017 e il 2019.

I processi riguardano Antonio Manca, l’allora rappresentante legale della cooperativa, rinviato a giudizio dalle procure di Trapani e Bari problematizzando le modalità di gestione dei centri. Proprio queste inchieste, a maggio 2023 hanno fatto fare un “passo indietro” alla Prefettura di Trapani che nell’aprile 2022 aveva assegnato nuovamente a Badia Grande la gestione del Cpr attivo in città con un capienza di 204 posti per una base d’asta di cinque milioni e mezzo di euro. Sette mesi dopo, l’ufficio del governo ha però escluso la cooperativa della gara per “omissione informativa” rispetto alle pendenze in corso che interessano i membri di Badia Grande. Questa ha poi perso il ricorso al Tar contro questa decisione. L’avviso di conclusione delle indagini, notificato a Manca nel luglio 2021, non ha fermato la cooperativa neanche nel partecipare alla nuova gara per l’hotspot di Lampedusa avvenuta pochi mesi dopo e vinta con un ribasso del 18% rispetto alla base d’asta. Anche questa esperienza, però, è stata disastrosa e nel giugno 2023 è subentrata la Croce Rossa Italiana.

A fronte di questo triste quadro, Cild sottolinea come la detenzione amministrativa in Italia “lungo tutto l’arco della sua non-nobile storia si è caratterizzata per l’essere un autonomo binario punitivo di cui possono essere destinatari i soli migranti e cui corrispondono livelli di garanzie differenti rispetto a quelli attribuiti al resto della cittadinanza”. Anche per questo motivo, un eventuale passaggio di gestione nelle mani dello Stato, come previsto dal governo del decreto cosiddetto Cutro varato a metà maggio 2023, non cambierebbe le sorti di questi luoghi. “La detenzione amministrativa è un sistema drammaticamente inumano e non rispettoso della dignità delle persone recluse -concludono i curatori- […]. Una gestione totalmente pubblica non cambierebbe lo stato delle cose e ci riporterebbe esattamente nel luogo da dove siamo partiti: in un buco nero”.

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