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Oltre l’antimafia come sola testimonianza

© Fondazione Charlemagne

Da Nord a Sud i clan si rafforzano grazie a estorsioni, riciclaggio e al rapporto con amministratori locali. Gli imprenditori spesso diventano complici. La rubrica di Avviso Pubblico

Tratto da Altreconomia 244 — Gennaio 2022

“Noi siamo come le raccomandate, arriviamo direttamente a casa”. Così si è pronunciato un ‘ndraghetista -intercettato durante l’indagine svolta dalle Direzioni distrettuali antimafia (Dda) di Reggio Calabria, Firenze e Milano contro le cosche calabresi dei Piromalli e dei Molè- mentre minacciava un imprenditore lombardo. Traffico di droga e di armi tra l’Italia e la Svizzera, estorsioni, riciclaggio. Imprenditori che da vittime di usura diventano complici facendo da prestanome oppure emettendo false fatture per prestazioni mai erogate al fine di favorire il reimpiego di capitali sporchi nell’economia legale ed evadere milioni di imposte dovute allo Stato.

La costituzione di cooperative nei settori delle pulizie, del facchinaggio e del trasporto con la complicità di professionisti dal colletto bianco. E corruzione di tante persone, tra cui alcuni operatori del porto di Livorno e un finanziere adescato per addomesticare una verifica fiscale riguardante un’azienda di proprietà dei clan. Da ultimo, non potevano mancare i rapporti con alcuni amministratori locali per ottenere appalti in cambio di voti. “Stanno bene in Svizzera, in Italia ci hanno rovinati -dice un ‘ndranghetista intercettato in Lombardia-. Nella Svizzera non esiste il 416bis” ossia il reato di associazione a delinquere di tipo mafioso introdotto nel nostro ordinamento nel 1982. I mafiosi, come confermano queste parole, mirano a fare profitti non solo abbattendo i costi economici ma anche quelli penali. L’impunità, insieme alla ricchezza, è un pilastro su cui si basa il potere criminale dei boss.

Dal Centro-Nord spostiamoci al Sud, in Puglia in particolare nella provincia della BAT (Barletta, Andria, Trani), vicina a Foggia, dove di recente il Comune capoluogo è stato sciolto per mafia. Da diversi mesi, i magistrati e gli investigatori stanno lanciando ripetute richieste di rinforzi nonché preoccupanti allarmi sulla progressiva acquisizione di controllo del territorio da parte della mafia locale. Un controllo ai limiti del dominio, ottenuto mettendo in atto azioni particolarmente violente e feroci. “Se non mi restituisci i soldi ti scanno come un agnello. Vengo a casa tua e me la prendo con i tuoi figli”: sono le parole che si è sentito dire un imprenditore che era ricorso ai clan per avere un prestito.

Sono 19 i Comuni sciolti per mafia in Puglia dal 1991 al novembre 2021 di cui 11 dal 2018. (Fonte: Avviso Pubblico)

Per non parlare delle lupare bianche, ovvero la scomparsa di alcune persone di cui non si è ritrovato nemmeno il corpo. La mafia che opera in questa zona pugliese ha messo nel mirino le aziende del comparto calzaturiero, circa 1.600. Alcuni imprenditori sono rimasti vittime di sequestri lampo nel corso dei quali si sono sentiti dire: “Dacci 10mila euro, altrimenti non ti facciamo camminare più”. I clan esercitano la violenza, utilizzando anche armi pesanti e ordigni, per impossessarsi dei campeggi e dei villaggi -circa duemila le attività presenti- situati lungo i 45 chilometri di costa, nonché delle aziende agricole che si trovano nell’entroterra. Le prime servono per gli sbarchi della droga proveniente dell’Albania e dall’area balcanica. Le aziende agricole -circa ottomila, spesso oggetto di incendi e furti- possono diventare basi di stoccaggio di armi e stupefacenti o strumenti per acquisire in modo fraudolento, con la complicità di amministratori locali e dirigenti pubblici infedeli, ingenti fondi comunitari.

Quello che abbiamo sinteticamente raccontato è emerso grazie alle indagini dei magistrati e delle forze di polizia. Pochissime, rispetto alla gravità dei fatti, sono state le denunce sia al Nord sia al Sud. Quanta omertà da paura e quanta da complicità e connivenza? Quanta fiducia o sfiducia nello Stato? Sono domande sulle quali riflettere per costruire un’antimafia fatta di concretezza e non di mera testimonianza.

Pierpaolo Romani è coordinatore nazionale di “Avviso pubblico, enti locali e Regioni per la formazione civile contro le mafie”

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