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Non chiamatela autonomia differenziata ma deregulation egoista per ricchi
Acuire i disastri già fatti con il maldestro trasferimento di materie centrali alle Regioni aggraverà le disuguaglianze. “Già oggi vediamo spopolarsi intere aree del Paese senza servizi per scivolare verso quattro polarità”, osserva il prof. Pileri. “Servirebbero al contrario collegialità, cooperazione, capacità di colmare le differenze”
“A noi non interessa tanto di colmare l’abisso di ignoranza, quanto l’abisso di differenza”. Queste parole, così forti e belle, le pronunciava don Lorenzo Milani per sostenere che la scuola doveva essere eccezionale ovunque nel Paese, così come l’impegno a far sì che tutti potessero comprendere tutti e tutto, per non essere tagliati fuori. Ecco basta questa frase per demolire quell’attentato all’equità che il governo sta impacchettando con la legge sull’autonomia differenziata. Una norma che renderà più ricchi i ricchi e più poveri i poveri. Più forti i poli territoriali forti e ancor più deboli e dipendenti quelli marginali e in sofferenza. Più emarginati i periferici e più centrali quelli che sono in centro. Pensavo che uno Stato degno del nome di “Stato democratico” fosse tale se avesse il chiodo fisso di generare equilibri, appianare differenze, creare condizioni di uguaglianza in ogni dove, e non il contrario.
Quel che è stato già dato in termini di autonomie alle Regioni ha spessissimo generato problemi, ai più poveri e periferici ovviamente. Prendete il trasporto ferroviario regionale il cui servizio si è ridotto al minimo del minimo del minimo in alcune Regioni che sono in difficoltà finanziaria rendendo quei cittadini meno cittadini di altri. E non bisogna andare al Sud, come dice qualcuno, basta andare in Piemonte o nelle periferie regionali di alcune Regioni “ricche”.
E potremmo dire cose simili per le scuole. Per le infrastrutture. Acuire questi disastri con una legge che dividerà, di fatto, l’Italia in venti Regioni ancor più diseguali, è necessario? Qualcuno ha calcolato gli effetti sociali devastanti? Già oggi vediamo spopolarsi intere aree del Paese per scivolare verso quattro polarità italiane, con tutti i doppi effetti disastrosi di abbandono territoriale da un lato e di eccesso territoriale dall’altro. Persone che si trovano stritolate in una macchina urbana che li spolpa ma a cui non possono fare a meno perché da dove vengono i servizi sono ridotti ovvero “differenziati”. Continuiamo a vedere giovani che emigrano da un Paese sempre più diseguale e sempre più chiuso alle loro aspettative. Questa legge arginerà quelle emorragie? No, anzi le aggraverà. Stanno chiedendo il loro parere? No, ovviamente. Men che meno si interrogano su questioni ambientali.
Tra le materie “delegabili” alle Regioni, infatti, ci potrebbe cascare anche la lettera s) del secondo comma dell’articolo 117 della Costituzione: “Tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali”. Ecco che ai disastri sociali si aggiungono altri disastri che genereranno nuovi disastri sociali. Già perché, come abbiamo scritto tante volte su Altreconomia, la questione ecologica, di cui i governi si riempiono la bocca con il loro Piano nazionale di ripresa e resilienza, richiede un approccio esattamente contrario all’autonomia differenziata per essere affrontata con successo. Gli ecosistemi non riconoscono i nostri perimetri amministrativi, le nostre Regioni, i nostri Comuni. Il clima non è governabile in Lombardia in un modo e in Puglia in un altro: ma che cosa stiamo dicendo? Un fiume che bagna due Regioni come lo gestiremo? Una valle che è tagliata da due Regioni che fine farà? E un bosco? E l’anidride carbonica?
Non oso pensare all’urbanistica che diventerà ancor più predatoria di quel che è. Non oso pensare alla fine che faranno i suoli, già rapinati da modelli di sviluppo economico e finanziario folli con la complicità di sacche di ignoranza ecologica inaccettabili in questo presente di guasto climatico perenne. Il disegno di legge, ovviamente, non cita né la questione ambientale né quella ecologica né l’urgenza climatica dando l’ennesima prova che questa classe politica è completamente indifferente alle ragioni della natura e non si rende conto di essere seduta su un fornello acceso. Gli interessa, solo e di nuovo, poter disporre come vuole delle risorse naturali, in funzione delle proprie esigenze e ricchezze locali. Se la Lombardia avrà più soldi, farà più pannelli solari a terra. Se avrà più soldi avrà più voce in capitolo per esportare un po’ di rifiuti nelle Regioni più povere che saranno alla canna del gas e si renderanno disponibili, obtorto collo, a ricevere gli scarti dei ricchi.
Insomma questa disastrosa proposta di autonomia differenziata, che faremmo meglio a chiamare deregulation egoista per ricchi, non ci serve e danneggerà tutti, ricchi compresi. Ci serve una legge per la collegialità, per le filiere, per la cooperazione, per colmare le differenze, per imparare a riconoscere sul territorio le differenze disegnate dall’evoluzione della natura nei secoli, per imparare a rispettare le logiche non confinabili di paesaggi ed ecosistemi, per capire che siamo tutti sulla medesima barca, che nessuno si salva da solo perché non siamo soli e siamo connessi da fili che non vediamo perché non vogliamo vedere, presi come siamo dall’egoismo. Bruciate nel camino quel disegno di legge e scrivete altre storie per colmare gli abissi di differenze che piegano questa povera Italia, governata sempre peggio. Ricordiamoci, di nuovo grazie a don Lorenzo Milani, che la politica non è questo teatrino di egoismo e avarizia che stiamo subendo a forza, ma è qualcosa che mette insieme alto con basso, grande con piccolo, chi è indietro con chi è più avanti, per uscire tutti insieme dal pantano in cui ci si trova: “Ho imparato che il problema degli altri è uguale al mio. Sortirne tutti insieme è la politica. Sortirne da soli è l’avarizia”.
Paolo Pileri è ordinario di Pianificazione territoriale e ambientale al Politecnico di Milano. Il suo ultimo libro è “L’intelligenza del suolo” (Altreconomia, 2022)
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