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Non autosufficienza: la riforma (per ora) non si farà
Tre aspetti centrali della legge delega non trovano attuazione adeguata nel nuovo decreto. Una situazione che si somma all’assenza di risorse finanziarie. La rubrica a cura dell’Osservatorio internazionale per la coesione e l’inclusione sociale (OCIS)
La “Legge Delega per la non autosufficienza” (numero 33/2023) disponeva alcuni passaggi fondamentali: un sistema integrato (sanità e assistenza) di prestazioni long-term care (Ltc) dotato di una governance unificata e riconoscibile; un sistema di accesso e valutazione del bisogno unificato e standardizzato a livello nazionale; un nuovo servizio di assistenza domiciliare che superasse il dualismo tra servizi sanitari e assistenziali; la riforma dell’indennità di accompagnamento tramite l’introduzione di una “Prestazione universale” che doveva prevedere una graduazione della misura in base al bisogno e una “opzione servizi” in alternativa al semplice trasferimento monetario.
Il decreto attuativo sviluppa l’avvio di un sistema nazionale di valutazione della non autosufficienza in grado di superare l’estrema frammentazione dei percorsi attuali di accesso alle prestazioni long-term care. La giungla infinita di procedure amministrative sarà superata da un nuovo sistema che prevede due soli passaggi: una valutazione nazionale sulla base di strumenti standardizzati e una regionale finalizzata alla stesura di un Piano assistenziale individuale. Gli altri tre aspetti centrali della riforma, invece, non trovano un’attuazione adeguata, a partire dalla costruzione di un sistema integrato.
La legge di riforma, infatti, prevedeva l’istituzione del Sistema nazionale per la popolazione anziana non autosufficiente (Snaa) e una programmazione integrata di tutti gli interventi a titolarità pubblica. Il decreto ne riduce l’ambito agli interventi socioassistenziali, confermando il dualismo tra assistenza e sanità ereditato dal passato. Per quanto riguarda l’assistenza domiciliare, invece di integrare i servizi esistenti di carattere sanitario e sociale, il decreto si limita a prevederne il coordinamento, evitando di definire aspetti cruciali quali la durata dell’assistenza e le professionalità da coinvolgere.
Non c’è stata la riforma dell’indennità di accompagnamento, che resta del medesimo importo, limitandosi ad avviare una sperimentazione biennale della nuova “Prestazione universale”: una misura aggiuntiva, pari a 800 euro mensili, a cui potranno accedere i beneficiari dell’indennità di accompagnamento over 80, in condizioni certificate come “gravissime” e con Isee inferiore a seimila euro annuali.
Il dispositivo fa un importante passo in avanti e due passi indietro. Da un lato, la “Prestazione universale” deve essere obbligatoriamente convertita in servizi di cura, anche forniti da una badante assunta regolarmente: non più cash, ma solo servizi. Dall’altro, nonostante la prestazione sia “universale”, l’accesso è consentito sulla base di una “prova dei mezzi”: un grave arretramento rispetto all’indennità di accompagnamento, che viene erogata indipendentemente dal reddito, riconoscendo il diritto alla cura come un bene primario di cittadinanza. Il secondo passo indietro è che la nuova misura è aggiuntiva dell’indennità e non prevede, come invece è scritto nella legge 33/2023, che questa venga riassorbita nella nuova misura.
Prevedendo due opzioni -una cash, solo trasferimento monetario svincolato, come è attualmente, e l’altra cash for care, opzione servizi, con importo aumentato e utilizzabile solo per accedere a servizi di cura- la norma avrebbe creato le premesse per una forte crescita dell’offerta di servizi al posto del sistema attuale, fondato esclusivamente su trasferimenti monetari che lasciano la cura al “fai-da-te” delle famiglie.
Configurandosi invece come un’aggiunta per pochissimi, la “Prestazione universale” non potrà mai essere ampliata all’intera platea dei non autosufficienti, finendo per diventare un intervento di nicchia destinato ad aumentare la complessità del sistema. La legge 33/2023 sugli anziani aveva sollecitato molte aspettative sulla possibilità che trovasse sbocco la tanto attesa riforma del sistema italiano di long-term care. Il decreto attuativo, coniugato con l’assenza di risorse finanziarie allocate sulla non autosufficienza, segnala che la riforma annunciata per ora non si farà.
Costanzo Ranci è professore di Sociologia economica al Politecnico di Milano, dove coordina il Laboratorio di politica sociale (Lps). Fa parte dell’Osservatorio internazionale sulla coesione e l’inclusione sociale (OCIS)
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