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No Tav, da 25 anni
Una cronologia ragionata dell’opposizione all’Alta velocità tra Torino e Lione, tra manifestazioni, arresti e sgomberi violenti —
La resistenza compie 25 anni. Le prime proteste contro la linea ferroviaria ad “alta velocità” tra Torino e Lione si registrano infatti in Val Susa già nel 1989. All’epoca sono contestazioni all’ipotesi di un progetto che inizierà a prendere forma nel 1991, con la presentazione da parte delle Ferrovie dello Stato al Senato della nuova società per l’Alta velocità ferroviaria (Tav). Nel 1994 la nascita di Alpetunnel, che poi diverrà (nel 2001) Lyon Turin Ferroviarie (Ltf), la società incaricata della progettazione della tratta: 270 chilometri, di cui 57 in galleria. Le proteste si intensificano e arrivano i primi arresti: nel 1998 tre giovani sono accusati di appartenere a un’organizzazione paraterroristica. Due di loro, Edoardo Massari (soprannominato “Baleno”) e Maria Soledad Rosas (“Sole”) moriranno durante la detenzione, incolpevoli. Nel frattempo, nel 1995, viene sciolto per mafia il primo comune del Nord Italia: è Bardonecchia, in provincia di Torino.
A circa 40 chilometri da lì c’è Venaus, dove nella notte tra il 5 e 6 dicembre 2005 avviene la prima violenta repressione del movimento da parte della polizia, che sgombera il presidio No Tav in quella che verrà ricordata come “la notte delle infamie”. Segue, l’8 dicembre, una manifestazione pacifica di 30mila persone da Susa a Venaus. A marzo 2006 l’istituzione dell’Osservatorio tecnico sulla Torino-Lione.
Un anno dopo, nel gennaio 2010, un incendio distrugge il presidio No Tav di Borgone; poco dopo, distrutto anche quello di Bruzolo.
Passa più di un anno, arrivano i primi tentativi di avviare i lavori del tunnel esplorativo di Chiomonte, nasce la “Libera repubblica della Maddalena”: a fine giugno 2011 verrà sgomberata con violenza, anche con l’utilizzo di gas lacrimogeni. All’imponente manifestazione (50mila i partecipanti) del 3 luglio 2011 a Chiomonte seguono scontri intorno alle recinzioni del cantiere, alla fine dei quali si contano 400 feriti tra manifestanti e forze dell’ordine.
La Procura di Torino fa la sua parte: stando a quanto riporta il registro informatico del Palazzo di giustizia, nel 2010 i fascicoli aperti contro manifestanti No Tav sono 9, con 108 iscritti sul registro degli indagati. Nel 2011 i fascicoli sono 64 con 327 indagati, nel 2012 50 fascicoli per 272 attivisti. Nel solo 2013 i nuovi fascicoli aperti sono 70, per 280 indagati No Tav, che quindi in soli 4 anni ammontano a circa mille. Solo nel 2013 però la protesta viene definita “eversiva” e riappaiono le contestazioni di reato di terrorismo (cui si accompagnano quelle per resistenze, violazioni della “zona rossa”, sabotaggi, stalking verso gli operai del cantiere).
Il 19 maggio 2014 Marco Bruno, che nel febbraio 2012 nel corso di una manifestazione a Chiomonte aveva dato della “pecorella” a un carabiniere, viene condannato a 4 mesi di reclusione con la condizionale per oltraggio a pubblico ufficiale.
Anche la Commissione europea interviene sul tema: nel marzo 2013 ufficializza la riduzione del contributo per la realizzazione della tratta nella misura del 41%. Un anno dopo, in una relazione al Consiglio e al Parlamento Ue sulla lotta alla corruzione, nel sottolineare la “specificità” italiana, per la quale “nel solo caso delle grandi opere pubbliche la corruzione è stimata a ben il 40% del valore totale dell’appalto”, la Commissione cita proprio l’alta velocità, il cui costo medio “in Italia è stimato a 61 milioni di euro a chilometro”, contro “gli appena 10,2 milioni di euro a chilometro della Parigi-Lione, i 9,8 milioni di euro della Madrid-Siviglia e i 9,3 milioni di euro della Tokyo-Osaka”.
La ratifica del trattato intergovernativo, che sancì l’impegno dei governi italiano e francese nel realizzare l’opera, risale al 2002. All’epoca si motivava la nuova linea ferroviaria con il raddoppio del traffico merci sulla tratta, con conseguente saturazione di questa, entro il 2006.
Condizione che non si è nemmeno lontanemente verificata, né si verificherà mai. —