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Economia / Intervista

Nicholas Shaxson. Nel buco nero delle nostre economie

Questa immagine è stata tratta dal report “Amazon’s European chokehold” pubblicato dal centro di ricerca sulle multinazionali SOMO © SOMO

Il giornalista esperto di evasione fiscale ha dato vita a un nuovo progetto per contrastare lo strapotere delle multinazionali e la corsa neoliberale ai monopoli. Da Amazon a Meta: le grandi concentrazioni sono un problema per le democrazie

Tratto da Altreconomia 262 — Settembre 2023

Nicholas Shaxson è tra i più preparati e brillanti giornalisti economico-finanziari del nostro tempo. Inglese di base a Berlino, è stato tra i primi a occuparsi dello sporco legame tra la corruzione e lo sfruttamento di gas e petrolio in Africa da parte delle multinazionali occidentali (con il libro “Poisoned Wells” del 2008), dei paradisi fiscali (con “Treasure Islands” nel 2011) e della “maledizione della finanza” (con “The finance curse” nel 2018). Fino a metà maggio di quest’anno è stato tra le anime della rete indipendente sull’equità fiscale Tax Justice Network, nata nel 2003, che ha lasciato dopo una vita firmando un lungo e appassionante articolo di commiato che termina così: “Perché lascio Tax Justice Network? Perché sono stato rapito da un’altra storia collegata”. Quella cioè dello strapotere delle multinazionali (in inglese l’espressione è corporate power), della natura monopolistica del “mercato”, concentrato in poche mani, e della privatizzazione. Un problema gigantesco per le democrazie che lo ha spinto a dar vita a un nuovo progetto, il Balanced Economy Project. Perché, come dice Shaxson, se le ricchezze offshore vent’anni fa erano il “cuore oscuro” della globalizzazione, lo strapotere di poche imprese transnazionali oggi è il “buco nero” delle nostre economie.

Shaxson, che cosa intende con questa nuova fase della lotta al corporate power e perché oggi è prioritario occuparsene?
NS Le organizzazioni della società civile e le persone comuni lottano da sempre contro il potere delle imprese, ma le vittorie sono “ridotte” e in molti settori, se non nella maggior parte, stiamo perdendo terreno. È come se collettivamente ci fosse mancato qualcosa. E questo qualcosa deriva dal fatto che non osserviamo con sufficiente attenzione il potere delle imprese. Vorrei fare un esempio per illustrare ciò che intendo. Prendiamo il caso della whistleblower di Facebook, Frances Haugen, che nel 2021 ha fornito informazioni fondamentali sul modo cinico con cui l’azienda (ora Meta) non solo ha promosso algoritmi redditizi che alimentano l’odio e la disinformazione, favorendo i suicidi degli adolescenti, il genocidio in Myanmar, l’aumento del negazionismo climatico e così via, ma sapeva tutto e ha continuato ad andare avanti. La testimonianza di Haugen è stata utile ma si è sbagliata su un punto fondamentale. Lei voleva “aggiustare” Facebook, cioè cambiare il suo comportamento e le sue attività. Ma scandalo dopo scandalo, non sembra mai cambiare. Perché? Per il semplice fatto che se si vuole “aggiustare” Facebook si deve iniziare con l’abbatterne il potere. Mark Zuckerberg è troppo potente. Se non si comincia con l’attaccare il suo potere, tutti i nostri tentativi saranno come un cagnolino che si mette alle calcagna di un gigante.

Che cosa ci manca allora quando tentiamo di scalfire questo “potere”?
NS Ci sono molti modi per farlo e in alcuni campi i cittadini, i sindacati e la società civile sono già molto attivi: si può tassare di più, si possono avere buone leggi a favore dei lavoratori, forti norme sulla privacy, un giro di vite sugli abusi ambientali e così via. Ma tutte queste iniziative attaccano il loro potere indirettamente. C’è invece un modo diretto per affrontare il potere, che viene trascurato dalla società civile. Si tratta di un kit di strumenti che è stato preso dai “ragazzi” della Scuola di Chicago e trasformato in un arnese neoliberista e pro-monopolio, incoraggiando le aziende a diventare sempre più grandi in nome di una presunta “efficienza” d’impresa. Ma il problema qui non è lo strumento -che va sotto il nome orribile di concorrenza- il problema è che questo è stato catturato ed è ora nelle mani di un’élite tecnocratica divenuta “l’establishment della concorrenza”.

Ecco perché penso che oggi il compito sia quello di riappropriarsi della concorrenza, nell’interesse pubblico, e di cacciare i neoliberisti. Se ci riusciremo avremo l’arma più potente di tutte per affrontare il potere delle imprese, questa volta non indirettamente ma direttamente. Ad esempio, può essere usata per smembrare le più grandi multinazionali del mondo. Attenzione: non con lo scopo neoliberista di creare maggiore concorrenza ma per decentrare, disperdere e democratizzare le concentrazioni di potere economico. Ecco, quindi, una nuova strada che vedo per affrontare il potere delle imprese: recuperare questo strumento. Negli Stati Uniti sta accadendo qualcosa di molto interessante.

Nicholas Shaxson è un giornalista economico-finanziario inglese. Ha scritto per Financial Times, New York Times, The Guardian, The Economist, Vanity Fair, Washington Post, Times, Foreign affairs, IMF © Karen Paalman

Ci dica di più?
NS Intorno al 2010 è emerso un nuovo movimento antimonopolistico radicale, il cui obiettivo centrale era rivendicare la concorrenza (nel senso che ho spiegato prima) e abbattere le concentrazioni di potere. Il movimento è diventato rapidamente influente -gli americani detestano i monopoli- e nel 2021 l’amministrazione di Joe Biden ha nominato alcuni dei principali esponenti radicali in posizioni di rilievo: Lina Khan a capo della Federal trade commission, Jonathan Kanter a capo della Divisione antitrust del dipartimento di Giustizia, Tim Wu nel gruppo dei consiglieri economici di Biden. Non è molto noto ma queste persone hanno già ottenuto tanto: ad esempio stanno cercando di smantellare sia Google sia Amazon, ancora una volta non per creare una maggiore concorrenza neoliberale, ma per colpire il cuore del loro potere, perché questo sta minacciando la democrazia americana. Li aspetta una grande battaglia. Se Donald Trump venisse rieletto questi personaggi verrebbero fatti fuori e le classi dei miliardari tornerebbero a comandare.

E in Europa?
NS In Europa ci sono alcuni esponenti “radicali” ma siamo molto indietro: malgrado le notizie relative alle multe miliardarie alle grandi imprese tecnologiche, la commissaria europea per la concorrenza Margrethe Vestager è una neoliberista che non vuole affrontare seriamente il potere delle imprese. Tra l’altro, lo dico come interessante nota a margine, nell'”establishment della concorrenza” di Bruxelles e Londra -che tende a proteggere l’ideologia pro-monopolio- ci sono alcuni dissidenti che stanno dalla parte di quelli che prima definivo i “radicali” (e dalla parte della società, genuinamente contro il potere monopolistico). Ho notato che una percentuale sorprendentemente alta di questi dissidenti, questi genuini anti-monopolisti, sono italiani. È qualcosa che ha a che fare con Berlusconi e con tutta la sua storia? O è solo una coincidenza? Non ne ho idea ma è interessante.

Nel 2003 la rete indipendente per l’equità fiscale Tax Justice Network compie vent’anni. Lo scorso luglio ha presentato il proprio rapporto annuale in cui evidenzia come gli Stati perdano 472 miliardi di dollari ogni anno per colpa dei paradisi fiscali, di cui 301 miliardi per mano degli artifici fiscali delle multinazionali e 171 miliardi in capo a singoli facoltosi

In che modo la struttura dei mercati può influenzare le democrazie?
NS Quando penso alla “struttura dei mercati” la prima domanda che mi faccio è: “Chi domina questi mercati? Dove si trova il potere?”. Ad esempio, chi domina il commercio online? In molti Paesi, fino al 90% degli acquirenti online utilizza Amazon. Quindi per molte aziende è una questione di vita o di morte poter vendere i propri prodotti su Amazon e per questo motivo accetteranno condizioni orribili, ad esempio pagando commissioni enormi e ingiustificate. Quest’anno il centro di ricerca indipendente olandese SOMO ha pubblicato un ottimo rapporto su Amazon (ne abbiamo scritto qui, ndr). Le aziende versano alla multinazionale altissime commissioni, in parte per cose reali come la consegna e la pubblicità. Ma gran parte delle tariffe sono il risultato del potere di Amazon. Questa vende anche i propri prodotti sul suo marketplace in concorrenza con questi venditori indipendenti, quindi è sia arbitro sia giocatore. Si tratta di un comportamento profondamente ingiusto, improduttivo e oligarchico. Si può pensare che sia come un campo gravitazionale intorno a una stella gigante o a un buco nero: se si rimane intrappolati nella rete si perde il controllo della propria direzione. Ci sono molti di questi buchi neri nei nostri mercati: è la struttura a essere sbagliata.

Il 90% delle persone che fa acquisti online utilizza Amazon. Per molte aziende poter vendere i propri prodotti su questa piattaforma è fondamentale e per farlo accettano di pagare commissioni enormi e ingiustificate

Quali sono oggi i settori più “colpiti” da questo fenomeno e quali le aziende più rappresentative?
NS Direi che le Big Tech e il loro settore è l’esempio più pericoloso. Queste aziende -soprattutto Google e Amazon- sono probabilmente i più potenti monopolisti della storia mondiale. Si stanno introducendo sempre più profondamente nelle nostre vite, stiamo diventando sempre più dipendenti da loro e la loro capacità di manipolare e discriminare non ha eguali. Hanno “catturato” -del tutto o quasi- i governi, eppure la maggior parte delle persone le considera piuttosto benigne, utili o convenienti. Dopo le Big Tech direi che il settore più pericoloso è quello della finanza. Probabilmente perché sono britannico e il mio Paese è davvero rapito dalla “grande finanza”, ma questa non è solo fortemente monopolizzata, è anche un motore fondamentale della monopolizzazione dell’economia.

Per esempio, le grandi banche d’investimento hanno ricchi dipartimenti di “fusioni e acquisizioni” che mettono a punto “affari” per fondere grandi aziende in altre più grandi. In questo caso non sono solo facilitatori passivi: spingono attivamente la monopolizzazione. Inoltre, concedono prestiti a basso costo ai monopolisti, privando del credito i concorrenti più piccoli.

Ha paragonato il sistema dei monopoli a una sorta di “privatizzazione delle regole”. Perché? Che fine ha fatto lo Stato?
NS
Supponiamo che quattro aziende facciano cartello per fissare il prezzo del riso e mantenerlo artificialmente alto. Insieme hanno potere, godono di una posizione dominante e ne abusano. Se un buon regolatore scopre il cartello segreto dovrebbe ricorrere alla legge per romperlo e per punire i colpevoli. E il prezzo del riso dovrebbe scendere. Ora però immaginiamo che queste quattro aziende si uniscano e diano vita a un monopolio o quasi sul riso. Il cartello è legalizzato, e probabilmente persino rafforzato. Il governo non può più usare le sue regole anti-cartello: ora è molto più difficile entrare in questa zona di regolamentazione privata per affrontare il comportamento abusivo che deriva dalla posizione dominante.

Altro esempio: Uber. Si è appropriato di un’attività economica -quella dei servizi di taxi regolamentati- e l’ha racchiusa nella propria sfera privata, dove ora è Uber, anziché il governo, a stabilire le principali regole del gioco. Come hanno dimostrato i recenti “Uber files“, i governi fanno un lavoro infernale nell’influenzare queste regole, e la corruzione è pratica comune. Nella sfera della concorrenza si parla di “giardini recintati”. Apple, ad esempio, ha un enorme “giardino recintato”: una zona che la multinazionale regolamenta e dalla quale tiene fuori il governo, per quanto possibile. Le regole per l’App store online, le regole per l’utilizzo delle informazioni e così via sono regole della stessa Apple. È un po’ come nei secoli scorsi, quando i membri più importanti della nobiltà avevano i loro castelli, dove avevano un potere enorme, e su di loro c’era solo un debole controllo da parte di chi era al potere nel territorio. Un nobile poteva diventare troppo potente e persino minacciare l’integrità della nazione. Sono certo che tutti noi oggi possiamo pensare a qualche caso di azienda del tipo che ho descritto prima.

“Dopo le Big Tech il settore più pericoloso è la finanza. Non è solo fortemente monopolizzato ma è anche un motore centrale della monopolizzazione dell’economia”

Ai cittadini-consumatori viene detto che un’economia efficiente concentrata nelle mani di pochi giganti garantisce economie di scala e prezzi competitivi. È davvero così? E perché un consumatore di oggi dovrebbe preoccuparsi dei monopoli?
NS
Questo è uno dei più grandi trucchi dei “Chicago boys” degli ultimi 50 anni: hanno fatto in modo che tutti si concentrassero sugli interessi dei consumatori, in modo da perdere di vista gli interessi dei lavoratori, dei cittadini, dei contribuenti, delle piccole imprese e così via. Quando si parla di politica della concorrenza, la chiamano “welfare dei consumatori”. L’idea è che se le aziende si fondono e diventano più grandi, si ottengono economie di scala, che vengono chiamate “efficienze” e si presume che si ripercuotano sui consumatori.

Nella versione più pura di questo welfare dei consumatori va benissimo permettere alle grandi aziende di distruggere i sindacati e schiacciare i lavoratori, lasciare che le industrie inquinino, che le aziende tecnologiche rubino i nostri dati e li usino per manipolarci, partendo dal presupposto che queste attività genereranno un surplus aziendale (o “efficienze”) che poi ricadrà sui consumatori. Le multinazionali impiegano le loro maggiori forze lavoro dove i salari sono più deboli e le tutele dei lavoratori più basse, gestiscono i loro affari finanziari attraverso paradisi fiscali dove le tasse sono più basse, e così via. Queste “efficienze” consentono loro di vendere beni a prezzi più bassi ai consumatori. Faccio un commento banale: abbiamo scambiato buoni posti di lavoro con del cibo a basso costo. Ma anche in questo caso il cibo non è più economico come risultato del potere monopolistico, è più costoso. L’aumento della produzione alimentare è legata al cambiamento tecnologico e non al potere monopolistico.

Scrive che “per de-corrompere le nostre economie, bisogna iniziare a de-monopolizzarle”.
NS Fin dai tempi di Platone la corruzione è stata definita come l’abuso di potere a fini egoistici e privati. Transparency International, la più nota organizzazione anticorruzione, definisce la corruzione come “l’abuso del potere affidato per un guadagno privato”. La maggior parte delle persone, quando vede la parola corruzione pensa al governo. E ovviamente ce n’è tanta. Ma anche in questo caso si tratta di una visione neoliberale piuttosto ristretta: la Banca Mondiale la definisce come “l’abuso di cariche pubbliche a fini di lucro”.

Ma sono solo i governi a essere corrotti? Guardate di nuovo la definizione più ampia di Transparency International: “L’abuso del potere affidato per un guadagno privato”. Pensate ora a un monopolista abusivo, un’entità con troppo potere, che approfitta di tale potere per un egoistico guadagno privato. Questo corrisponde perfettamente alla definizione. Anche la parola “affidato”: noi come società, come governo, permettiamo a queste imprese di diventare troppo potenti. È perfettamente possibile abbattere queste concentrazioni di potere, e questo è stato fatto molte volte nel corso della storia. Il potere monopolistico corrompe i mercati, corrompe il governo, la politica e il discorso pubblico. I monopolisti tendono ad avere molto più denaro di chiunque altro e lo riversano nelle campagne politiche, nei think tank, nei media, nel mondo accademico e così via. Corrompendo tutto.

Ultima domanda: quando ha descritto il fenomeno dei paradisi fiscali offshore ha usato l’espressione di “cuore oscuro della globalizzazione”. Come definire oggi lo strapotere di poche imprese nella globalizzazione contemporanea?
NS I monopoli sono i buchi neri delle nostre economie. Risucchiano materia da tutto ciò che li circonda, diventano sempre più potenti e trascinano tutti nei loro soffocanti campi di forza. Anche se il paragone non è del tutto esatto: non si può fare nulla contro i buchi neri. Con il potere monopolistico, invece, ci sono molte cose che si possono fare. Due sono necessarie: la prima è che lo si veda, la seconda è che si trovi un po’ di coraggio politico e si agisca.

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