Diritti / Attualità
Nella Trieste “Luna park”, dove si può morire di abbandono
Tra settembre e ottobre hanno perso la vita due persone senza fissa dimora. Fatti tragici, e diversi tra loro, che evidenziano però le difficoltà dei servizi del capoluogo giuliano chiamati a occuparsi di chi si trova in condizioni di estrema marginalità. Lo conferma l’aggiornamento del report “Vite abbandonate” della Rete solidale cittadina
A Trieste si muore di abbandono. Sono due le persone senza fissa dimora decedute in città tra settembre e ottobre, nonostante le temperature siano rimaste estive fino all’autunno. Si tratta di B.K., cittadino iraniano impiccatosi lungo un’infrastruttura che connette il centro abitato all’autostrada, e S.A.K., un cittadino romeno vittima di un malore.
Queste morti -pur nella diversità delle circostanze in cui sono avvenute- testimoniano la difficoltà in cui si trovano a Trieste i servizi che si occupano delle persone in condizione di estrema marginalità. Del resto, il nuovo aggiornamento del report “Vite abbandonate” presentato dalle realtà della Rete solidale cittadina, che comprende la Comunità di San Martino al Campo, il Consorzio italiano di solidarietà (Ics), la Diaconia valdese (Csd), Donk humanitarian medicine, Internazional rescue commitee Italia e Linea d’Ombra, parla chiaro.
A oggi sono disponibili solo otto posti letto nei servizi di bassa soglia ad alta rotazione, quelli, cioè, dedicati a coloro che non sono residenti già presi in carico. Un numero infimo, se si pensa che attualmente sono 391 i richiedenti asilo rimasti fuori dal sistema di accoglienza, con una media di 45 nuovi arrivi al giorno. Si tratta di un bisogno d’aiuto altissimo, a cui vanno aggiunte le necessità di coloro che non sono richiedenti asilo, ma non sono nemmeno già seguiti dai servizi sociali. “Trieste è una città al confine con i Balcani, con delle particolarità geografiche che non si possono ignorare -spiega Gianfranco Schiavone, presidente di Ics- ci sono molte persone che si trovano in situazione di difficoltà, che non vogliono tornare nei loro luoghi d’origine per diversi motivi o che magari sono in viaggio. Non c’è però alcuna adeguata riflessione da parte dell’amministrazione comunale”. Amministrazione che Altreconomia ha cercato di interpellare nei giorni scorsi, nella persona di Massimo Tognolli, assessore alle Politiche sociali, senza ricevere, a oggi, alcuna risposta. “I servizi di bassa soglia sono ridotti all’osso -continua un operatore di una delle realtà della Rete solidale, che preferisce rimanere anonimo- e si tratta di scegliere a chi dare un posto e a chi no”.
Le due persone decedute erano conosciute da chi tutti i giorni si impegna per prestare soccorso a coloro che si trovano per strada, senza un sostegno da parte delle istituzioni. Il primo, B.K., titolare di un permesso di soggiorno, era arrivato in Italia dal Belgio a inizio estate. “Era molto fragile dal punto di vista psicologico -continua l’operatore-. Aveva in diverse occasioni minacciato il suicidio, era arrivato al limite, non ne poteva più”. Il secondo, S.A.K., era un cittadino comunitario, che si trovava in una condizione di abuso da sostanze, in particolare di alcolici e che, come dicono le persone che lo vedevano nel Centro diurno di via Udine, ricovero della Comunità di San Martino al Campo che era solito frequentare, si era lasciato andare negli ultimi tempi.
“Trieste è diventata una città doppia -commenta Schiavone-. Da una parte è esasperata la dimensione turistico-commerciale del centro, con un incremento folle dei prezzi, anche delle abitazioni; con l’arrivo delle crociere, la situazione è quella di un Luna park, con migliaia di persone che scendono per qualche ora, in un’ottica ‘mordi e fuggi’. Questo si scontra con quanto succede nel resto della città, fuori dal centro storico, che è completamente abbandonato a sé. Si tratta di una novità assoluta: prima Trieste si caratterizzava per una buona qualità di vita generale, in media, senza grandi disparità tra le diverse aree; c’era, com’è noto, un sistema sociale efficiente, che viene ancora adesso rivendicato e che pare in caduta libera”. Sembra sia in atto, quindi, la perdita di un patrimonio e di una tradizione di cura e di integrazione tra l’ambito sociale e quello sanitario, che avevano portato il capoluogo giuliano ad avviare esperienze estremamente innovative, come le microaree, servizi calati nei quartieri popolari, pensati per contrastare l’emarginazione delle persone più vulnerabili.
Secondo le realtà della Rete solidale, c’è bisogno di una presa di coscienza delle istituzioni e di un ripensamento degli aiuti riservati a chi si trova in una condizione di fragilità, in special modo per chi è senza fissa dimora e non è ancora seguito dai servizi sociali, perché straniero -in viaggio o richiedente asilo- o per le lungaggini del sistema di presa in carico. Servirebbe -scrivono le realtà sociali nel nuovo report– predisporre un aumento dei posti di accoglienza notturna presso il sistema dei dormitori a bassa soglia, che preveda un’alta turnazione e una capienza complessiva di almeno 100 posti giornalieri. Contemporaneamente sarebbe necessario sistematizzare il trasferimento dei cittadini stranieri richiedenti asilo a Trieste, prevedendo almeno un pullman ogni settimana. Questi trasferimenti, tuttavia, hanno subito una nuova battuta di arresto dopo la breve ripresa all’inizio dell’estate. Tutto questo nel silenzio delle autorità e mentre la reintroduzione dei controlli delle frontiere interne terrestri con la Slovenia potrebbe costituire un pretesto per ricominciare delle riammissioni informali, pratica illegale di allontanamento delle persone migranti.
© riproduzione riservata