Economia / Opinioni
Mps e il (momentaneo) “no” del governo alla svendita a Unicredit. Meglio tardi che mai
Unicredit avrebbe prelevato Monte dei Paschi di Siena senza utilizzare capitale proprio, assorbendo unicamente la parte commerciale “buona” della banca , siglando un accordo sindacale sugli esuberi molto pesante, senza crediti deteriorati, addirittura futuri, e con la piena protezione legale. Un “salvataggio” particolare. L’analisi di Alessandro Volpi
Meglio tardi che mai. Sembra che il ministero dell’Economia stia accantonando, in maniera definitiva, la proposta avanzata da Unicredit per “acquisire” Mps. Forse è bene ricordare i punti essenziali di quella ipotesi, concepita dall’amministratore delegato Orcel e dal presidente, l’ex ministro Padoan: Unicredit avrebbe prelevato Mps senza utilizzare capitale proprio, assorbendo unicamente la parte commerciale “buona” della banca senese che le permettesse di aumentare gli utili, siglando un accordo sindacale sugli esuberi molto pesante per i lavoratori, senza crediti deteriorati, attuali e (sic) futuri, e con la piena protezione dalle cause legali originate dalle precedenti gestioni.
Tutto ciò avrebbe significato l’esborso da parte dello Stato di quasi 9 miliardi di euro, cui aggiungere il costo di circa 7-8mila esuberi. In pratica la riproposizione, molto più favorevole per il compratore, dello schema utilizzato quattro anni fa per la cessione delle banche venete. Orcel e Padoan sono rimasti fermi sulle loro posizioni anche di fronte alle recenti ipotesi avanzate dal governo di accettare le condizioni di Unicredit a patto che quest’ultimo istituto si facesse carico dell’intero perimetro del gruppo Mps con la sola eccezione delle filiali del Sud, destinate al Mediocredito centrale. Non è bastata neppure tale apertura a convincere i due “negoziatori” di Unicredit.
È abbastanza evidente quindi che Orcel e Padoan intendessero il “salvataggio” di Mps come un forte aiuto di Stato vero e proprio a beneficio di Unicredit, a cui concedere, oltre al 64% di partecipazione pubblica nella banca senese, costato allo Stato 5,4 miliardi di euro, una serie di benefici fiscali di notevole rilievo, così da rafforzarne una posizione già largamente predominante nel panorama nazionale e “caratterizzata” dalla presenza come maggiore azionista di un fondo hedge. Nella stessa ottica si collocava la valutazione di 1,3 miliardi di euro, fatta da Unicredit, per la cessione da parte di Mps del ramo d’azienda che ha una redditività stimata di 600 milioni annui; in pratica con una cessione fatta sulla base di tale valutazione, Unicredit avrebbe recuperato la spesa per l’acquisizione in soli due anni.
L’impressione chiara che si ricava da tutto ciò è che Unicredit intendesse utilizzare i risultati degli stress test europei sulle condizioni delle banche italiane, da cui Mps usciva molto male e con la richiesta di un significativo aumento di capitale, per fare un facile shopping e soprattutto acquisire vantaggi finalizzati a ridurre il proprio carico fiscale.
Ora, sembra, come accennato, che il governo ci stia ripensando e che sia orientato a chiedere -finalmente- una proroga a Bruxelles sui tempi della cessione della partecipazione pubblica che, appunto, non può essere un regalo. La strada percorribile sembrerebbe essere quella di trattare con la direzione Concorrenza della Commissione europea, guidata da Margrethe Vestager, oltre a una proroga lunga dei tempi per la cessione della partecipazione pubblica, la quantificazione di un aumento di capitale sostenibile e adeguato anche per la Vigilanza della Bce; in fondo i 2,5 miliardi di euro ipotizzati fin dall’inizio dalla parte pubblica non sono così distanti dalla realtà e, di questa somma, 1,5 miliardi sono già stati stanziati nel decreto legge n. 104 di agosto dello scorso anno.
Con Bruxelles e Francoforte sarebbe poi necessario escludere che l’ulteriore intervento pubblico comporti il sacrificio degli obbligazionisti, a partire dai titolari di quei subordinati ad alta volatilità, secondo la pesantissima logica del burden sharing. Lo Stato ha già messo risorse importanti in Mps e sarebbe opportuno valorizzarle, senza svendere, anche se questo imponesse un ulteriore sacrificio, destinato a eliminare gli Npl; il tanto declamato tasso di crescita del Pil al 6% e la prospettiva di un almeno parziale rialzo dei tassi possono aprire scenari nuovi per il Monte, che potrebbe valere assai più di quanto intendesse pagarlo Unicredit e recuperare quella profittabilità in grado di toglierlo dal mirino della stessa Bce. Del resto che la proposta Orcel-Padoan fosse molto favorevole per Unicredit è testimoniato dalla lievitazione del titolo, salito del 15% da fine luglio, quando tale proposta è stata resa pubblica. Davvero, meglio tardi che mai.
Alessandro Volpi è docente di Storia contemporanea presso il dipartimento di Scienze politiche dell’Università di Pisa. Si occupa di temi relativi ai processi di trasformazione culturale ed economica nell’Ottocento e nel Novecento.
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