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Diritti / Attualità

Assistenza e soccorso a migranti e rifugiati. La stretta europea sulla solidarietà

Una protesta a favore degli attivisti che nel marzo 2017 hanno bloccato un volo di rimpatrio forzato

Nel corso del 2018 e nei primi mesi del 2019 sono state indagate e processate 99 persone tra volontari e operatori di Ong. Il loro numero è in aumento rispetto al passato, così come la gravità delle accuse a loro carico. I casi analizzati in un report

Aumentano in Europa i casi di attivisti arrestati o processati per aver aiutato migranti e rifugiati (i cosiddetti “delitti di solidarietà”), spesso sulla base di accuse più gravi rispetto al passato  come l’appartenenza a un associazione criminale, lo spionaggio o addirittura terrorismo. La denuncia è contenuta nel report “When witnesses won’t be silenced: citizens, solidarity and criminalization”, pubblicato dall’Institute for race relations -un “think tank” inglese e che nel 2017 aveva già pubblicato un report sull’argomento- che ha analizzato 17 casi che si sono verificati nel corso del 2018 e i primi tre mesi del 2019 per un totale di 99 persone indagate o finite sotto processo. Otto casi (per un totale di 76 persone coinvolte) riguardano salvataggi in mare o prima accoglienza. Tra il 2015 e il 2017, l’IRR aveva monitorato 26 casi e 45 persone arrestate, indagate o processate ai sensi delle normative anti-immigrazione.

Occorre però fare un passo indietro per capire lo scenario in cui si inseriscono, da un lato, l’ondata di solidarietà in tutta Europa, e dall’altro la repressione ai danni di volontari e organizzazioni non governative. La morte del piccolo Alan Kurdi (avvenuta nel settembre 2015 nel mare davanti alle coste turche) aveva provocato la mobilitazione di migliaia di cittadini europei che hanno raggiunto località come Calais, Ventimiglia, Lesbo per prestare assistenza e soccorso ai rifugiati in transito. A una prima fase di apertura (simboleggiato dall’apertura delle frontiere tedesche voluto dalla cancelliera Angela Merkel) è seguita nel volgere di pochi mesi una stretta securitaria, guidata dai Paesi dell’Europa dell’Est, che ha trasformato l’emergenza umanitaria in una questione di sicurezza. “I volontari cominciarono presto a scoprire che non stavano solo rispondendo a una ‘crisi dei rifugiati’ -si legge nella prefazione al rapporto-, ma a una crisi dei valori dell’Europa”. Di fronte al loro attivismo, la risposta di diversi Paesi europei è stato un inasprimento delle politiche securitarie unita a procedimenti giudiziari.

Oltre all’aumento in termini numerici, il report denuncia un inasprimento delle accuse a carico di volontari, attivisti e organizzazioni non governative coinvolte in “delitti di solidarietà”. Esemplificativi, in questo senso, sono due processi iniziati in Grecia e in Marocco che hanno stabilito un pericoloso precedente “mettendo sotto processo i volontari di ‘Caminando Fronteras’ e ‘ERCI’ non solo per il favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, ma anche per il coinvolgimento in attività criminali”, denuncia il report di IRR.

La vicenda greca riguarda due volontari e l’ex direttore di “European Response Centre International (ERCI), impegnati nel supporto ai rifugiati sull’isola greca di Lesbo (compresa l’attività di ricerca e soccorso in mare, in collaborazione con la guardia costiera greca) sono stati accusati di traffico di esseri umani, riciclaggio di denaro, spionaggio, falso e appartenenza a un’organizzazione criminale. Un report di Human Rights Watch, che ha analizzato la vicenda, sottolinea come le accuse “non appaiono altro che uno sforzo per criminalizzare l’attivismo umanitario nei confronti dei migranti”. I tre volontari sono stati detenuti per 107 giorni, in attesa del processo, prima che fosse concesso loro di uscire su cauzione.

Helena Maleno Garzón, cittadina spagnola che vive a Tangeri (Marocco), che allerta le autorità spagnole e marocchine sulla presenza in mare di imbarcazioni in difficoltà, è stata processata e poi assolta nel 2017 da un tribunale spagnolo dalle accuse di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Nello stesso anno, è finita sotto processo in Marocco e descritta come “un importante trafficante internazionale di migranti”. Nel dicembre 2018 gli investigatori marocchini hanno dichiarato che non c’erano prove a suo carico e hanno chiuso il caso, che è stato chiuso ufficialmente nel marzo 2019. A Bruxelles, 12 attivisti (quattro belgi e otto stranieri) che fornivano gratuitamente accoglienza e assistenza ai migranti in transito all’interno dell’associazione “Platform for refugee support” sono stati processati con l’accusa di aver fatto parte di una rete criminale che aveva trafficato 95 persone attraverso il Belgio (tra cui 12 bambini).

Accuse molto gravi (compreso l’uso della legislazione anti-terrorismo) sono state mosse anche ad attivisti che sono intervenuti per fermare voli di rimpatrio forzato che avrebbero dovuto riportare migranti e richiedenti asilo nel loro Paese d’origine. Il caso più eclatante è quello degli “Stansted 15”, un gruppo di 15 attivisti che nel marzo 2017 hanno fatto irruzione sulla pista dell’aeroporto londinese di Stansted per bloccare -fisicamente- un volo diretto in Africa. Sono stati accusati di aver messo a rischio la sicurezza dello scalo sulla base di una norma anti-terrorismo e nel dicembre 2018 sono stati giudicati colpevoli. Non sono tuttavia stati condannati a pene detentive.

Assieme alla pubblicazione del report IRR ha inviato una lettera al Commissario europeo per la migrazione, Dimitri Avramopulos, denunciando l’abuso giudiziario ai danni di attivisti e operatori delle Ong Nel testo della lettera, inoltre si chiede al commissario Ue di rivedere il cosiddetto “Facilitation Package” e prendere misure urgenti per prevenire ulteriori casi di criminalizzazione della società civile. La richiesta di modifica riguarda un testo approvato nel 2002 in cui si afferma il principio secondo cui chiunque aiuti un migrante irregolare a entrare in Europa o durante il suo viaggio all’interno dei confini dell’Unione sta violando la legge e deve quindi essere sanzionato. A meno che non stia agendo per motivi umanitari.

Gli arresti e i processi ai danni di volontari e organizzazioni non governative rappresentano “una situazione del tutto inaccettabile -si legge ancora nella lettera inviata al Commissario Avramopulos- . Che, secondo noi, è resa possibile dal fatto che la Commissione continua a non garantire agli operatori umanitari la possibilità di non essere perseguito per le loro azioni. I volontari che rischiano la vita per condurre operazioni di salvataggio, sia sulla terraferma che in mare, non dovrebbero inoltre rischiare la loro libertà”.

“L’attuale ondata di procedimenti giudiziari, resa possibile dai fallimenti della Commissione europea, è del tutto inaccettabile. Ciò che è chiaro, tuttavia, è che gli attori della società civile sono più determinati che mai a lottare per e con gli sfollati. Lungi dall’essere scoraggiati dall’azione penale, i testimoni si rifiutano di essere messi a tacere”, ha commentato Liz Fekete, direttore dell’IRR.

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