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Migranti salvati nel Mediterraneo: una ricerca smonta le accuse contro le Ong
“Fattore di attrazione”, “aiuto indiretto ai trafficanti” e “causa dell’aumento dei morti in mare”. I luoghi comuni contro le organizzazioni non governative sono puntualmente smentiti dai dati della stessa agenzia Frontex. Un rapporto presentato il 9 giugno li ha messi in fila. I curatori: “Questa narrazione tossica serve per distogliere l’attenzione dall’incapacità dei governi ad affrontare i veri problemi”
La presenza delle navi delle Ong nel Mediterraneo centrale non ha fatto aumentare il numero delle traversate e non ha provocato un aumento dei morti tra i migranti in fuga dalla Libia. Dopo mesi di “narrazione tossica” che hanno gettato gravi accuse sulle associazioni impegnate nel soccorso in mare, una ricerca del Goldsmiths College dell’Università di Londra ricostruisce le cause reali che hanno portato alla situazione attuale nel Mediterraneo.
“I fatti, semplicemente, non supportano l’idea che le Ong impegnate nel soccorso siano responsabili dell’incremento nel numero delle traversate”, ha spiegato Lorenzo Pezzani di Goldsmiths durante la conferenza stampa di presentazione del rapporto “Blaming the rescuers” che si è svolta oggi a Roma. “Le argomentazioni contro le Ong ignorano deliberatamente il peggioramento delle crisi economiche e politiche che colpiscono numerose regioni dell’Africa e che sono fra le molte cause dell’incremento delle traversate nel 2016 -ha aggiunto-. In Libia, i migranti sono vittime di violenza estrema e sono disposti a tentare la traversata con o senza la presenza di attività di ricerca e soccorso”.
Tre gli elementi messi sotto la lente dai ricercatori, ovvero le tre principali accuse mosse in questi mesi alle Ong: il cosiddetto “fattore di attrazione” per i migranti in partenza dalla Libia, l’aiuto indiretto ai trafficanti e il fatto che la loro presenza renda più pericoloso l’attraversamento. Tre accuse che vengono sistematicamente smontate partendo da dati ed elementi messi a disposizione da Frontex (uno dei principali accusatori delle Ong), Triton ed EunavForMed. “Dipanando i fili dei vari processi e attori che hanno influenzato le dinamiche delle migrazioni nel Mediterraneo centrale tra il 2015 e il 2016 -si legge nel testo-, il rapporto esamina le accuse formulate contro le Ong e dimostra come si basino su dati parziali e falsi nessi di causalità”.
Il primo dato a essere smentito è il cosiddetto “pull factor”, ed è la stessa Frontex a fornire i dati corretti per leggere la situazione. Nel “Report annuale di analisi di rischio del 2017” l’agenzia delle frontiere europea evidenzia come l’aumento dei flussi di migranti provenienti dall’Africa subsahariana, dall’Africa occidentale e dal Corno d’Africa registrato nel 2016 (181.459 migranti, +18% rispetto al 2015) “dimostra che il Mediterraneo centrale è diventato la rotta principale per i migranti africani verso la Ue, ed è molto probabile che rimanga tale per il prossimo futuro”. Parallelamente si è registrato un aumento dei flussi lungo la “Rotta del Mediterraneo occidentale” che parte dal Marocco (+46% dal 2015 al 2016) nonostante l’assenza di Ong.
C’è poi l’accusa -particolarmente grave- che imputa alla presenza delle Ong l’aumento del numero di morti nel Mediterraneo. Il 2016, infatti, è stato un anno record per il numero di morti in mare: 4.851 i decessi accertati. Ma le Ong non hanno provocato un aumento: se si prendono in considerazione i dati relativi ai singoli mesi del 2016, infatti, si nota come il tasso di mortalità sia molto alto nei primi mesi del 2016 (prima che le Ong tornassero in mare dal termine della pausa invernale) per poi calare rapidamente con il loro ritorno in “acqua”. Il numero dei morti torna poi a salire solo quando la presenza delle navi umanitarie inizia a diminuire, alla fine dell’autunno.
“I fattori principali all’origine di una maggiore pericolosità delle traversate sono la crescita di un modello di tratta gestito dalle milizie libiche e gli effetti dell’operazione dell’Unione europea di contrasto ai passeur, nel corso delle quali sono state distrutte molte imbarcazioni di legno di grandi dimensioni, e non le ONG”, ha aggiunto Charles Heller di Goldsmiths.
Il terzo elemento al centro della ricerca “Blaming the rescuers” è il presunto aiuto (involontario) che le Ong darebbero ai trafficanti, spingendoli a usare barche di qualità scadente (gommoni di scarsa qualità al posto di più sicure imbarcazioni di legno) e quindi più pericolose perché sovraccariche. Un cambiamento che però è dovuto principalmente alla comparsa -verso la fine del 2015- di un nuovo modello di traffico controllato dalle milizie. Al tempo stesso l’attività di distruzione e sequestro delle imbarcazioni prevista dalla strategia di EunavForMed ha spinto i trafficanti a puntare sui gommoni. Più economici, facilmente reperibili e molto più pericolosi per i migranti.
“Le imbarcazioni di legno sono più preziose rispetto ai gommoni, perché possono trasportare più persone. Gli smugglers non possono più recuperare le imbarcazioni in alto mare e questo le rende un’opzione meno economica per il business. I gommoni vengono usati in due terzi dei casi e le imbarcazioni di legno solo in un terzo”, si legge in un report di EunavForMed datato 2015. Segno che l’uso di imbarcazioni più fragili e pericolose era già ampiamente diffuso prima che le Ong intervenissero in maniera massiccia nel Mediterraneo centrale. Sempre nello stesso report si legge: “Negli ultimi sei mesi abbiamo visto i trafficanti fornire le imbarcazioni con minori quantità di cibo e carburante, e metterle in acqua con condizioni meteo più rischiose”.
La ricerca si conclude osservando che le accuse contro le Ong ignorano deliberatamente il ruolo che altri attori, incluse le agenzie dell’Unione europea e i governi nazionali, hanno avuto nel rendere le traversate più rischiose. “Siamo convinti che la narrazione tossica che accusa ingiustamente le Ong sia parte di un tentativo più ampio di criminalizzazione delle iniziative di solidarietà verso i migranti -ha concluso Pezzani-. È anche una distrazione conveniente, dal momento che distoglie l’attenzione dall’incapacità dei governi ad affrontare i veri problemi. Bisogna fare un passo indietro e chiedersi innanzitutto le ragioni dell’esistenza di un vero e proprio vuoto nelle attività di ricerca e soccorso che rende necessario l’intervento delle Ong”.
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