Diritti / Attualità
La crisi umanitaria in Grecia e il collasso del diritto d’asilo europeo erano annunciati
Dopo la decisione di Ankara di riaprire la frontiera con la Grecia, si sono verificati violenti respingimenti dei migranti che cercavano di lasciare la Turchia. Le violazioni dei diritti hanno interessato anche le isole nell’Egeo orientale, dove in migliaia sono ristretti negli hotspot. Una situazione che si trascina da tempo, a quattro anni esatti dal contestato “accordo” contro i migranti tra Consiglio europeo e Turchia
“L’apertura della frontiera tra la Turchia e la Grecia ha aggravato una condizione già problematica, il cui collasso era prevedibile”. Giulia Cicoli è tra le fondatrici di Still I Rise, organizzazione non governativa che assiste i minori nel centro di identificazione per migranti sull’isola di Samo, a circa un miglio di mare dalle coste turche. “La situazione dell’accoglienza sulle isole greche nel mar Egeo è insostenibile da tempo. L’hotspot di Samo è pensato per 648 persone ma ora ne ospita oltre 7mila. Le condizioni di vita al suo interno sono terribili: il cibo è scarso e i bagni non bastano. C’è un solo medico per tutte le persone accolte nel campo. L’assistenza legale e psicologica è insufficiente. Still I Rise offre protezione ai minori residenti nel campo, organizza progetti educativi e fornisce un supporto psico-sociale”, spiega Cicoli.
Lo scorso 27 febbraio il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan ha disposto la riapertura dei confini del Paese -dove secondo gli ultimi dati dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (Unhcr) si trovano almeno 3,6 milioni di asilanti siriani- agevolando così i flussi “in uscita” verso l’Europa. La frontiera con la Grecia era stata quasi del tutto chiusa nel 2016, quando il Consiglio europeo aveva annunciato un “accordo” con Ankara, criticato da giuristi ed esperti di diritti umani e mai approvato attraverso il percorso legislativo previsto per i trattati, per il quale la Turchia avrebbe dovuto impedire nuovi arrivi in Europa. La dichiarazione congiunta Ue-Turchia, che nel marzo 2020 compie quattro anni, ha limitato gli arrivi in Grecia e sulle isole ma non li ha interrotti completamente. Nel 2019, secondo i dati dell’Unhcr, circa 74.613 rifugiati e migranti sono arrivati in Europa attraversando il confine con la Grecia, in particolare quello marittimo. Dopo la decisione del presidente turco, migliaia di persone hanno cercato di superare la frontiera, in particolare lungo il fiume Evros che delimita il confine di 120 chilometri con la Grecia, dove il governo ha sospeso per un mese la presentazione delle nuove domande di asilo violando quanto previsto dalla Convenzione di Ginevra. Il ministro della Difesa greco Nikos Panayotopulos ha affermato che il Paese rafforzerà le frontiere per impedire gli ingressi “irregolari”, mentre il ministro degli Interni turco Suleyman Soylu ha dispiegato un migliaio di uomini delle forze speciali lungo il confine al dichiarato scopo di impedire ad Atene di respingere i migranti che hanno cercato di attraversarlo. A Kastanies, sulla frontiera, si sono verificati episodi di violenza e gli agenti della polizia greca hanno lanciato lacrimogeni e usato idranti contro i migranti.
Le conseguenze della scelta di Ankara hanno riguardato non solo il confine terrestre ma anche quello costituito dalle isole di Samo, Lesbo e Chio nell’Egeo orientale. “Nei primi tre giorni di marzo, a Samo sono arrivate tre nuove imbarcazioni”, commenta Cicoli. “I tempi per l’esame della domanda d’asilo sono lunghi: nei campi la permanenza media è di almeno sei mesi e si può arrivare fino ai due anni perché non c’è un’assistenza legale adeguata. I migranti che ottengono l’asilo possono essere trasferiti sulla terraferma ma i casi sono stati pochi e i campi rimangono sovraffollati”, prosegue. “Negli anni le isole sono state lasciate sole a gestire gli arrivi”, conclude Cicoli.
Secondo l’Unhcr tra il 1 e il 2 marzo sulle isole Egee orientali sarebbero sbarcate almeno 1.200 persone, in particolare a Lesbo dove sono già presenti 20mila richiedenti asilo, accolti nel campo di Moria, pensato per ospitarne non più di 3mila, le cui precarie condizioni di gestione sono denunciate da anni da attivisti e operatori umanitari. È stato l’annuncio del governo greco alla fine di febbraio di costruire un nuovo centro per migranti a causare violente manifestazioni, fomentate da gruppi di estrema destra e della sezione locale del partito Alba Dorata. Sull’isola attivisti e operatori umanitari sono stati presi di mira e attaccati. Alcune organizzazioni umanitarie hanno deciso di interrompere le loro attività, come Medici Senza Frontiere, che ha fermato per due giorni i servizi della sua clinica pediatrica. “Dall’inizio dell’anno, mentre tutte le Ong chiedevano aiuto per la situazione ingestibile, ci siamo trovati davanti a una repressione violenta, lacrimogeni lanciati contro richiedenti asilo che manifestavano per chiedere servizi di base non solo per strada ma anche di fronte alla nostra clinica pediatrica”, ha commentato Marco Sandrone, il capo progetto di Msf a Lesbo. Sandrone ha paragonato la situazione a Lesbo a quella di una zona di guerra, “una guerra fatta alla dignità, ai diritti umani e alla resilienza di chi fugge per cercare sicurezza” nell’assenza delle istituzioni europee ed elleniche.
“La Grecia ha gestito i flussi migratori attraverso un metodo molto chiaro: la deterrence, la dissuasione a partire; il contenimento, cioè lasciare più persone possibile sulle isole, e l’esternalizzazione delle frontiere”, spiega ad Altreconomia Tommaso Santo, che ha ricoperto il ruolo di capomissione Msf Grecia. “A Moria le condizioni sono tremende. Mancano i servizi igienici: c’è un bagno ogni centotrenta persone e una doccia ogni cento. Il sovraffollamento aumenta la tensione e lo stress. Negli ultimi mesi, nel campo ci sono stati cinque accoltellamenti e due ragazzi hanno perso la vita”. Lo scorso gennaio, Msf aveva accusato Atene di “negare in modo deliberato” ad almeno 140 minori le cure mediche adeguate per patologie croniche, chiedendone l’immediato trasferimento sulla terraferma o in uno Stato membro dell’Unione europea. “Nel luglio 2019, la Grecia ha limitato l’accesso al servizio sanitario nazionale. Il ministero del lavoro aveva annullato la possibilità per i richiedenti asilo e per migranti privi di documenti di accedere all’assistenza sanitaria pubblica”, spiega Santo. Secondo Msf, più di 55mila persone sono rimaste senza l’accesso ad adeguate cure mediche.
Lo scorso novembre il Parlamento greco ha approvato una nuova legge sul diritto d’asilo che, prosegue Santo, ha ulteriori conseguenze sul diritto alla salute dei migranti perché esclude il disturbo da stress post traumatico dalle condizioni che definiscono la vulnerabilità di una persona e che possono contribuire al riconoscimento dello status di rifugiato. La legge -proposta dal premier Kyriakos Mitsotakis e sostenuta dalla maggioranza di governo della destra di Nuova Democrazia e dai socialisti del “Movimento per il cambiamento”- è entrata a vigore a gennaio e se apparentemente è finalizzata a velocizzare la valutazione delle domande, in realtà rende più stringenti i criteri usati per concedere l’asilo e riduce le possibilità di presentare ricorso contro un diniego.
“La definizione di richiedente asilo vulnerabile è centrale perché consentirebbe di lasciare gli hotspot e il territorio delle isole e raggiungere la terraferma”, commenta Lucia Gennari, avvocata e socia dell’Associazione studi giuridici sull’immigrazione (Asgi) che, insieme ad altre organizzazioni in difesa dei diritti umani, ha dichiarato che presenterà una denuncia contro la Grecia e l’Unione europea per le violazioni dei diritti delle persone migranti e dei rifugiati in fuga dalla Turchia. “La condizione da stress post traumatico riguarda molte persone che hanno subito torture o trattamenti inumani e degradanti. Riconoscerlo consentirebbe loro di lasciare le isole, accedendo alle procedure ordinarie sulla terraferma, differenti rispetto a quelle di frontiera che sono accelerate e meno garantiste”, spiega. Nel caso della Grecia, in particolare, vale la restrizione geografica, cioè il divieto di lasciare il territorio dell’isola per tutto il tempo della procedura. “La nuova legge accelera i tempi ma dà meno garanzie”, prosegue. “Tuttavia, vista l’attuale condizione dell’assistenza legale sulle isole, è difficile pensare che i tempi saranno effettivamente veloci. Questo non risolve il problema del sovraffollamento e sembra più funzionare come politica di dissuasione delle partenze”.
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