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Economia / Opinioni

Mario Draghi e quella fatale predilezione per gli oligopoli multinazionali

Mario Draghi è stato incaricato da Ursula von der Leyen di stilare un rapporto sulla competitività nell’Unione europea. Verrà pubblicato a giugno, dopo le elezioni © Unione Europea - 2023

Per superare la crisi dell’Unione europea, l’ex presidente del Consiglio, d’intesa con Ursula von der Leyen, propone la via della “competitività” e dell’affermazione di pochi “campioni” che possano competere su scala globale contro Cina e Stati Uniti. Presentata come la “sferzata” del genio è in realtà una ricetta già sperimentata e fallimentare. L’editoriale del direttore, Duccio Facchini

Tratto da Altreconomia 270 — Maggio 2024

Dopo le elezioni europee di giugno, Mario Draghi consegnerà nelle mani della presidente uscente della Commissione europea Ursula von der Leyen un rapporto sulla “competitività” dell’Unione. Il 16 aprile scorso, intervenendo alla Conferenza di alto livello sul pilastro europeo dei diritti sociali a La Hulpe, appena fuori Bruxelles, l’ex presidente del Consiglio italiano ne ha anticipato in cinque pagine “struttura e filosofia”. Ha parlato di un necessario “cambiamento radicale” per poter “realizzare la trasformazione dell’intera economia europea” di fronte a un “mondo che sta cambiando rapidamente e ci ha colto di sorpresa”. E ha dipinto l’Europa come quel giocatore un po’ tonto che non s’è accorto che gli altri al tavolo lo stanno fregando: “Altre regioni non rispettano più le regole e stanno elaborando attivamente politiche per migliorare la loro posizione competitiva -ha detto Draghi, citando i casi di Cina e Stati Uniti-. Nella migliore delle ipotesi, queste politiche sono progettate per reindirizzare gli investimenti verso le loro economie a scapito delle nostre; e, nel peggiore dei casi, per renderci permanentemente dipendenti da loro”.

Per non morire vassalli ha perciò indicato tre filoni prioritari: consentire economie di scala superando la frammentazione tra Stati membri, garantire una fornitura quanto più unitaria di beni pubblici (dal mercato energetico alle infrastrutture di supercalcolo), occuparsi insieme di risorse e input essenziali, prevedendo ad esempio una piattaforma europea dedicata ai minerali critici per la transizione. Ha parlato anche dell’offerta di lavoratori qualificati, perché “con le società che invecchiano e gli atteggiamenti meno favorevoli nei confronti dell’immigrazione, avremo bisogno di trovare queste competenze internamente”.

In definitiva, il “consolidamento va sostenuto, non ostacolato”. Del resto “i nostri rivali ci stanno precedendo perché possono agire come un unico Paese con un’unica strategia e allineare dietro di essa tutti gli strumenti e le politiche necessarie. Se vogliamo eguagliarli, avremo bisogno di un rinnovato partenariato tra gli Stati membri”.

Presentata come la sferzata del genio, in realtà è la solita idea trita e ritrita di favorire l’ascesa di pochi e fortissimi “campioni europei” in grado di “competere” su scala globale. A tutti i costi, naturalmente, superando anche quelli che vengono percepiti e presentati all’opinione pubblica come inutili balzelli normativi, concorrenziali o fiscali. E assicurandogli generosi sussidi pubblici. Una ricetta già sperimentata e fatale, come aveva ribadito dieci giorni prima dell’intervento di Draghi una rete di organizzazioni e centri di ricerca indipendenti che si occupano di giustizia economica e trasparenza fiscale. Da Open markets a Somo, da Lobby control al Balanced economy project, da Foxglove a The good lobby, hanno pubblicato un agile manifesto intitolato “Rebalancing Europe”, cioè riequilibrare l’Europa.

La priorità è esattamente opposta a quella che si vuol far bere da La Hulpe subito dopo la tornata elettorale: ed è proprio quella di contrastare il potere dei giganti multinazionali che attraverso concentrazioni oligopolistiche minacciano la democrazia, la libertà e anche la prosperità dei cittadini dell’Ue, distruggendo l’ambiente e la salute. Siano essi finanziari, tecnologici, energetici, farmaceutici, agroalimentari o nel campo dei trasporti. Perché l’Europa non ha bisogno di ulteriori cartelli tra giganti da porre al di sopra delle parti o delle leggi nel nome della “competitività”, ma semmai di un’economia inclusiva, dinamica, resiliente, democratica, decentrata e solidale, in cui le piccole e anche le grandi imprese possano agire e nella quale una concorrenza sana -e non quella spietata del modello neoliberale- possa agire in maniera equa.

Paradossalmente, fanno notare gli autori di “Rebalancing Europe”, negli Stati Uniti (con un ordine esecutivo del 2021 dell’amministrazione Biden) ma anche in Australia, Canada, Germania, Corea del Sud e Regno Unito si stanno affermando (a fatica, va detto) proposte normative che tentano di limitare il monopolio delle corporation. Mica di favorirlo. Draghi aggiornerà le bozze?

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