Altre Economie / Reportage
La nuova vita delle praterie friulane
Così i magredi -il più esteso sistema di prati stabili di pianura del Nord Italia- riescono oggi a sviluppare circuiti di economia sostenibile e accoglienza rurale. Ma le esercitazioni militari mettono a rischio l’equilibrio dei paesaggi
Camminando sui magredi è utile avere con sé un binocolo. “Se non si presta attenzione, a volte non ci si accorge di avere qualcosa di speciale proprio davanti agli occhi”, dice Stefano mentre osserva attraverso le lenti due uccelli che si sono fermati davanti a noi lungo il sentiero di sassi. Ci si sente molto piccoli in questo paesaggio che è il più esteso sistema di prati stabili di pianura del Nord Italia. Ci si può girare a 360° e incontrare con lo sguardo solamente distese erbose, pochi alberi spogli e all’orizzonte le vette delle Dolomiti friulane. Accanto, intanto, scorre il fiume Cellina. Le “terre magre” friulane sono infatti nate dal deposito alluvionale dei corsi d’acqua, ai piedi delle montagne. “Si tratta di terreni ghiaiosi estremamente aridi in superficie a motivo della loro elevata permeabilità: sembra quasi un paradosso in una Regione così piovosa come la nostra”, spiega Stefano Fabian del servizio Paesaggio e biodiversità della Regione Friuli-Venezia Giulia e referente del progetto regionale Life “Magredi Grasslands”, messo in atto per il recupero di queste peculiari “steppe friulane”.
La traduzione del nome inglese dato al progetto è “praterie” e infatti siamo immersi in una vegetazione steppica che in questa stagione è brulla e povera di vegetazione e animali, mentre tra qualche mese, con l’arrivo della primavera, appariranno delle fioriture straordinarie e torneranno insetti e uccelli. Il progetto Life, avviato nel 2012, è ormai arrivato alla fase conclusiva: nel corso di sei anni sono stati recuperati oltre 430 ettari di praterie magre in quattro aree naturali protette della Rete Natura 2000 friulana. Un lavoro svolto nei “Magredi del Cellina” -che fanno parte della più ampia area protetta dei “Magredi di Pordenone”-, nel “Greto del Tagliamento”, nella “Valle del Medio Tagliamento” e nella “Confluenza dei fiumi Torre e Natisone”. Obiettivo del progetto è la valorizzazione del territorio dei magredi attraverso il recupero dei prati magri, conservare la biodiversità delle specie endemiche selvatiche e valorizzare l’agricoltura tradizionale anche attraverso la partecipazione della popolazione locale, dei Comuni (in tutto sono 22 le amministrazioni comunali coinvolte) e delle scuole.
È un lavoro complesso di “decolonizzazione” di un immaginario collettivo che ha sempre considerato negativamente queste terre storicamente attraversate dai popoli invasori: “una desolata distesa di sassi”, inospitale e difficile da coltivare. “Un tempo, chi riceveva in eredità un pezzo di magredo malediceva chi glielo aveva lasciato, perché era una terra improduttiva”, dice Gelindo Trevisanutto, conosciuto come “Gelindo dei Magredi”, dell’omonima azienda agricola a Vivaro (PN) che si trova proprio nei pressi della famosa “V” facilmente visibile nelle foto satellitari, disegnata dalle acque del Cellina e del Meduna a circa 13 chilometri a nordest di Pordenone.
“Storicamente la conservazione dei magredi dipendeva dalle attività legate al pascolo, allo sfalcio dei prati e al taglio del legname, ma con l’abbandono delle aree marginali e rurali è venuta a mancarne la gestione -spiega Stefano Fabian-, a favore dell’espansione delle aree marginali incespugliate e dei boschi, mentre i prati (che coprono circa il 5% del suolo in Italia, ndr) stanno ovunque scomparendo”.
“Tra gli anni Settanta e Novanta, invece, l’agricoltura intensiva del mais e della soia su queste terre ha comportato il parziale dissodamento dei prati stabili e la perdita della biodiversità”, che si sta ritrovando poco a poco con interventi mirati di recupero dei prati. Oltre allo sfalcio e pulizia dei terreni, piante native sono coltivate in serra, per poi essere trapiantate sui terreni ripristinati. E dalla trebbiatura dei prati stabili si ricava il “fiorume”, un miscuglio con un alto contenuto di semi di erbe e fiori selvatici che viene riseminato sui magredi ripristinati per favorire il ritorno all’originaria biodiversità. “In questo paesaggio vorremmo promuovere degli itinerari di conoscenza: la migliore garanzia per evitare un nuovo abbandono dei magredi, infatti, è la loro frequentazione attenta da parte della popolazione locale -spiega Fabian-. Queste terre d’ora in avanti saranno a disposizione delle istituzioni locali e dei cittadini, per un uso comune, capace di valorizzare la microeconomia locale mettendo il territorio al centro”.
Sono 22 le amministrazioni comunali coinvolte nel progetto Life avviato nel 2012 per recuperare le praterie magre in quattro aree naturali protette della Rete Natura 2000 friulana
Le fioriture primaverili -insieme alla fauna che si può osservare sui magredi e il cui simbolo è l’occhione, un uccello che sfrutta il mimetismo e depone le sue uova tra i sassi- richiamano diversi viaggiatori, come racconta Michela Tommasini dell’albergo diffuso dei “Magredi di Vivaro”. Questa società cooperativa è stata fondata nel 2014 da sei soci, gli stessi che hanno ristrutturato 19 appartamenti indipendenti (di cui due nella frazione di Tesis) nel piccolo Comune di 1.300 abitanti, che nel 2017 hanno registrato 3mila presenze. “Sono turisti, naturalisti appassionati, professionisti del settore o anche emigranti che vogliono riscoprire la storia dei luoghi e noi li accompagniamo in questa scoperta”. Spesso a portarli sono gli stessi soci della cooperativa, come Flavio, che conosce bene i magredi: due volte la settimana corre per dieci chilometri attraverso le praterie, “per vedere cosa succede e come cambiano”.
“Chi invece passa senza conoscere i magredi capisce subito che sono una risorsa preziosa, perché tante attività locali ne riprendono il nome, suscitando curiosità”, dice Tommasini. I magredi, infatti, da terre rifiutate stanno diventando negli ultimi decenni un vero e proprio marchio territoriale e sviluppare dei circuiti di economia sostenibile e accoglienza rurale attraverso cui ricostruire l’identità di questi luoghi è un altro degli obiettivi del Life.
“Mi sono innamorato dei magredi attraversandoli a cavallo negli anni Settanta -ricorda Gelindo, che qui ha sempre vissuto e gestisce un podere di 15 ettari coltivati a ortaggi, frutta, cereali e vigne-, ma ci siamo davvero resi conto del valore di queste terre grazie a una visione globale, dall’alto, nelle foto satellitari”. Questa nuova percezione ha portato alla costruzione di un patrimonio comune da tutelare e oggi 11 aziende agricole dell’area Zps dei “Magredi di Pordenone” si stanno unendo con un contratto di rete per collaborare nella promozione dei prodotti tipici dei magredi, dallo zafferano alle farine di antichi grani, secondo un disciplinare condiviso che ne garantisce la sostenibilità.
I frutti dell’agricoltura tradizionale, la proposta di itinerari a piedi o con gli asini, o il lavoro fatto con gli studenti attraverso attività didattiche di conoscenza delle terre magre sia in aula che all’aperto stanno finalmente diventando la bussola con cui orientarsi in questi vasti spazi aperti, ma resta un’altra, storica difficoltà: il territorio del sito “Magredi del Cellina”, un’area naturale protetta di oltre 4.300 ettari, coincide quasi al 90% con le proprietà del demanio militare, tra cui il “Poligono del Dandolo”.
Su questi 460 ettari nel Comune di Maniago (PN) e si fanno ancora delle esercitazioni di paracadutismo e addestramento leggero. Qui si può entrare solo a piedi e quando non ci sono esercitazioni militari in corso, muovendosi tra questo paradosso di un’area Sic (“Sito di importanza comunitaria”, tutelato dalla direttiva Habitat dell’Unione Europea) la cui fruizione è ostacolata dal fatto di essere anche area militare.
In realtà, la presenza di un’attività militare leggera ha mantenuto nel tempo la biodiversità dei magredi, evitandone sia l’imboschimento che altre speculazioni, ma oggi l’intensificarsi delle esercitazioni militari con i lanci di carichi pesanti fino a 9 tonnellate di peso (autorizzati dalla stessa Regione nelle aree magredili del vicino “Poligono del Cellina-Meduna”) mette a rischio l’equilibrio di questi paesaggi. Per questo è nata un anno fa a Pordenone la “Rete per l’ecologia e la sostenibilità” (Res), che chiede l’interruzione “delle esercitazioni militari, degli aviolanci di carichi pesanti e del passaggio dei fuoristrada”, dannosi per il delicato suolo magredile, e la riconversione dei magredi a un uso prettamente naturalistico, “aprendo le porte del sito alle famiglie, alle scuole, agli sportivi e al turismo consapevole di chi ama e rispetta l’ambiente”.
Su questo tema delle servitù militari regionali è intervenuta anche Legambiente Friuli-Venezia Giulia che nell’ambito del progetto “Fortezza FVG” ha avviato una mappatura di “quella che doveva essere la ‘fortezza’ per difendere l’Italia dall’avanzata del nemico comunista”, come scrive l’associazione: 400 beni demaniali inutilizzati e oggi per lo più in stato di degrado. Queste vecchie caserme, i poligoni, gli alloggi -circa 5mila ettari che si trovano per il 70% in provincia di Pordenone e alcuni dei quali sono già stati trasferiti dalla Difesa alla Regione e poi ai Comuni- aspettano una riconversione.
Per Legambiente “bisogna partire dagli esempi virtuosi: a Spilimbergo l’ex caserma De Gasperi è diventata un parco fotovoltaico di 17 ettari, con 40.800 moduli per dieci MegaWatt di potenza complessiva. A San Vito al Tagliamento (PN), al posto della caserma nascerà il nuovo carcere di Pordenone. A Cormons (GO) ora c’è un parco urbano dove prima c’era un’area recintata e inaccessibile”. Intanto, come nel caso dei magredi, “il patrimonio dei poligoni militari si relaziona strettamente con le aree naturali protette, svolgendo un’indispensabile funzione ecologica e offrendo possibili opportunità di riutilizzo in funzione della conservazione e dell’incremento della biodiversità”. Basta avere il giusto sguardo nell’osservare quel che si ha proprio davanti agli occhi.
© riproduzione riservata