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Ambiente / Opinioni

L’umanità moderna è una minaccia per la propria sopravvivenza

© Raimond Klavins, unsplash

Ripristinare una sana interdipendenza con il Pianeta è fondamentale. Ma per farlo occorre cambiare il clima della storia. La rubrica di Nicoletta Dentico

Tratto da Altreconomia 264 — Novembre 2023

Si tratta di un’altra logica rispetto alla tradizione pacifista occidentale del sacrosanto ripudio della guerra. Ovvio, i valori di solidarietà e cooperazione al servizio del futuro “per contribuire a vaccinare le società europee contro il bacillo bellico”, scriveva Alex Langer durante la guerra nel Golfo, sono trame ben riconoscibili nel canovaccio eco-pacifista su cui si sono intrecciati decenni di rivendicazioni contro ogni belligeranza: per le vite umane che distrugge, per le ferite alla natura che infligge, per gli esiti imprevedibili di imbarbarimento che induce in chi la scatena, in chi la asseconda, in chi la subisce e in quanti commentano la guerra.

Ed è altrettanto ovvio che l’Europa “dei popoli” doveva essere un baricentro politico per i contorni di questa etica globale di solidarietà e cooperazione, come partner d’elezione per il Sud del mondo e per i Paesi dell’Est. Il continente invece resta “un’utopia capovolta”, diceva Norberto Bobbio, terreno di scontro anche dopo la fine della guerra fredda sotto la pressione imperialista americana, vittima di una grave miopia politica che incombe con il veleno di nuovi nazionalismi.

“Niente è più problematico nella nostra epoca, credo, del nostro atteggiamento verso il mondo”, scriveva Hannah Arendt in “L’umanità in tempi bui” (Raffaello Cortina editore, 2018). Tutti i nodi sono giunti al pettine, la violenza in Medioriente è solo il più recente. Stiamo sgomenti sul ciglio buio di nuove guerre ed emergenze planetarie -le braci di pandemie sanitarie, la pandemia della fame e della esclusione sociale, il surriscaldamento climatico, l’estinzione delle specie e della biodiversità, lo sradicamento di consistenti masse di popolazione- eppure mai come oggi occorre afferrare le interconnessioni tra queste complesse crisi esistenziali. L’inequivocabile responso del Club di Roma, oltre cinquant’anni fa, aveva suonato l’allarme: non può esistere una crescita infinita in un mondo finito.

Serve cambiare paradigma economico se si vuole sopravvivere a lungo sul Pianeta. Serve stabilità economica e demografica, più che crescita, per mantenere stabili gli equilibri geopolitici e ambientali. Quel messaggio venne deriso, insabbiato. Da allora il mondo ha perso tempo, preoccupato ad apparecchiare gli assetti della globalizzazione. La nozione del limite considerata alla stregua di un’eresia. Le emergenze della contemporaneità affondano le radici nella scelta del fallimentare paradigma economico della crescita, frutto di un sapere meccanicistico per cui il Pianeta con la sua biodiversità, le ricchezze dei suoi sottosuoli, le sue acque, sono separati da noi e sostanzialmente privi di vita. Dunque, non serve tutelarne l’integrità. Ma che cos’è questa, se non belligeranza contro gli habitat ecologici, di cui le guerre combattute con armi sempre più incontrollabili contro gli umani non sono che il corollario, e in ultima analisi la punta dell’iceberg?

L’illusione che la Terra e i suoi esseri viventi siano materia prima da sfruttare per trarne profitto ha oramai forgiato un mondo unito dalle malattie, non solo i trecento nuovi patogeni comparsi negli ultimi trent’anni.

La salute del Pianeta e la nostra non sono scindibili. La violenza contro la natura è la guerra più sistemica e scellerata. L’umanità si muove sulla Terra buttando all’aria gli ecosistemi, così che l’intervento umano è divenuto capace di causarne un’alterazione irreversibile nella sua costituzione chimica e biologica. Nel suo atteggiamento di dominio e indifferenza per l’integrità della comunità della vita, l’umanità moderna è ormai una minaccia per la sua stessa sopravvivenza.

Oggi lo sappiamo: se vogliamo mettere al centro la pace e la giustizia, dobbiamo ingaggiare un’ostinata battaglia contro l’avvelenamento del suolo, dell’acqua, dell’aria, contro la concentrazione urbana e il deserto rurale. Il Prometeo “irresistibilmente scatenato, al quale la scienza conferisce forze senza precedenti e l’economia imprime un impulso incessante”, come ha scritto Hans Jonas nel suo “Il principio responsabilità” (Einaudi, 2009), deve lasciare il posto all’uomo planetario di Ernesto Balducci, né sovrano né sovranista. Purtroppo, non abbiamo ancora compreso il nostro posto e la nostra interdipendenza. Occorre cambiare il clima della storia.

Nicoletta Dentico è giornalista ed esperta di diritto alla salute. Già direttrice di Medici senza frontiere, dirige il programma di salute globale di Society for International Development

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