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Altre Economie / Reportage

Luca Pala non ha fallito: storia di un pastore e della sua comunità

In apertura, i fratelli Luca e Marco Pala con due dei cani che proteggono il loro gregge. Dietro di loro le colline del Montefeltro © Cristina Panicali

Nel Montefeltro un gruppo di produttori agricoli e consumatori, riuniti nella “Comunità integrata urbana e rurale di mutuo appoggio”, sostengono il progetto di una famiglia che da oltre 50 anni alleva pecore e mucche e fa formaggio

Tratto da Altreconomia 269 — Aprile 2024

Se avrete voglia di arrampicarvi tra le colline del Montefeltro fino a Ca’ Rio, nel territorio di Tavoleto (PU), potrete conoscere i fratelli pastori Luca e Marco Pala e la madre Sebastiana. Lì capirete perché tante piccole aziende agricole e molti consumatori dei Gruppi d’acquisto solidali (Gas) di tutta la provincia di Urbino, hanno lanciato una campagna per riacquistare l’azienda agricola di Luca Pala, all’asta dal febbraio 2020, dopo l’adesione alla legge 3/2012. Nota come “legge antisuicidi”, prevede di fronte a una “crisi da sovraindebidamento” l’esdebitazione attraverso la liquidazione del patrimonio.

Luca Pala, cinquant’anni, ha sempre inteso il mestiere che ha scelto di fare, quello di pastore-casaro, come il veicolo per un messaggio: “Produco cibo che deve arrivare a tutti -racconta- anche per questo faccio vendita diretta, fin dal 2003, quando ho acquistato l’azienda agricola da mio padre e rimesso in funzione il caseificio”. Oggi nelle stalle ci sono 400 ovini, 28 bovini e qualche maiale. Si lavorano solo formaggi a latte crudo, dalla caciotta di pecora fresca e stagionata alla provola, e gli animali hanno a disposizione oltre 70 ettari per il pascolo. Finché hanno potuto, i Pala hanno prodotto in autonomia anche fieno e cereali. “Poi abbiamo dovuto vendere i macchinari e smesso così di fare agricoltura”, sottolinea Marco.

Il “poi” che segna l’inizio della crisi riporta indietro di 12 anni, al “nevone del 2012”, che nel Montefeltro e in Romagna tra fine gennaio e la prima metà di febbraio portò a cumuli di oltre 300 centimetri. “Ben 1.600 metri quadrati di tetto caddero sugli animali, una parte dei quali rimasero uccisi -ricorda Luca Pala-. Senza quello, probabilmente avrei continuato a portare soldi alle banche, alle quali avevo chiesto un mutuo per acquistare l’azienda da mio padre. Con quel crollo, però, presi coscienza: per stare in piedi investi, per poter pagare l’investimento devi produrre un po’ di più: prendi i soldi dal tuo lavoro e dai tuoi clienti per pagare le banche”.

La situazione era drammatica. “Per un mese non abbiamo visto nessuno non funzionava più nulla, né luce né telefono. Il gelo aveva distrutto gli impianti idraulici dentro la stalla. Portavamo a piedi da casa l’acqua per gli animali, per 200 metri”, ricorda Marco Pala mentre saliamo per la stessa strada bianca tra la casa e le strutture aziendali.

I fondi pubblici per l’emergenza tardano ad arrivare: passa oltre un anno prima di poter ricostruire i tetti. Diventa insostenibile la restituzione della rate del mutuo da oltre 800mila euro contratto per acquistare l’azienda nel 2003. Luca Pala poi non riesce a rendicontare i lavori post-emergenza e la Regione Marche ha fretta di chiudere le pratiche: così si ritrova costretto a restituire anche l’anticipo. Nasce da quell’episodio la crisi da sovraindebitamento che l’ha portato a liquidare l’azienda. Una scelta presa senza per questo sentirsi un fallito. La rivendica: “Chi vive questa esperienza deve provare senso di colpa, vergogna, scegliere l’isolamento; io mi sono preso la responsabilità delle mie scelte, so che cosa ho fatto e a che cosa servivano i mutui: alla vergogna ho preferito la lotta, così questa mia situazione ha finito per essere sempre condivisa durante le assemblee tra i produttori del Gas Nomade (un’esperienza di piccola distribuzione organizzata, nata durante la pandemia da Covid-19 a supporto in particolare dei Gruppi d’acquisto più piccoli dell’entroterra, ndr) e dei mercati ‘bio’ di Pesaro e Fano”.

Le pecore all’interno di una delle stalle dove vengono ricoverate nelle notti invernali o durante il periodo dei parti © Cristina Panicali

Con l’avvicinarsi dell’ennesima asta, prevista nel mese di aprile, i consumatori e gli altri produttori del territorio hanno versato 18mila euro per l’iscrizione, dando vita a un’associazione per poter partecipare come soggetto collettivo. Si chiama Ciurma. Sta per “Comunità integrata urbana e rurale di mutuo appoggio”. “Questa azienda è così preziosa che per un po’ di tempo sarà di tutte noi e sarà restituita a chi di dovere quando non sarà più in pericolo -si legge in una sorta di manifesto-. Si stabilisce indispensabile per il nostro territorio l’esistenza del cacio così come finora lo abbiamo conosciuto, libero da condizionamenti e ansie di controllo”.

Il progetto lo chiamano “Destinazione Pastore” (è anche su Produzioni dal basso), servono 180mila euro. Un obiettivo mutualistico: “Vogliamo mantenere quella terra a pascolo e seminativo seguendo criteri ecosostenibili che sostengono le biodiversità e il rispetto degli esseri viventi tutti”. “L’urgenza è il rischio che dopo 15 aste deserte la proprietà venga divisa in due blocchi da 36 ettari, in uno dei quali ci sono anche le strutture -racconta Tommaso Lombardi, apicoltore a Fossombrone (PU), dove ha sede la sua azienda, Corbecco-. Questo frazionamento non aiuterebbe, così abbiamo immaginato di intervenire con la nostra offerta”. Il tribunale potrebbe anche decidere per una cessione diretta. “L’associazione ci permette di gestire questa operazione in modo pubblico, dichiarando di acquistare l’azienda per ridarla alla famiglia -aggiunge Lombardi-, è una posizione politica che è già circolata anche tra i creditori, che sono le banche, senz’altro spaesante per quel mondo”.

“Questa azienda è così preziosa che per un po’ di tempo sarà di tutte noi e sarà restituita a chi di dovere quando non sarà più in pericolo” – manifesto di “Ciurma”

L’obiettivo di Ciurma è la salvaguardia di una storia agricola che viene da lontano: la famiglia Pala è arrivata a Ca’ Rio da Bitti, nel nuorese, alla fine degli anni Sessanta. “Mio padre aveva 21 anni, era il più grande. Avviò l’azienda agricola con i due fratelli. Avevano aperto anche un negozio per la vendita diretta, a Cattolica (RN). Nel 1983 divisero la proprietà, uno dei miei zii portò avanti il caseificio, che nel frattempo è diventato un impianto industriale”.

Quando dismise il vecchio caseificio all’interno dell’azienda, Luca e il padre (che è morto nel 2017) lo acquistarono per tornare a fare il formaggio: “Da una parte, ci serviva per valorizzare il latte, dall’altra a mio padre mancava finalizzare il lavoro, quello che succede quando spezzetti una filiera -ricorda Luca Pala-. Certificammo in biologico i terreni, gli animali e anche il caseificio. Abbiamo iniziato subito a consegnare ai Gas, siamo cresciuti insieme a loro e solo se avevo delle eccedenze le distribuivo anche ad alcuni negozi e agriturismi”.

La pulizia del formaggio messo a stagionare nelle foglie di noce © Cristina Panicali

“Una volta venduto il ‘bene’ -aggiunge Luca- il giudice distribuirà quanto incassato e io sarò ‘sdebitato’. Ho sempre immaginato di prendere in affitto l’azienda da chiunque avesse acquistato, ma non è stato possibile. Sono venuti in tanti a proporsi, con idee diverse: alcuni addirittura volevano fare il fotovoltaico a terra. Mi dicevano ‘se ti comporti bene, ci puoi lavorare’. Posso accettare un altro lavoro come dipendente, ma se lo facessi qui metterei tutta una storia alle dipendenze di altri, ci metterei anche mio padre e mio nonno. Per molti il valore non è l’azienda in sé, ma la mia presenza”. Prima della crisi, serviva con i suoi formaggi anche i Gas della Romagna, fino a Rimini. Sono reti di relazioni che è pronto a riattivare. “Con una crescita graduale, senza arrivare a una sovrapproduzione che non ripaga”. I Pala sono pronti a ripartire. E non sono soli.

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