Diritti / Opinioni
La lotta al caporalato spetta (anche) a noi
Il governo ha annunciato una dura lotta allo sfruttamento dei braccianti. Ma non basta. Dobbiamo fare attenzione ai nostri acquisti
Nei caldi giorni di agosto, dopo i due tragici incidenti avvenuti in Puglia, che hanno provocato la morte di 16 giovani lavoratori sfruttati dal sistema del caporalato, ho aperto il libro “Mafia caporale” (Fandango) per cercare informazioni su questo fenomeno criminale. Indagini e arresti per il reato di caporalato sono stati effettuati recentemente anche in Lombardia, Veneto e Lazio a dimostrare che questa forma illegale e criminale di intermediazione del lavoro, è un fenomeno che non riguarda solo le regioni del Sud.
I settori più colpiti sono quelli in cui è richiesta molta manodopera poco specializzata (agricoltura, avicolura ed edilizia) e dove tanti italiani non vogliono più lavorare. Gli sfruttati sono in genere migranti (africani o dell’Europa dell’Est), ma non mancano gli italiani, come ci ricorda la morte di Paola Clemente, morta nel 2015 per 27 euro al giorno. Nel 2016, il Parlamento ha approvato una legge contro il caporalato (numero 199) che ha avuto il merito di portare la questione all’attenzione dell’opinione pubblica, ma che è rimasta largamente inapplicata.
A seguito degli incidenti di questa estate, il Governo ha promesso una dura lotta contro i caporali, assumendo nuovi ispettori del lavoro e chiudendo i ghetti in cui sono costretti a vivere in condizioni disumane migliaia di immigrati.
Il caporalato è diventato un elemento importante nel sistema economico attuale. Un sistema in cui la ricerca del massimo profitto si persegue abbattendo al massimo i costi anziché migliorando i prodotti e i processi di produzione e di commercializzazione. La favola per cui il mercato si auto-regola senza bisogno di interventi da parte della politica non solo si è dimostrata falsa, ma ha prodotto un calpestamento della dignità e dei diritti dei lavoratori, ha messo in difficoltà le imprese oneste che devono operare in un mercato artatamente alterato dal punto di vista della concorrenza. In tantissimi casi questo meccanismo ha peggiorato la qualità dei prodotti e, di conseguenza, la salute e la sicurezza dei consumatori.
129.600: è il numero della persone ridotte in schiavitù in Italia secondo il “Global Survey Index” (2016)
Inoltre, il caporalato favorisce l’entrata nei mercati della criminalità organizzata (italiana e straniera) producendo evasione fiscale e illegalità. Non bastano le leggi del codice penale e civile per prevenire, contrastare e sconfiggere il caporalato e nemmeno basta l’opera svolta dalla forze di polizia e dalla magistratura. Tocca anche a noi cittadini fare la nostra parte. Dobbiamo cambiare il nostro attuale sistema economico -che sta producendo una crescente disuguaglianza sociale ed economica, che sta minacciando l’esistenza del Pianeta, che calpesta i diritti e la dignità di milioni di esseri umani- battersi contro la logica del “massimo ribasso”, dove diversi gruppi della grande distribuzione organizzata acquistano prodotti con aste elettroniche che costringono i produttori e i grossisti a lavorare in perdita e, di conseguenza, a ricorrere ai caporali per reclutare manodopera.
Possiamo combattere il caporalato prestando attenzione ai prodotti che acquistiamo. Tante offerte di “sottocosto” e di acquisto “3×2” nascondo schiavitù e sfruttamento. Dobbiamo obbligare le imprese a rifiutare l’adozione di pratiche commerciali sleali, illegali e criminali. Impariamo ad essere “consumatori critici”: compriamo dove le imprese rispettano le regole. Boicottiamo le altre. Cambiare mentalità non è facile e rapido. Ma dobbiamo farlo al più presto. Noi cittadini dobbiamo essere consapevoli che possiamo fare molto per cambiare se sappiamo usare con intelligenza il nostro potere di acquisto e il diritto/dovere di voto.
Pierpaolo Romani è coordinatore nazionale di “Avviso pubblico, enti locali e Regioni per la formazione civile contro le mafie”.
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