Diritti / Inchiesta
L’ossessione di respingere anche ai confini interni. Via terra e per mare
I dati del Viminale fotografano le pratiche alle frontiere con Austria, Francia, Slovenia, Svizzera e dai porti di Ancona, Bari, Venezia e Brindisi. Operazioni spesso informali che limitano i diritti e che i numeri descrivono solo in parte
L’ossessione europea per i respingimenti alle frontiere si ritrova anche nei dati sulle “riammissioni attive” e “passive”, a seconda se compiute o subite, censite nel 2022 ai confini terrestri italiani con Austria, Francia, Slovenia e Svizzera. Si tratta di pratiche di polizia effettuate a danno di persone straniere considerate come irregolari dalle autorità, dalla natura prevalentemente “informale” poiché non prevedono il rilascio di alcun provvedimento scritto, e condotte in forza di accordi bilaterali tra i governi dei Paesi coinvolti mai ratificati dal Parlamento.
Il ministero dell’Interno, dopo un’istanza di accesso civico di Altreconomia, ha comunicato le cifre riguardanti il periodo gennaio-metà novembre 2022. In questo lasso di tempo -secondo i parziali dati ottenuti, privi di qualsiasi dettaglio rispetto allo specifico punto di frontiera- l’Italia avrebbe “riammesso” attivamente 2.418 persone: 1.080 verso la Francia, 883 in Austria, 410 in Svizzera e 45 in Slovenia. I dieci Paesi di provenienza più rappresentativi (che sommati superano il 50% dei casi a fronte di 77 nazionalità registrate) sono Pakistan, Marocco, Tunisia, Egitto, Nigeria, Algeria, Afghanistan, India e Bangladesh. La stragrande maggioranza dei cittadini pakistani sarebbe stata rimandata in Austria -sul “come” si veda più avanti il reportage dal Brennero- mentre la quasi totalità dei cittadini afghani sarebbe stata “riammessa” verso la Francia.
Dietro ogni numero -seppur parziale e insufficiente ad avere una panoramica completa rispetto a tale sottoinsieme dei “respinti”- ci sono storie rilevantissime, specie in termini di mancato accesso alla procedura di asilo, di diniego della protezione, di violazione delle garanzie del Regolamento di Dublino o di rischi di respingimenti a catena, come fanno notare la rete RiVolti ai Balcani e i giuristi del gruppo Medea, un’azione dell’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione basata sulla ricerca sul campo, il contenzioso strategico e l’advocacy finalizzata a difendere i diritti dei cittadini stranieri in arrivo in Italia attraverso le frontiere interne e la rotta balcanica. Sarebbe il caso, oltre alle dieci nazionalità già citate, di due cittadini yemeniti spediti in Slovenia e in Svizzera, di ben 43 somali riammessi nei quattro Paesi di confine, di 28 siriani, di sei iraniani, di dieci cittadini nepalesi riammessi in Slovenia, di 42 turchi, di otto cittadini del Burundi finiti in Slovenia o di 14 eritrei rimandati in Svizzera. Approfondire ogni episodio è complicato, anche perché il ministero fornisce dati aggregati per mese, ma si tratta di “spie” che vanno monitorate: per la provenienza da zone di conflitto si tratterebbe infatti di persone con evidente bisogno di protezione internazionale.
Il Governo Meloni, per bocca del ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, ha annunciato la riattivazione delle “riammissioni informali attive” alla frontiera italo-slovena messe in atto nel 2020 in forza di un accordo bilaterale del 1996, mai ratificato dal Parlamento, e poi dichiarate illegittime dal Tribunale di Roma nel gennaio 2021 dopo un ricorso presentato dalle avvocate e socie Asgi Caterina Bove e Anna Brambilla. “Che cosa c’è dietro l’ossessione di volere riprendere una condotta illegale che getta vergogna sulle istituzioni italiane?”, si è chiesto a inizio gennaio il Consorzio italiano di solidarietà di Trieste, presieduto da Gianfranco Schiavone, annunciando d’esser pronto ad agire “in tutte le sedi necessarie verso ogni violazione della legalità”.
Da notare che anche oggi, proprio come nel 2020, il ministero fa roboanti annunci salvo poi negare le carte. La circolare che avrebbe riattivato le “nuove” riammissioni e che risale a fine novembre 2022, a firma della capa di gabinetto del ministro Piantedosi, la prefetta Maria Teresa Sempreviva, è stata infatti negata ad Altreconomia per via del possibile “pregiudizio” alla “integrità dei rapporti internazionali del nostro Paese con la Slovenia e con l’Austria”.
La cortina fumogena fa parte della strategia. E ciò vale anche per le “riammissioni passive”, che sarebbero il doppio di quelle che effettua l’Italia: 4.729 contro 2.418. Più di otto su dieci (3.970) sarebbero state effettuate dalla polizia svizzera. Tra Roma e Berna è infatti in vigore dal 2000 un accordo intergovernativo “sulla riammissione delle persone in situazione irregolare”, anche questo mai ratificato dal Parlamento. Gli altri Paesi che riammettono sono Austria (497), Francia (230) e Slovenia (32), con dati talmente bassi da farli apparire quasi delle comparse inerti.
In realtà anche questi numeri, come quelli delle riammissioni attive, vanno letti con estrema attenzione. È noto infatti che dalla Francia, per via dei massicci controlli alle frontiere ripristinati dal 2015 in barba alla libertà di circolazione nell’area Schengen e in contrasto con sentenze della Corte di giustizia dell’Unione europea, i respingimenti verso l’Italia, formalmente diversi dalle riammissioni e perciò non riportati nell’elenco ministeriale di cui sopra, sono costanti: a novembre 2022 erano nell’ordine degli 80 al giorno, poco meno di 30mila se proiettati sull’anno. Con la necessaria prudenza resta comunque interessante osservare le principali provenienze dei “riammessi passivi” dichiarati. Sulle 74 nazionalità rilevate prevalgono i cittadini dell’Afghanistan (1.387, un terzo del totale), seguiti da quelli della Siria (798), del Marocco (214), della Tunisia (212), della Turchia (199), della Nigeria (192), del Burundi (164), del Nepal (153) e del Bangladesh (147).
Le persone respinte agli scali marittimi italiani tra gennaio e metà novembre 2022 sono state 1.970 secondo il ministero dell’Interno. Quasi tutte sarebbero state respinte da Bari (oltre 1.600). I dati non convincono però gli attivisti del Network porti adriatici
Chiude il cerchio la vicenda delle riammissioni e dei respingimenti italiani operati ai porti. Tra gennaio e metà novembre 2022 il Viminale sostiene di aver respinto agli scali marittimi 1.970 persone, quasi tutte da Bari (oltre 1.600), in prevalenza cittadini albanesi (1.770) rimandati appunto in Albania (1.847). Le riammissioni attive invece sarebbero state 81, tutte dirette verso la Grecia, sulla base di un accordo bilaterale entrato in vigore nel 2001 e mai ratificato da Camera e Senato. Questi dati però non convincono gli osservatori del Network porti adriatici, che da anni monitorano e denunciano i respingimenti da Venezia, Ancona, Brindisi o Bari a danno di cittadini stranieri provenienti tra gli altri da Afghanistan, Albania, Turchia, Kurdistan e Bangladesh, in arrivo dai porti di Patrasso e Igoumenitsa in Grecia ma anche dalla Croazia e dall’Albania. Alle persone rintracciate a bordo delle navi o nelle immediate vicinanze delle aree di sbarco viene negato forzatamente l’accesso al territorio e alle misure di protezione e sono frequenti le segnalazioni e le testimonianze di riammissioni “informali” che non vengono nemmeno registrate.
Negli anni sono stati riferiti episodi di “maltrattamenti, comportamenti lesivi della dignità, confisca e distruzione di effetti personali, costrizione a spogliarsi, esposizione a temperature estreme”, con la grave responsabilità anche dei vettori privati e con il coinvolgimento di minori e richiedenti asilo. Circostanze verificate da un’inchiesta di metà gennaio 2023 a cura di Lighthouse Reports, Srf, Ard Monitor, Al Jazeera, Il Domani e Solomon, con tanto di fotografie e video di persone respinte e ammanettate in celle detentive dentro la “pancia” delle navi. L’Italia, già condannata nel 2014 dalla Corte europea dei diritti umani proprio per respingimenti indiscriminati in Grecia, aggiunge così un’altra macchia.
© riproduzione riservata