Cultura e scienza / Inchiesta
Lorenza Tonani. Fumetti, un gioco da ragazze
Dal 2012, la casa editrice pavese “Hop!” pubblica graphic novel rigorosamente al femminile. Una nicchia che affronta anche temi coraggiosi come la violenza di genere
Quando si è immaginata la sua piccola casa editrice, Lorenza Tonani, l’ha pensata come una realtà che avrebbe pubblicato solo graphic novel, strip e guide illustrate, con l’ironia e la capacità di “citarsi addosso” e un occhio di riguardo all’universo femminile. È nata così, nel 2012, a Pavia, Hop!, (hopedizioni.com) un nome che è anche un’onomatopea del fumetto, molto usata in Francia. “È il suono che emette chi fa un balzo -spiega Tonani- perché Hop! vuol essere questo: un salto nell’editoria a fumetti per portare novità”.
La prima vera impresa è stata riuscire a individuare una fetta ancora vergine, nel mercato del graphic novel, un ambito dell’editoria che vive, oggi, la sua epoca d’oro, passato dall’essere oggetto di culto per pochi, a fenomeno (quasi) di massa. La seconda, riuscire a inserirsi e poi ad assestarsi, in un territorio già dominato, in Italia, da alcune case editrici leader del settore. Bao Publishing, Coconino Press, BeccoGiallo e Tunué, le principali.
Lorenza Tonani, perché ha deciso di scommettere sull’editoria, in un momento di forte crisi del settore?
LT Era il 2011, allora lavoravo nel campo dell’arte e avevo già un’esperienza in fatto di immagini e illustrazione, anche in rapporto con il testo. Un giorno, su un social network ho visto una vignetta di Pénélope Bagieu, un’illustratrice francese che nel suo blog raccontava le idiosincrasie delle donne, intorno al concetto multitasking e performante della donna di oggi, con tutte le frustrazioni del caso. Siccome era fresco e attuale, mi sono detta “proviamo”. Ed è nato il primo volume di “Josephine”.
L’idea era quella di incunearsi nel settore del fumetto “al femminile”, che in Italia non aveva il suo filone illustrato, ritagliandomi una nicchia della nicchia. E affrancando un genere che, nel 2012 era molto meno presente di oggi sugli scaffali delle librerie, da una specificità maschile. Sia nei contenuti sia nel numero di lettori. Oggi il nostro pubblico è all’80% costituito da donne, che apprezzano l’ironia come strumento per abbattere i cliché.
È andata subito bene?
LT L’esordio è stato positivo, e “Josephine” è diventato una trilogia. C’è stato un po’ di stallo tra il 2013 e il 2014, ma subito dopo Zerocalcare e altri autori hanno fatto rinascere l’attenzione su graphic novel e graphic journalism. La svolta per noi è arrivata nel 2014, quando da una produzione esclusivamente estera siamo passati a una produzione al 90% italiana.
Se per un primo posizionamento era necessario puntare su titoli esteri che avessero già avuto eco nei Paesi di origine, il passaggio alle produzioni italiane è stata la vera carta vincente. Non solo perché è importante far lavorare autori italiani e averli alle fiere di settore e alle presentazioni in libreria, impensabile con gli autori stranieri, ma anche perché questo ci ha consentito di affermare l’identità di Hop!.
Tra le vostre collane, “Le vie en noir” affronta il tema della violenza di genere. Il graphic novel è un modo accessibile a tutti per affrontare temi importanti?
LT Il fumetto, se fatto bene, ha tutte le carte in regola per comunicare concetti alti. Chiamarlo graphic novel non è uno snobismo. Si tratta di un romanzo grafico che ha in sé il potere della sintesi nel testo e dell’efficacia dell’immagine, che rimane impressa, colpisce, facilita. Nell’epoca dell’immagine molti temi vengono affrontati in modo più diretto attraverso un supporto grafico. Basta guardare come si sono evoluti i social network e i giornali: non esiste quasi più un post senza immagine, e quotidiani e settimanali hanno aperto le porte all’illustrazione.
“Chiamarlo graphic novel non è uno snobismo. Si tratta di un romanzo grafico che ha in sé il potere della sintesi nel testo e l’efficacia dell’immagine, che rimane impressa, colpisce, facilita”
Quali sono le prospettive del settore per il futuro?
LT Con l’apertura dei giornali al mondo dell’illustrazione lo spazio si sta allargando, e questa piccola “età dell’oro” del genere ha fatto sì che tante realtà editoriali, compresi i grandi gruppi, abbiano creato divisioni dedicate al fumetto e all’illustrato. Lo spazio va continuamente ricercato e rioccupato, lavorando sull’innovazione, ma rimanendo fedeli alla linea identitaria, ciascuno la propria. A mio parere è l’unica potenzialità su cui continuare a scommettere.
Cosa serve per fare questo mestiere, non solo pensando al ruolo del direttore editoriale, ma anche alle altre figure?
LT Servono la poesia e la sensibilità che stanno alla base di qualsiasi lavoro di tipo culturale, ma non si può prescindere da un costante aggiornamento su numeri e tendenze del settore. Con leggi dure, a partire dal problema delle rese. Poesia ed economia: un binomio tanto stimolante quanto complesso. Inoltre, fondamentale, è l’aspetto della comunicazione. Bisogna lavorare con campagne di informazione sui social newtork, nelle fiere, con la stampa e organizzare presentazioni coordinate che uniscano una mostra alla vendita del volume, restituendo così maggior valore a tutto il lavoro che sta alle spalle di una pubblicazione. La vera impresa è far collimare tutte queste esigenze e realizzare un bel libro.
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