Ambiente / Approfondimento
Lo stato di salute della biodiversità in Italia secondo l’Ispra
Habitat, specie animali e vegetali sono a rischio. Il 54% della flora e il 53% della fauna terrestre si trovano in uno stato di conservazione sfavorevole. La situazione non migliora per animali e ambienti marini. Pesano l’espansione dell’agricoltura intensiva, il consumo di suolo e la crescente urbanizzazione. Il rapporto dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale
In Italia quasi il 90% degli habitat si trova in pericolo, sottoposto alle pressioni dei cambiamenti climatici, dell’agricoltura intensiva e dell’espansione urbanistica. È quanto emerge dal rapporto sulla biodiversità (Rapporti direttive natura 2013-2018: sintesi dello stato di conservazione delle specie e degli habitat di interesse comunitario e delle azioni di contrasto alle specie esotiche di rilevanza unionale) pubblicato a inizio agosto dall’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra). Lo scopo della pubblicazione è fornire un quadro dello stato di conservazione, delle minacce e delle prospettive future per 306 specie di uccelli, 349 specie animali e vegetali, e 132 habitat considerati di interesse dall’Unione europea. Inoltre, il report indica le misure adottate per ridurre l’impatto delle specie invasive di animali, funghi o piante che rappresentano una minaccia per la biodiversità.
L’analisi di Ispra si apre descrivendo lo stato di conservazione delle principali specie animali e vegetali, e degli habitat sia terrestri sia marini. Il loro stato di conservazione è classificato in livelli: favorevole, sfavorevole (a sua volta suddiviso in inadeguato e cattivo) e sconosciuto quando non si dispongono sufficienti informazioni. Delle 115 specie vegetali analizzate, è stato registrato uno stato di conservazione favorevole per il 43% dei casi e uno sfavorevole per il 54% (41% inadeguato e 13% cattivo) con il 3% per cui non è stato possibile definire lo stato. La maggior ricchezza di biodiversità si registra in prossimità delle catene montuose, in particolare lungo le Prealpi. Diminuisce invece spostandosi verso il Sud Italia, caratterizzato dalla presenza di numerosi endemismi animali, cioè le specie esclusive di un determinato territorio come l’orso marsicano.
Se si considera la suddivisione per le tre macroregioni geografiche (alpina, continentale e mediterranea), le regioni alpine presentano il miglior grado di conservazione (60% favorevole) mentre la regione mediterranea riporta i dati peggiori con solo il 27% delle specie vegetali in una situazione positiva. Rispetto al rapporto precedente di Ispra, è stato registrato un notevole incremento delle conservazioni positive (43% contro il 34%) e un lieve aumento delle negative (54% rispetto al 50%), anche se questo è dovuto principalmente a un aumento dei dati disponibili invece che a un reale miglioramento delle condizioni ambientali. Il numero di specie per cui non è stato possibile definire lo stato di conservazione è calato dal 16% al 3%.
Quanto alle 207 specie animali, il 53% è in condizioni di conservazione sfavorevole e il 43% favorevole. La regione continentale ha registrato il dato peggiore con il 60% delle specie in condizione sfavorevole. Rispetto al precedente rapporto, i rettili e gli anfibi hanno subito un maggiore deterioramento, mentre mammiferi e invertebrati si trovano in una situazione più favorevole.
La situazione è molto peggiore per quanto riguarda i numerosi habitat; l’89% è risultato in uno stato negativo (49% inadeguato e 40% cattivo) con solo l’8% in una condizione positiva, tra cui le lande alpine e boreali che riportano un buono stato ovunque siano presenti. Inoltre gli habitat classificati come “dune marittime e interne” versano in una situazione critica a causa dello sviluppo di infrastrutture turistiche.
Il rapporto di Ispra analizza anche la condizione delle specie e degli habitat marini; su 20 specie marine esaminate, sette (tre mammiferi e quattro invertebrati) risultano in una condizione positiva, un rettile (la tartaruga caretta caretta) si trova in uno stato inadeguato, un mammifero (la foca monaca) e due invertebrati risultano in uno stato fortemente negativo, mentre su sette specie (cinque mammiferi e due alghe) non si possiedono sufficienti dati. Riguardo otto habitat presi in considerazione (come le praterie di Posidonia, estuari, cale e baie poco profonde, scogliere e grotte sottomarine), questi risultano in una buona condizione. Mentre su tre (banchi di sabbia a bassa copertura, distese fangose o sabbiose emerse durante la bassa marea e strutture sottomarine causate da emissioni di gas) non è ancora stato possibile definire la conservazione in modo chiaro.
Nel rapporto di Ispra è analizzata la situazione delle popolazioni di uccelli presenti sul territorio italiano. Esaminate 336 popolazioni appartenenti a 306 specie diverse, è risultato che il 46% delle specie è in aumento, il 23% è in decremento mentre per il restante 31% non sono disponibili dati sufficienti. Tra le principali minacce riscontrate ci sono il consumo di suolo dovuto all’urbanizzazione e all’agricoltura, la caccia illegale e la presenza di specie aliene. In particolare a essere minacciati sono gli uccelli che vivono in ambienti costieri, come il fratino, e quelli che nidificano in aree aperte. Secondo Ispra “le minacce connesse alle moderne pratiche agricole si ritiene abbiano inciso in modo determinante sulla drastica diminuzione delle popolazioni di specie tipiche degli ambienti agricoli, soprattutto nei contesti di pianura e a maggiore diffusione delle colture intensive”. La situazione è migliore per gli uccelli che abitano ambienti boschivi.
L’analisi di Ispra si sofferma sui principali fattori di rischio che compromettono la biodiversità nel Paese distinguendo tra “pressioni”, vale a dire elementi che hanno agito negli ultimi sei anni e che sono tuttora in atto, e “minacce”, che invece eserciteranno una grande influenza in futuro. Tutti gli ambiti esaminati risentono dell’espansione dell’agricoltura, sia in relazione al consumo di suolo sia all’uso di pesticidi. Anche la crescente urbanizzazione rappresenta un fattore di rischio; in particolare la regione mediterranea è minacciata dalla costruzione di infrastrutture legate al turismo e all’intrattenimento. Un ulteriore pericolo è rappresentato dalle specie invasive, mentre gli effetti dei cambiamenti climatici non si collocano ancora tra i principali fattori di rischio sebbene siano una delle più concrete minacce in un futuro prossimo. In tale quadro generale, si aggiungono elementi specifici: per esempio la pesca illegale o accidentale di specie protette è una seria minaccia per la biodiversità degli ambienti marini.
L’ultima parte del rapporto riguarda la presenza di specie aliene invasive, fattore chiave in circa il 50% delle estinzioni. In Italia sono state osservate 14 specie vegetali e 17 animali, considerate pericolose per la biodiversità. Importate in Italia principalmente per motivi commerciali come piante ornamentali o animali da pelliccia e da compagnia, si sono in seguito diffuse nell’ambiente dove hanno trovato un territorio favorevole per proliferare entrando in competizione con le specie autoctone. Tale minaccia è diffusa maggiormente nelle Regioni del Nord, in particolare Lombardia e Veneto con la presenza di 24 specie considerate dannose, come la nutria, la testuggine palustre americana o il gambero rosso della Luisiana. In Val d’Aosta e nelle Regioni del Sud si registrano meno di quattro specie.
Nelle Regioni del Nord sono stati presi diversi provvedimenti contro la loro diffusione in particolare la Lombardia -con 10 specie gestite su un totale di 24- e la Provincia autonoma di Bolzano che ha attuato un piano di gestione per l’87% delle specie presenti sul suo territorio. Per preservare la biodiversità, si legge nel rapporto, è necessario per prima utilizzare un approccio scientifico. Secondo il rapporto, infatti “appare necessario promuovere la strutturazione e attivazione di un sistema di monitoraggio nazionale, basato su metodi di raccolta dati coerenti e su disegni statistici robusti, che permetta il passaggio ad approcci quantitativi e oggettivi e sia adeguato a valutare i trend delle popolazioni e a monitorare l’efficacia delle misure di conservazione”.
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