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Lo stallo dell’Italia sui diritti di donne e bambini

Il rapporto “Mai più invisibili” dell’Ong WeWorld fotografa i livelli d’inclusione nelle diverse Regioni italiane: nessuna raggiunge la sufficienza per quanto riguarda i più piccoli, che stanno pagando l’immobilismo della politica e le conseguenze a lungo termine della pandemia da Covid-19. Che iniziano a farsi sentire

© Viktor Solomonik, unsplash

L’Italia sta ancora scontando le conseguenze dovute alla pandemia da Covid 19 e alle successive crisi economiche e sociali, che hanno peggiorato la situazione delle fasce di popolazione più fragile quasi 15 milioni di bambini, adolescenti e donne oggi vivono in Regioni che non garantiscono un adeguato accesso a educazione di qualità, salute, opportunità economiche e partecipazione sociale e politica. A lanciare l’allarme è il reportMai più invisibili 2023” curato dall’Ong WeWorld che ha analizzato l’inclusione di donne e bambini nel nostro Paese.

Il rapporto è stato pubblicato per la prima volta nel 2020 e nasce dall’esigenza di valutare in quali ambiti vi siano forme di inclusione/esclusione a livello regionale. L’Italia viene monitorata nella sua capacità di garantire e promuovere i diritti di queste categorie sociali attraverso una serie di trenta indicatori, raggruppati in 15 dimensioni (tra cui la qualità dell’ambiente, l’istruzione, la povertà educativa, la salute, la conciliazione vita-lavoro) a loro volta divise in tre sottoindici: contesto, bambini e donne che aggregati forniscono un indice generale.

“Dal 2018 l’Italia è in una situazione di stallo, è completamente immobile -sintetizza Martina Albini, responsabile del centro studi di WeWorld- e questo è preoccupante perché il nostro Paese ha di fronte a sé obiettivi importanti, fissati dall’Agenda 2030 per lo Sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite, ma al momento non sembra essere in grado di migliorare e di progredire”.

Nella classifica 2023, nelle prime cinque posizioni si collocano Provincia autonoma di Trento, Valle d’Aosta, Provincia autonoma di Bolzano, Friuli-Venezia Giulia ed Emilia-Romagna. Nelle ultime cinque, invece, Calabria, Sicilia, Campania, Puglia e Basilicata. Permane quindi un forte divario territoriale tra le Regioni del Nord e quelle del Sud, ma il rapporto evidenzia come anche quei territori più virtuosi in partenza, che già assicuravano livelli di inclusione maggiori non sono riusciti a raggiungere traguardi più ambiziosi, in alcuni casi anche peggiorando la propria performance.

Solo la Provincia di Trento e la Valle d’Aosta ottengono un punteggio tale da garantire livelli di inclusione sufficienti per donne, bambini e adolescenti. E su 19 Regioni “insufficienti” quattro vengono collocate tra quelle caratterizzate da “esclusione grave” e altre quattro da “esclusione molto grave”. In altre parole, il 29% dei minori e il 38% delle donne vivono in territori caratterizzati da forme di esclusione gravi o molto gravi.

Secondo il report di WeWorld le prime cinque Regioni per livello d’inclusione sono Provincia autonoma di Trento, Valle d’Aosta, Provincia autonoma di Bolzano, Friuli Venezia-Giulia, Emilia-Romagna. Ottava il Lazio, nona la Lombardia dove pesano negativamente bassa qualità dell’aria (la peggiore in Italia, dopo il Veneto) e tasso di imprenditorialità femminile, inferiore alla media nazionale (24,1% contro 26,6%).

Fanalino di coda, quelle del Sud, dove dal 2018 è aumentata la quota di minori a rischio di esclusione sociale passata dal 39% al 43%: questo significa che nel Mezzogiorno e nelle Isole più di quattro minori su dieci sono a rischio di esclusione sociale, per un totale di 1 milione e 377mila bambine e bambini. In Calabria, la Regione più povera d’Italia con due famiglie su dieci sotto la soglia di povertà il 43% di minori è a rischio di esclusione sociale, contro una media nazionale del 27,7%. La Campania è la regione in cui si registra la più alta percentuale di minori a rischio di esclusione sociale: 58,5% nel 2022, cioè circa 570mila bambini e bambine.

La Sicilia registra il tasso di abbandono scolastico più alto del Paese, 21,2%, contro una media nazionale del 12,7%. Qui si registra anche la percentuale più bassa di donne laureate o in apprendimento permanente: rispettivamente 22,6% (media nazionale del 33,3%) e 6,8% (media nazionale del 10%). In Basilicata, fanalino di coda dell’Indice di WeWorld, un minore su tre è a rischio di esclusione sociale.

“Per quanto riguarda l’inclusione dei bambini e degli adolescenti nessuna Regione raggiunge la sufficienza -continua Albini-. I più giovani stanno pagando l’immobilismo della politica e le conseguenze a lungo termine della pandemia da Covid-19 che stiamo iniziando a misurare. L’Italia ha tenuto le scuole chiuse per 38 settimane, il maggior lasso di tempo in tutta Europa, e le conseguenze di questa situazione si stanno facendo sentire: la percentuale di studenti di terza media con competenze alfabetiche e numeriche non adeguate è salita, in media, al 38,1% e al 42,1%. Questo vuol dire che quasi quattro su dieci non hanno competenze alfabetiche adeguate e cinque su dieci numeriche”.

Un altro indicatore interessante che permette di fotografare le condizioni di inclusione sociale dei minori è quello che WeWorld definisce “Capitale umano”, ovvero l’insieme di conoscenze, competenze e abilità che contribuiscono alla formazione degli individui e che non si costruisce solo a scuola, ma anche grazie all’ambiente familiare e sociale. Questa voce, all’interno del report, ha registrato un calo importante, legato soprattutto a una diminuzione della partecipazione ad attività culturali fuori casa. “In tutte le Regioni ci sono stati cali anche di 30 punti percentuali -continua Albini-. Ma questo ha a che vedere anche con gli investimenti pubblici: in Abruzzo la media è di sette euro a persona, a Bolzano arriva a 55”.

Servono quindi interventi urgenti, ma soprattutto politiche multidimensionali che considerino l’intreccio tra i diritti delle donne e quelli dei bambini. WeWorld propone diverse macro-aree di intervento, a partire da azioni per il miglioramento delll’empowerment economico femminile (a partire dalla riduzione del gender pay gap), per il contrasto alla violenza di genere e sui minori, per un’educazione di qualità che prevenga la povertà educativa e contrasti la dispersione scolastica.

“Serve un’offerta formativa potenziata, che vada oltre alla scuola: ci sono famiglie che non possono permettersi di mandare i propri figli a praticare sport o a partecipare ad attività culturali. Serve quindi una rete attiva sul territorio che sia in grado di offrire a tutti queste opportunità. Chiediamo inoltre di estendere l’obbligo di istruzione passando dalla fascia 6-16 anni a 3-18 anni -spiega Albini-. Ci sono poi questioni più ampie che afferiscono alla gestione del tempo e che permetterebbero una maggiore conciliazione tra vita familiare e lavoro, ad esempio la copertura dei servizi per la prima infanzia al 60% come indicato dall’Unione europea. E insistiamo sulla rimodulazione del calendario scolastico, anacronistico e penalizzante per le famiglie italiane”.

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