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Lo sgombero di facciata dei migranti dall’area del Porto vecchio di Trieste

© Jens Aber - Unsplash

Il 20 novembre le forze di polizia hanno “liberato” il varco monumentale dove erano accampate decine di persone. Potranno finalmente ottenere l’accoglienza che gli spetta di diritto ma si tratta solo di una pezza che non porrà fine al problema dell’abbandono di chi è in arrivo nel capoluogo giuliano dalla rotta balcanica. La denuncia della Rete solidale impegnata a dare le risposte negate dalle istituzioni

Un’operazione mediatica, di facciata. Le realtà della Rete solidale di Trieste, che ormai da anni si occupa delle persone in arrivo dalla rotta balcanica, definiscono così il trasferimento di più di un centinaio di migranti dall’area del Porto vecchio, avvenuto il 20 novembre.

Già dal 21 giugno -data dello sgombero del silos- chi arrivava e non trovava posto nel sistema di accoglienza si rifugiava in questa zona, ancora più esposta e meno organizzata della precedente. “Nella mattina del 20 novembre nello spazio del Porto vecchio si sono presentate le forze di polizia, con quattro pullman -racconta Giulio Zeriali della Diaconia Valdese, una delle realtà della rete-. Hanno sgomberato l’area del varco monumentale dove la gente stava accampata e hanno portato tutti in un altro spazio dietro al silos, dove è stato fatto uno screening sanitario e amministrativo. Poi i richiedenti asilo sono stati trasferiti all’hub di Bresso, in Lombardia”.

Se è vero che questa operazione permetterà alle persone di ottenere finalmente l’accoglienza che gli spetta di diritto, è altrettanto vero che si tratta solo di una pezza, che non porrà fine al problema dell’abbandono di chi è in arrivo a Trieste dalla rotta balcanica.

“Nonostante venga presentata come un’azione risolutiva ed efficiente, l’operazione odierna rappresenta l’ennesima dimostrazione di una gestione straordinariamente carente -si legge nel comunicato congiunto diramato dal Consorzio italiano di solidarietà (Ics), da Linea d’ombra, No name kitchen e Diaconia Valdese-. Se infatti i richiedenti asilo avessero avuto accesso, come previsto dalla legge, a un sistema di prima accoglienza adeguato al loro arrivo, con una successiva e rapida redistribuzione sul territorio nazionale, l’indecoroso abbandono nell’area del Porto Vecchio non si sarebbe verificato. La scenografica e onerosa operazione di oggi sarebbe stata così del tutto superflua”.

Nel capoluogo giuliano rimangono carenti gli interventi per risolvere la situazione dei migranti costretti a vivere per strada; i trasferimenti vengono effettuati maggiormente negli ultimi mesi, ma ancora con cadenza bisettimanale, insufficiente a garantire la ridistribuzione dei richiedenti asilo, il cui numero è quasi raddoppiato. L’ampliamento annunciato della struttura di prima accoglienza all’ostello di Campo Sacro, intanto, non è stato completato: non sono ancora iniziati i lavori per l’adeguamento del sistema fognario e non sono stati posizionati i moduli abitativi che ne avrebbero raddoppiato la capacità, portandola a 150 posti.

Lo sgombero al Porto vecchio è arrivato a sorpresa. “L’informazione di questa operazione non è stata condivisa dalle istituzioni con nessuna delle organizzazioni della Rete solidale -continua Zeriali-, come invece era accaduto per il silos”. Sono proprio queste realtà, però, che impediscono il peggioramento della situazione, “anche sotto il profilo della sicurezza”, come scrivono nel comunicato. Chi concretamente aiuta ogni giorno le persone in strada fa richieste chiare alle autorità.

Sarebbero necessari maggiori trasferimenti, ma anche strutture adeguate a dare riparo a chi si trova all’addiaccio. “Bisognerebbe creare un dormitorio di bassa soglia, che garantirebbe un’accoglienza dignitosa alle persone -afferma l’operatore di Diaconia Valdese-, e permetterebbe alle organizzazioni di tutela di intercettare i casi vulnerabili, cosa che diventa difficilissima con numeri alti”.

Per quanto infatti siano aumentati coloro che decidono di chiedere asilo a Trieste, sono ancora tantissime le persone in transito, dimenticate dalle operazioni come quella di oggi. Non sono solo adulti singoli, ma anche famiglie e minori (il 40% degli arrivi ha un profilo vulnerabile), che rischiano di finire a dormire sulla strada, in una condizione di abbandono.

Servono misure strutturali, adatte a una città come Trieste, snodo fondamentale delle rotte migratorie. Se la soluzione sono interventi una tantum, “il rischio -avverte la Rete solidale- è che in poche settimane si ripresentino gli stessi fenomeni di abbandono, perpetuando un ciclo di inadempienze istituzionali apparentemente senza fine”.

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