Ambiente / Reportage
“Lo Riu es vida”. Il movimento che in Catalogna protegge il fiume Ebro
La Plataforma defensa Ebre combatte da trent’anni contro il trasferimento delle acque verso il Nord della Regione per tutelare un ecosistema fragile che rischia di scomparire. La minaccia della siccità e delle “grandi opere”
“Lo Riu es vida”. È lo slogan che si legge sui muri della città di Amposta, circa duecento chilometri a Sud di Barcellona, sulle coste catalane. Sotto la scritta si vede il disegno di una corda annodata, simbolo della Plataforma defensa Ebre (Pde), il movimento che dal 2001 porta avanti l’opposizione sociale, politica e scientifica alle operazioni di trasvases, il trasferimento di acque dal bacino dell’Ebro, nel Sud della Catalogna, verso il sistema Ter-Llobregat, nel Nord della Regione, dove si concentrano le province più popolose tra cui Barcellona, Girona e Tarragona. “Sappiamo che la nostra può sembrare una posizione egoista in un momento di grande siccità, ma non è così. Non stiamo dicendo ‘io l’acqua ce l’ho e non te la lascio’, ma stiamo difendendo un ecosistema fragile che è la nostra terra”, spiega Susanna Abella, portavoce della Pde, mentre in macchina attraversa le risaie del delta per arrivare dalla stazione di Amposta alla riserva naturale del Riet Vell, a poche centinaia di metri dal mare.
L’accusa di egoismo non è nuova nelle Terre dell’Ebro -uno degli otto Ambiti funzionali territoriali della Catalogna- ma accompagna le battaglie della Piattaforma dalla sua costituzione. Era il luglio 2001 infatti quando l’allora governo di centrodestra, guidato dal primo ministro Josè Aznar, approvava il “Plan hidrologico nacional” (Phn). La legge, in seguito modificata, prevedeva l’interconnessione tra i bacini idrici spagnoli, comportando trasferimenti d’acqua dalle Terre dell’Ebro verso Barcellona, Murcia, Valencia e Almerìa. L’opera progettata disegnava un sistema di canali di una lunghezza totale di 912 chilometri di cui 480 sarebbero stati di nuova costruzione, mentre i restanti avrebbero impiegato infrastrutture già esistenti. L’acqua trasferita verso il Nord della Regione era calcolata in 190 ettometri cubi ogni anno, corrispondenti a 190 miliardi di litri d’acqua, che avrebbero sorretto i consumi dei sistemi sovraimpiegati.
Il piano è stato poi modificato nel 2005 dal successivo Governo Zapatero e anche grazie all’opposizione della Piattaforma e dei movimenti ecologisti catalani, i trasvases non sono mai stati realizzati. Ma ciclicamente vengono riproposti, soprattutto come soluzione alla siccità. L’ultima volta a dicembre 2023, quando la Camera di commercio di Barcellona insieme ad alcune associazioni professionali di ingegneri ed economisti ha proposto di realizzare un’interconnessione di reti tra il Consorcio de aguas de Tarragona e l’ente Abastecimiento de agua Ter-Llobregat con una funzione simile a quella dei trasvases.
La Catalogna infatti è entrata ufficialmente in stato di emergenza a febbraio 2024, quando le riserve idriche della Regione sono scese sotto il 16%. Secondo la tesi di chi proponeva l’opera, da realizzarsi in otto mesi, questa sarebbe stata in grado di trasferire fino a cinquanta ettometri cubi d’acqua l’anno, tamponando la situazione di emergenza nel Nord della Regione, dove la siccità impatta in maniera più evidente sia per la scarsità di risorse idriche sia per l’importante richiesta di consumi. Un’idea che anche a distanza di venti anni continua a suscitare perplessità a causa dell’impatto che un’ulteriore riduzione del flusso del fiume potrebbe avere sull’ecosistema del delta. “È un hotspot, un luogo in cui gli effetti del cambiamento climatico sono più evidenti -prosegue Abella, mentre ferma l’automobile all’ingresso della riserva-. Qui ci confrontiamo con situazioni che in altri luoghi potrebbero verificarsi tra anni”.
Dal 1996 Riet Vell è gestito dalla Ong SeoBirdLife, una delle più antiche organizzazioni ambientaliste del Paese, che qui sostiene una coltivazione ecologica di riso -oggi gestita da una cooperativa sociale-, un punto di osservazione ornitologico e progetti di scambio internazionale con studenti e ricercatori. “Si chiama Riet Vell (vecchio fiume, ndr) perché in questo punto si trovava un’antica foce dell’Ebro”, spiega Marc Viñas, biologo e direttore della riserva che da anni si occupa di ecologia applicata in aree protette. Il delta è una delle zone umide più grandi d’Europa e il paesaggio è dominato dalla presenza d’acqua: dalle saline di fronte al mare, agli stagni e le lagune popolate da fenicotteri e altre specie di volatili, alle risaie che aspettano di essere inondate, l’acqua scandisce i ritmi di vita del territorio che per il 20% è composto da aree naturali. Un ecosistema complesso che si regge su un fragile equilibrio che si sta progressivamente modificando. “I problemi che affrontiamo sono principalmente tre -sostiene Viñas- l’erosione della costa, il cedimento del terreno dato dal diminuire dell’apporto di sedimenti e l’aumento della salinità idrica”.
Il denominatore comune è la portata del fiume che, al di là dei progetti di trasporto delle acque, già dagli anni Sessanta è stata ridotta dalla costruzione di dighe. L’Ebro è infatti il fiume più lungo che sfocia nel mar Mediterraneo di tutta Europa e anche uno dei più controllati: il sistema di bacini permette di modificarne il flusso, che è variato dai circa 15mila ettometri cubi degli anni Settanta agli 8.800 del 2008. Il sistema del delta è dinamico “bisogna immaginarlo come una spugna, assorbe quello che arriva -prosegue Viñas-. L’acqua dolce e l’acqua salata si incontrano con diverse densità: se diminuisce quella dolce e la quantità di sedimenti presente, si alza il livello di quella salata, più densa e più in basso. Il risultato è l’aumento della salinità e la progressiva scomparsa del delta che si è formato storicamente con il trattenersi dei sedimenti”.
Il 20% del territorio intorno al delta del fiume Ebro in Catalogna è composto da aree naturali. Si tratta di una delle zone umide più grandi d’Europa. Un ecosistema complesso che si regge su un fragile equilibrio che si sta progressivamente modificando
Le Terre dell’Ebro sono composte da ventimila ettari di orti, alberi da frutto e risaie. Un’economia fondata sulla salute del fiume, che prosegue anche quando questo è sfociato nel mare: il secondo settore più importante infatti è la pesca e la coltivazione di frutti di mare. Proseguendo verso Sud dal Riet Vell si raggiunge la spiaggia del Trabucador dove si incontrano diverse coltivazioni di cozze. “Non è vero che l’acqua si perde nel mare, è una bugia. L’acqua dolce porta nutrienti fondamentali”, spiega Ramòn Gilabert, produttore di molluschi: nativo del delta, è qui che suo padre ha fondato nel 1962 il primo allevamento di cozze della zona. “I sedimenti del fiume creano le condizioni affinché i molluschi possano crescere -prosegue Gilabert-. Genera il fitoplancton che li nutre. E con il diminuire della sua portata diminuisce anche la grandezza dei molluschi: nelle cozze per ogni chilo ci dovrebbero essere 220 grammi di carne, così era negli anni Settanta. Adesso ne abbiamo circa 180”. Sulla spiaggia l’erosione della costa è evidente per chi, come lui, ha visto questi luoghi cambiare negli anni: le dune si abbassano, indebolendo le barriere naturali che dovrebbero contenere il mare. La tempesta Glòria del gennaio 2020 -uno degli eventi estremi che ha colpito più duramente la Spagna negli ultimi anni- è stata un bagno di realtà: “Il mare è penetrato fino a quattro chilometri, inondando i campi e rovinando i raccolti”, ricorda Gilabert.
“Siamo una Regione ricca ma non abbiamo raggiunto un equilibrio territoriale. Barcellona e il mio paese non sono uguali, ma serve un bilanciamento” – Dani Forcadell
È in questo contesto che crescono le preoccupazioni per la costruzione dei trasvases che sottrarrebbero ulteriore acqua a un ecosistema già fragile per natura. Non è quindi soltanto una questione di preservazione del patrimonio naturale ma di giustizia climatica e di disuguaglianze tra territori ricchi e poveri, tra metropoli e aree interne. Nel 2023 per la prima volta l’acqua disponibile per l’agricoltura è stata tagliata del 50%, mentre Barcellona accoglieva 22 milioni di turisti in un anno, consumando 22 ettometri cubi di acqua, stando alle stime dell’Agenzia catalana dell’acqua. “La Catalogna è una Regione ricca ma non abbiamo raggiunto un equilibrio territoriale. Non dico che Barcellona e il mio paese siano uguali, ma serve un bilanciamento. Bisogna che si tiri un po’ il freno”, dice Dani Forcadell, un coltivatore di riso della zona.
E lo sanno anche i movimenti: la Pde non è isolata nelle proprie posizioni e le battaglie “antitrasvasiste” sono parte delle richieste affinché in Catalogna si generi una nuova cultura dell’acqua, meno estrattivista e votata alla gestione delle risorse esistenti. Le istanze dell’Ebro sono entrate nella campagna “No En Raja”, promossa da numerose associazioni ecologiste catalane a partire dall’autunno del 2023, che chiede di ripensare il modello di sviluppo della Regione a partire da una messa in discussione del modello delle metropoli. I trasferimenti per il momento sembra che non si faranno, anche se non è ancora chiaro come il nuovo governo regionale gestirà la situazione. Nelle elezioni di metà maggio la maggioranza relativa è stata conquistata dal Partito socialista catalano, il cui leader Salvador Illa ha pubblicamente escluso la possibilità di appoggiare trasferimenti idrici tra bacini diversi. “Non possiamo comunque abbassare la guardia -dice Susanna Abella-, perché sappiamo che ci sono interessi che possono sempre prevalere”. Il progetto infatti continua a essere sostenuto dal Partito popolare e da Vox, ma anche da diverse associazioni di coltivatori al Nord della Regione, gruppi economici e associazioni di categoria.
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