Altre Economie
L’istituto con le porte aperte
“Villa Maria”, in Trentino, è un esempio di accoglienza diffusa e integrazione familiare per disabili e persone con handicap
C’erano una volta 100 “handicappati”, protetti e coccolati, ma rinchiusi in un istituto. Oggi ci sono 100 persone con diversi problemi di disabilità, che vivono in appartamenti, case, famiglie e comunità. Al mattino escono per lavorare e seguire le terapie, fanno la spesa, riordinano casa, hanno degli amici, e ogni tanto fanno qualche periodo di vacanza per riposarsi.
“Non ci siamo inventati nulla -dice Luca De Gasperi, il direttore della cooperativa Villa Maria-. Abbiamo solo cercato di fare le cose di cui le persone avevano bisogno”. L’hanno fatto partendo da un vecchio istituto religioso per disabili, una villa bianca un po’ rimaneggiata negli anni a Lenzima, una piccolissima frazione sulle prime pendici delle alpi trentine. Questa storia inizia nel 1994. L’istituto allora era molto grande: ospitava un centinaio di persone che in alcuni casi avevano passato nella struttura quasi tutta la loro vita. Gli ospiti erano divisi in 7 reparti di 15/16 persone ciascuno senza particolare distinzione tra i tipi di handicap: tutti seguivano la stessa giornata tipo.
Quando le suore decisero di lasciare la gestione, i dipendenti della struttura si fecero avanti per dare continuità alle attività: l’edificio venne affittato alla Provincia di Trento e la neonata cooperativa Villa Maria iniziò a lavorare, dando ascolto agli operatori che avevano le idee chiare su come migliorare il servizio. Per prima cosa, chiusero i reparti ed organizzarono la struttura in gruppi di 10/12 persone con problemi simili, pensando programmi mirati per fare leva sulle capacità di ciascuno. Ben presto, gli operatori si resero conto che alcuni ospiti potevano vivere anche fuori dall’istituto.
Nacquero così nel 2001 le prime tre comunità alloggio: appartamenti collocati nella vicina Rovereto dove si trasferirono, con la costante presenza degli educatori, piccoli gruppi di 6/8 persone disabili. Cominciarono, pian piano, a sperimentare momenti di normale vita quotidiana: passeggiare in centro, frequentare il mercato e i negozi del paese, cucinare e riordinare, uscire di casa la mattina per seguire i programmi di riabilitazione a Lenzima e rincasare dopo una giornata di attività. Queste prime esperienze di vita esterna all’Istituto furono anche una grande prova di “si può fare”: da quel momento la cooperativa ha lavorato per accompagnare gli ospiti verso la vita autonoma offrendo loro tutti gli aiuti necessari, ma con modalità sempre meno intrusive. Oggi Villa Maria segue gli ospiti con 5 tipologie di servizi caratterizzate da livelli diversi di protezione.
Alcune persone abitano da sole: vivono in appartamenti collocati nella stessa palazzina dove hanno sede alcune comunità alloggio. Hanno il supporto della comunità, degli educatori e dei volontari, ma hanno soprattutto modo di essere indipendenti nel quotidiano: dalla gestione della casa alle scelte di arredo degli spazi, dall’organizzazione del tempo libero alla gestione dei rapporti con amici, volontari, vicini di casa.
Altri ancora vivono in “famiglie professionali”: sono accolti, cioè, nelle case di volontari e collaboratori della cooperativa e vivono con loro per periodi anche molto lunghi. Sono persone che spesso non hanno più la famiglia di origine, ma per caratteristiche psicologiche e di comportamento sono pronte e disponibili a un’esperienza familiare. La cooperativa sostiene molto chi accoglie: le famiglie percepiscono un’indennità di 1.382 euro al mese, periodicamente incontrano lo psicologo per discutere eventuali difficoltà, gli alloggi sono adattati con costi a carico di Villa Maria e l’intervento di tecnici che ne valutano la sicurezza ed apportano eventuali modifiche. Durante il giorno gli ospiti frequentano i laboratori le attività a Lenzima, ma la loro vita quotidiana si svolge in famiglia e quindi in un contesto più accogliente e meno strutturato della comunità. Il servizio, iniziato in modo sperimentale dalla cooperativa, è oggi riconosciuto dalla Provincia di Trento che lo ha apprezzato perché è efficace, ma anche economico: seguire le persone in questo modo costa il 21% in meno che nelle comunità alloggio, anche considerando tutti i costi indiretti. Altre persone hanno bisogno ancora di interventi a maggiore protezione. Alcuni vivono ancora nell’istituto: sono le persone più anziane con forme di disabilità psicofisica grave o gravissima, e per loro è necessaria un’assistenza sociale e sanitaria 24 ore su 24 durante tutto il corso dell’anno. Molti, infine, sono coloro che abitano nelle comunità famiglia. Dopo le prime, aperte nel 2001, ne sono nate tante altre: oggi sono 9 ed accolgono più di 60 persone.
Anche questa storia, però, ha la sua crisi, ed è una crisi che riguarda Villa Maria non meno che la vita di ogni comunità: le persone invecchiano, e hanno bisogno di aiuti maggiori. Le risorse disponibili invece diminuiscono, e mettono in discussione anche i risultati già ottenuti. Le persone più anziane che oggi sono accolte da Villa Maria hanno quasi 80 anni. Già da molto tempo non hanno più familiari in grado di sostenerli e anche quando ci sono si tratta di parentele “alla lontana”.
Quello che accade allora è un vero “miracolo all’incontrario”. Curare un disabile in comunità costa tanto. Curare un anziano in casa di riposo costa molto meno perché in una struttura per anziani si gestiscono molte perone e si realizzano “economie di scala”. La cura inoltre è spesso più assistenziale che evolutiva: vengono sospese le attività individualizzate di terapia e stimolo e il servizio si orienta alla cura dei problemi di salute e a generiche attività di animazione di gruppo.
Allo scadere dei 65 anni, allora, accade che uno di quei “miracoli” che solo la burocrazia può fare: “finalmente” trattata come tutti gli altri, la persona con handicap diventa semplicemente anziana. In virtù di questo semplice passaggio viene trasferito in casa di riposo, dove il costo per accudirlo è più o meno dimezzato. Non accade ancora ovunque, ma è una tendenza che si sta diffondendo in molte regioni, ed ha già coinvolto anche alcuni ospiti della cooperativa che vengono da fuori Trentino.
Questo passaggio non solo rischia di compromettere tutte le autonomie lentamente acquisite, ma spesso è un trauma profondo per chi, con pochi mezzi personali per far fronte ai cambiamenti, è sradicato dall’ambiente in cui ha cercato (e finalmente trovato) una propria misura di benessere.
La possibilità per gli anziani di restare a Lenzima è legata alla buona volontà dei Comuni e dei parenti che versano le rette. Via via che la spesa sociale viene tagliata, infine, si riducono anche le risorse per sostenere i disabili più giovani e capita talvolta che le amministrazioni comunali scelgano di spostare gli ospiti in strutture magari meno qualificate, ma sicuramente più economiche (30-35% in meno).
A questi gravi problemi nemmeno a Villa Maria hanno ancora trovato una soluzione. Stanno sperimentando servizi come quelli familiari per ridurre i costi, mobilitano volontari, raccolgono donazioni… ma il welfare costa, soprattutto quando ha a che fare con le non-autosufficienze.
“Non abbiamo fatto cose rivoluzionarie -dice Luca, concludendo il suo racconto-, ma quello che ci siamo ripromessi lo abbiamo fatto davvero”. Sfogliamo le foto della cooperativa: un ragazzo impugna un po’ intimorito il timone di una barca a vela sul Garda, due amici esultano sulla neve con le ciaspole ai piedi, un’anziana è seduta su un pascolo accanto a un vitellino, un gruppo di giovani saluta accalcato su un canotto, una ragazza pettina sorridendo il cagnone di casa. Scene ordinarie di momenti sereni. Che qualcuno possa chiedersi “Fino a quando?” è già un’ingiustizia. —