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L’impronta del Mammut sui bambini che crescono ai piedi delle “Vele”
A Scampia sorge un centro sotto uno strano porticato a sei colonne che ricorda le forme del mastodonte. Dalla ciclofficina ai laboratori di studio e musica, fino ai corsi per insegnanti: un polmone di attività decisivo per il quartiere di Napoli
Da diciassette anni si ripete la stessa storia -raccontano Chiara Ciccarelli e Giovanni Zoppoli, tra i fondatori del Centro territoriale Mammut-: arriviamo con l’acqua alla gola e dobbiamo inventarci un modo per recuperare le risorse per far sopravvivere un luogo del quartiere ormai essenziale per i bambini, le bambine e le loro famiglie”.
Siamo nel cuore della periferia Nord di Napoli, a Scampia, dove sorge una vasta piazza dominata da un moderno portico alto dieci metri, decorato da tre file di dodici colonne. Questa struttura è un esempio di architettura popolare dai contorni bizzarri e senza uno scopo preciso. Piazza Giovanni Paolo II (già piazza Grandi Eventi) è stata ultimata con il colonnato nel 2007, dopo varie segnalazioni e proteste dei cittadini, perché era presidiata da spacciatori. Il simbolo del quartiere sono le famigerate “Vele”, gli immensi condomini pluripiano abitati, in emergenza post-terremoto dell’Irpinia, prima che potessero essere completate. Chi vive il quartiere ha ribattezzato quel portico assurdo “il mammut”, data la somiglianza col bestione preistorico, e un progetto del Centro Hurtado -all’epoca guidato dal gesuita padre Valletti- vi ha appeso uno striscione giallo, ora scolorito: “Non arrendetevi al male. Mai!”.
Alla fine, nel 2007, le sale sotto il portico sono state assegnate dalla Regione Campania all’associazione Compare che da allora gestisce il centro territoriale Mammut, uno dei più longevi esempi in città di ricerca e azione pedagogica con le scuole, i bambini, i ragazzi e i loro genitori. “L’assegnazione fu uno degli ultimi colpi di coda dell’amministrazione Bassolino”, ricostruiscono Ciccarelli e Zoppoli.
Oggi le attività sono tante e tra le più diverse: la ciclofficina, i laboratori di studio pomeridiani, quelli di musica e break dance, la formazione per gli insegnanti. In aggiunta alla ricerca e azione condivisa con le scuole -che pone al centro l’intreccio tra didattica, educazione e urbanistica- ogni anno viene celebrata una giornata di festa e condivisione chiamata “Mito del Mammut” a cui partecipano oltre trecento bambini e bambine.
Le origini di questo progetto risalgono al 1997, quando un gruppo di operatori ed educatori con diverse sensibilità e competenze (psicologia, antropologia e pedagogia) si è avvicinato informalmente a un campo rom di Scampia dando vita, negli anni, a una baracca-gioco e un poliambulatorio.
La sede del centro Mammut nota in passato come “piazza della droga”, ora è un laboratorio interculturale dove i giovani fluiscono come le acque in movimento
Il gruppo poi è entrato in contatto con diverse realtà sociali storiche di Napoli come la Mensa dei bambini proletari, l’Associazione risveglio Napoli (Arn) e il centro sociale Diego Armando Maradona Montesanto (Damm)- sviluppando un movimento di pensiero pedagogico centrato sul rapporto tra educazione e città, con particolare attenzione all’autocritica della deriva professionalizzante del Terzo settore. Nei primi anni Duemila i fondatori del centro Mammut iniziano a collaborare anche con altre realtà, come l’artista Felice Pignataro e il Gridas, associazione fondata nel 1981, che promuove progetti artistici come murales, mosaici alla maniera di Antoni Gaudì e il Carnevale di quartiere, quest’anno l’11 febbraio.
Quello che non è mai cambiato, negli anni, è l’identità delle attività del Mammut: al centro c’è la sfera culturale, privilegiando materie come la matematica e la scienza, con l’obiettivo di contrastare la dispersione scolastica. Una sfida particolarmente rilevante in Campania, soprattutto in luoghi come Scampia, dove è necessario pensare a iniziative in grado di stimolare e coinvolgere i giovani, senza scadere nella “progettazione fine a se stessa” inseguendo i bandi ed “eventizzando” le iniziative per renderle visibili e superficiali allo stesso tempo. “Il nostro approccio -spiegano Ciccarelli e Zoppoli- si caratterizza in un costante equilibrio tra teoria e pratica, traducendo sempre le parole in azioni concrete”. Negli anni sono anche nate diverse pubblicazioni come “Il barrito del Mammut”, “Il barrito dei piccoli” e “L’A.pe – Rivista di ricerca, di arti e pedagogie per gli educatori e le educatrici”.
La piazza del centro, in passato nota come “piazza della droga”, è ora un laboratorio interculturale dove i giovani fluiscono come le acque in movimento. Secondo Ciccarelli, il Mammut rappresenta una costante terraferma a cui bambini e ragazzi possono sempre fare ritorno. Alcuni di loro, partecipando ai progetti fin dall’infanzia, continuano il percorso anche da adolescenti o adulti. Altri hanno trovato la propria vocazione aprendo spazi-laboratorio per la danza o la musica, diventando ballerini affermati o facendo carriera: come nel caso di Luca Nemolato, disegnatore ed esperto di effetti speciali che ora lavora a Hollywood.
Nemolato è stato uno dei primi partecipanti al progetto “Corridoio”, che offre opportunità formative in collaborazione con realtà della Toscana e dell’Emilia-Romagna. La questione della sopravvivenza è centrale: come fa a stare in piedi per oltre quindici anni un’impresa sociale del genere? “È sempre una questione di compromesso -spiega Zoppoli-. Dobbiamo trovare un equilibrio tra le richieste del pubblico e dei privati e le nostre esigenze, evitando finanziamenti incompatibili. È molto difficile”. Il Mammut, del resto, ha sempre mantenuto una politica retributiva equa per i propri operatori, mentre, per quanto riguarda gli obiettivi, è fondamentale misurare i risultati e registrare i progressi con pubblicazioni e convegni, attraverso interviste ai docenti, diari di bordo degli operatori e i riscontri dei genitori.
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