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Economia / Opinioni

L’illusione dei bonus e i pericoli dell’inflazione

© Imelda, unsplash

Benefici “ad hoc” non permettono di contrastare le diseguaglianze, occorre alzare i salari minimi per tutelare il potere d’acquisto dei ceti medio-bassi. La rubrica di Alessandro Volpi

Tratto da Altreconomia 247 — Aprile 2022

I dati sulla mirabolante crescita del Pil italiano, pari al 6,6% nel 2021, sono l’espressione di un evidente rimbalzo; i numeri lo confermano con sempre maggiore chiarezza. Il recupero rispetto al 2019, in valori assoluti e a prezzi costanti, senza considerare l’inflazione, è stato infatti soltanto dell’1%, un incremento che colloca il nostro Paese al penultimo posto in Europa, sotto Francia e Germania.

Se poi il dato del 2021 viene confrontato con il 2007, la posizione in classifica non cambia: l’Italia è ancora penultima, con una perdita del 2,8%. Forse, sarebbe il caso di abbandonare i trionfalismi degli ultimi mesi e interrogarsi sul senso delle misure adottate. In tale ottica, è sempre più evidente che la strada dei bonus ha rappresentato lo strumento privilegiato della politica economica italiana, soprattutto in materia fiscale, ma in realtà senza grandi esiti.

Sono ben 81 quelli esistenti cui, in parte, si aggiungono le cosiddette spese fiscali: in pratica altri bonus. In questo modo, sparisce davvero ogni vera prospettiva di riforma del fisco; si introducono benefici ad hoc, che spesso non hanno alcun legame con il reddito dei beneficiari e sono addirittura peggiorativi in termini di distribuzione della ricchezza. In alcuni casi poi i bonus producono una lievitazione dell’inflazione e distorcono il funzionamento del rapporto tra domanda e offerta, drogando alcuni settori a discapito di altri. Ultimo e non trascurabile dato, costano moltissimo, erodendo il gettito fiscale e spingendo così lo Stato a recuperare risorse con le inique imposte indirette, a partire dalle accise. La mancanza di una visione politica complessiva genera la festa delle “mancette”, costose.

Sarebbe necessario, al contrario, tenere ben presente il forte aumento dell’inflazione, trascinata per circa due terzi dai prezzi dell’energia che si traducono in bollette stellari e in un rincaro di molti generi primari, destinato a costituire una pesante imposta indiretta, insostenibile per i redditi più bassi. Occorrerebbe prendere subito consapevolezza di ciò per introdurre correttivi fiscali che si muovano in direzione della progressività. In altre parole, in una situazione di forte inflazione, i provvedimenti fiscali devono, ancora di più, essere un correttivo delle disuguaglianze.

L’importo del salario orario minimo in Germania dopo la riforma approvata dal governo lo scorso febbraio è di 12 euro. Quando entrerà in vigore, lo stipendio minimo di chi lavora 40 ore a settimana sarà superiore ai duemila euro

I bonus, le cedolari secche, le imposte piatte, la riduzione del numero delle aliquote sembrano davvero fuori dal tempo quando diventa necessario tutelare la capacità d’acquisto delle fasce medio basse, di cui si compone gran parte della popolazione italiana.

Servirebbe poi una vera politica salariale. I socialdemocratici tedeschi si sono presentati alle elezioni proponendo un aumento del salario minimo a 12 euro l’ora: un punto che è stato alla base dell’accordo di governo con Verdi e Liberali ed è stato realizzato. Adesso, per chi lavora 40 ore, la retribuzione mensile minima è superiore ai 2.000 euro. È significativo notare che questa misura ha preso corpo nonostante in Germania l’inflazione a gennaio sia stata poco sotto il 5% e a febbraio si sia avvicinata al 6%.

In altre parole: la discussione politica tedesca è costruita su una visione chiara per cui l’aumento delle retribuzioni basse è una priorità, da difendere anche di fronte al rischio dell’inflazione. Anzi, proprio in presenza di una perdita di acquisto dei salari, si procede ad aumentarli. In Italia la discussione sul salario minimo stagna da tempo e si è fermata ad un’ipotesi di 9 euro lordi, pensati peraltro in un momento di deflazione. Sarebbe molto utile aggiornare e dare seguito a quella discussione o la necessità di sussidi pubblici contro il caro vita diventerà sempre più assillante.

Alessandro Volpi è docente di Storia contemporanea presso il dipartimento di Scienze politiche dell’Università di Pisa. Si occupa di temi relativi ai processi di trasformazione culturale ed economica nell’Ottocento e nel Novecento

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