Diritti / Opinioni
L’esternalizzazione del diritto di asilo
L’accordo sui migranti tra Ue e Turchia, finalizzato al controllo delle frontiere, soffoca il concetto stesso di rifugiato. E c’è già chi lo copia, come il Kenya
“Occhio non vede, cuore non duole”. L’ha detto Gad Lerner, durante un dibattito che si è tenuto nella sede di Roma di Medici Senza Frontiere, il 6 luglio scorso. Il tema era l’accordo tra Ue e Turchia per la gestione dei migranti. O meglio per la non gestione, perché di questo si tratta: la sovvenzione di un Paese terzo perché raccolga i profughi che altrimenti arriverebbero da noi, senza preoccuparci di come queste persone vengano accolte. È l’esternalizzazione del diritto di asilo, un ossimoro giuridico che anziché suscitare ondate di protesta tra i cittadini della culla del diritto, raccoglie consensi tra tutti i governi europei.
Parliamo di uomini, donne e bambini che fuggono da situazioni disperate, che hanno attraversato violenze e soprusi, che hanno atteso per mesi in campi privi delle strutture minime per l’accoglienza e il sostentamento e che noi rifiutiamo di assistere. Nessuno dubita che la Turchia, che già ospita quasi tre milioni di rifugiati siriani, abbia bisogno di un aiuto economico, ma nell’accordo finanziario con l’Ue la preoccupazione principale non sono le condizioni dei profughi, ma il controllo delle frontiere.
Intanto, decine di migliaia di persone sono bloccate in Europa, sotto la minaccia di un ritorno forzato in Turchia. Basta Ventimiglia, basta Idomeni, basta Calais. Oltretutto in Turchia, si sa, diventa sempre più difficile documentare che cosa succede e quindi non rischiamo neppure di essere perseguitati dalle immagini drammatiche dei bambini che nascono in mezzo al fango.
Possiamo essere fieri: anche questa volta siamo un esempio anche per altri Paesi. Se l’Europa soffoca il concetto stesso di rifugiato, perché il Kenya dovrebbe continuare a ospitare sul suo suolo centinaia di migliaia di scappati dalla Somalia e dal Sud Sudan? È lo stesso governo keniota a citare la politica europea per giustificare la decisione di chiudere il più grande campo profughi del mondo, Dadaab. Se prendersi cura di chi è costretto ad abbandonare la propria casa non è più considerato un obbligo legale dall’Europa, perché dovrebbe continuare a esserlo per il Kenya, dopo che ha accolto i suoi vicini in fuga per 25 anni?
Tra febbraio e maggio 2016, tra le 9.000 e le 14.000 persone hanno vissuto nel campo di Idomeni. Il 40% erano bambini (fonte Save the Children)
Da questo comportamento scellerato dell’Europa è scaturita la scelta di MSF di rinunciare ai fondi dei Paesi e delle istituzioni dell’Unione europea. Una decisione dall’effetto immediato e che coinvolge i progetti di MSF in tutto il mondo. Nonostante la stragrande maggioranza dei fondi che sostengono i programmi dell’organizzazione provengano da privati, infatti, meno del 10% proviene anche da donazioni e sovvenzioni di istituzioni governative. In particolare, i fondi europei sono stati, nel 2015, circa 55.971.000 euro, su un bilancio complessivo di MSF di 1.443.817.000 euro. Meno del 4%. Certo, sono pur sempre tanti soldi, ma MSF è sicura che nessun progetto subirà conseguenze per la mancanza di questi fondi.
Non è la prima volta che MSF rifiuta dei soldi. La coerenza la dobbiamo prima di tutto ai nostri beneficiari che a noi stessi.
Non ho potuto visitare di persona il campo di Idomeni, ma ho visto le lacrime di chi mi raccontava che cosa ha provato a stare là. Operatori umanitari abituati a registrare ogni tipo di indigenza e di violenza in Paesi strangolati dalle guerre e dalle carestie che non sanno trattenersi dal piangere quando ricordano dove si trovavano: a Idomeni, Europa.
* Luigi Montagnini è un medico anestesista-rianimatore. Dopo aver vissuto a Varese e Londra, oggi è a Genova, dove lavora presso l’Istituto Gaslini. Da diversi anni collabora con Medici Senza Frontiere.
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