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Esteri / Reportage

Le strade interrotte dell’Armenia. Viaggio tra confini ostili e nuove rotte commerciali

La vecchia strada che portava nella exclave azera di Nakchivan © Sebastiano Teani

Le tensioni geopolitiche continuano a pesare sulla quotidianità dei cittadini armeni. La vita scorre faticosamente sui confini di guerra con l’Azerbaigian, chiusi da oltre trent’anni, mentre il futuro del Paese ruota intorno a una striscia di terra nel Sud, punto strategico dell’asse Iran-Armenia-Georgia, che collega il Golfo Persico al Mar Nero. Tra avamposti militari e pesanti bilici che si arrampicano su tornanti innevati

Anahit è una signora composta e gentile di 61 anni che abita nel villaggio armeno di Yeraskh, 70 chilometri a Sud della capitale Yerevan. Troppo anziana per trovare lavoro e troppo giovane per la pensione, prepara il caffè riempiendo il tavolino del salotto con mele, formaggio, dolci fatti a mano e frutta secca di ogni tipo. “Fino a quando c’era il soviet convivevamo in pace, addirittura la maestra della scuola elementare era azera”, dice, e intanto copre con un lenzuolo la torre di lavash, il pane tipico armeno, sottile e grande come un tavolo, cucinato poco prima. “Poi iniziarono ad esserci i morti e quello fu il punto di non ritorno, la convivenza non era più un’opzione. Allora ci mettemmo d’accordo per organizzare lo scambio di case, ognuno doveva tornare da dove era venuto”.

Nel suo villaggio quella che fu l’autostrada principale che conduceva in Iran, attraverso l’exclave azera del Nakchivan, è ora sbarrata da un terrapieno alto diversi metri e decorato da un’enorme croce di pietre bianche. Oltre il muro di terra c’è una collina dove due avamposti avversari si fronteggiano a pochi metri uno dall’altro, difesi ciascuno dalla propria bandiera e da qualche giovane recluta.

A causa della guerra tra Armenia e Azerbaigian, scoppiata nel 1992 dopo il crollo dell’Urss, le frontiere fra i due Paesi sono state chiuse, portando allo smantellamento della rete di infrastrutture che li collegava con Teheran. La rotta commerciale che si sviluppa sull’asse Iran-Armenia-Georgia ha un’importanza strategica in quanto collega il Golfo Persico al Mar Nero, permettendo alle merci provenienti da India e Cina di raggiungere i mercati europei.

La casa di Anahit è separata dal terrapieno solamente da una sbilenca strada sterrata, lungo la quale sfilano camion carichi di soldati e gruppi di operaie in camice bianco disposte in fila indiana per far passare i mezzi, mentre cercano di non infangarsi le ciabatte. Sono le lavoratrici dell’unica attività rimasta nel villaggio, uno stabilimento che produce vino, cognac e vodka e che fa lavorare quasi tutte le famiglie di Yeraskh, anche se a intermittenza.

La signora Anahit di fronte alla pila di lavash appena sfornato © Kevork Hayrabedian

Avere un buon lavoro in questa zona è difficile, per questo il figlio di Anahit è emigrato a Mosca per mantenere la moglie e le due figlie piccole che vivono in casa con la nonna. Hermine, la madre delle bambine, racconta che cerca sempre di accompagnare le figlie quando vanno e tornano da scuola anche se è consapevole che non può sempre proteggerle. “Da qualche parte devono pur poter giocare- spiega- quindi le lascio andare sulla strada che corre di fronte al terrapieno, ma rimango sempre allerta”. Sa che sono costantemente sotto lo sguardo dei soldati nemici.
Nonostante la tensione, negli ultimi mesi la situazione è relativamente calma. L’incidente più recente è del luglio 2023, quando l’esercito azero ha sparato sul villaggio in direzione dell’acciaieria in costruzione a Yeraskh, ferendo due lavoratori e colpendo l’ambulanza che li aveva soccorsi. Dopo quei fatti il progetto dello stabilimento è stato spostato in un altro distretto, più lontano dal confine, impoverendo ulteriormente le prospettive degli abitanti.

Dal 1992 i due Paesi non sono mai giunti ad un equilibrio di non belligeranza. Le frontiere rimangono quindi chiuse e l’Armenia è stata obbligata a individuare altre vie di comunicazione per raggiungere il confine con l’Iran. Ad oggi tutto il traffico tra Armenia e Iran, oltre ad essere esclusivamente su gomma, si snoda lungo strade di montagna, spesso molto strette e inadatte ai bilici che transitano ogni giorno.

Gli autotrasportatori armeni, georgiani e iraniani si avventurano lungo boschi, montagne e passi innevati, spesso su mezzi precari e antiquati. Per fare questo lavoro serve pazienza, soprattutto nel periodo invernale, quando le bufere di neve rendono inagibili alcuni tratti, costringendoli a fermarsi anche per diversi giorni in attesa che il tempo migliori e le strade vengano rese nuovamente accessibili.

Arthur non ha neanche trent’anni ma ha tre figli che lo aspettano a Yerevan. Per ritornare a casa deve condurre un bilico dal confine con l’Iran alla capitale. “È il primo anno che faccio questo lavoro, prima guidavo trattori”, racconta mentre guarda l’asfalto spaventato dalle condizioni del tempo. Il peso del mezzo è importante e le sue mani tremano quando la strada costeggia uno strapiombo; proseguiamo quindi a velocità estremamente ridotta, quasi snervante, per la maggior parte del tragitto.

Si ferma in mezzo a greggi di pecore condotti da pastori bambini, superando poi carcasse di camion abbandonati e attraversando villaggi sfiorando le finestre delle case. Arthur nei punti critici ferma il mezzo più volte per scendere a controllare quanto sia ghiacciata la strada, la giornata sta finendo e il buio incombe, bisogna cercare un posto adatto dove passare la notte. Una serie infinita di tornanti conduce nel letto di una vallata dove decine di camion si fermano a bordo strada per la notte. Finalmente può riposare e concedersi due sorsi di vodka fatta in casa per digerire l’adrenalina. La mattina successiva, a causa del guasto di un mezzo, l’intera colonna resta bloccata per ore, paralizzando il traffico in entrambi i sensi.

Un autotrasportatore armeno su un vecchio scuolabus riadattato al trasporto merci © Sebastiano Teani

La strategica importanza di questo collegamento ha spinto l’Armenia, insieme all’Unione europea e all’Eurasian development bank, a finanziare il cosiddetto “corridoio Nord-Sud”, un progetto che prevede la realizzazione di infrastrutture che percorreranno l’Armenia, dal confine con la Georgia a quello con l’Iran.

Al momento i lavori sono stati realizzati solo nel Nord del Paese, nonostante gli espropri siano già avvenuti anche nell’estremo Sud, conferma Monte, giovane di Meghri, la cui casa di famiglia è stata rilevata dalla società che porta avanti il cantiere. Gli abitanti sperano in collegamenti migliori con le altre città, dove spesso devono recarsi per usufruire di servizi fondamentali. “Per poter accedere a visite mediche specialistiche, uffici pubblici, studi legali e addirittura l’obitorio dobbiamo andare a Kapan, a due ore di macchina da qui”. Monte sospira, “sempre che la strada sia agibile”.

Al progetto di collegamento tra Iran e Armenia si contrappongono gli interessi degli altri attori strategici del Caucaso, Turchia e Azerbaigian. Ad oggi, infatti, i due Paesi sono separati solamente da venti chilometri di territorio armeno, il cosiddetto “corridoio di Zangezur”Questa sottile striscia di terra rappresenta l’unico ostacolo alla realizzazione del “sogno panturco”, quello cioè di collegare direttamente tutti i popoli turcofoni, da Istanbul agli Uiguri della Cina.

In questa cornice, risultano preoccupanti le recenti dichiarazioni belligeranti del presidente azero İlham Aliyev, il quale ha minacciato direttamente l’integrità territoriale dell’Armenia alludendo alla possibilità di annettere il “corridoio di Zangezur”.

La tensione tra i due opposti interessi si riversa sull’Armenia meridionale che da un lato percepisce la morsa azero-turca, mentre dall’altro riceve l’appoggio di Iran, India e Unione europea, interessati a mantenere aperta la rotta commerciale.

Dagli ultimi sviluppi, tuttavia, sembra che Armenia e Azerbaigian stiano cercando di risolvere le dispute territoriali attraverso la diplomazia, concentrandosi in particolare sul processo bilaterale di demarcazione dei confini. Ciononostante, la questione del “corridoio di Zangezur” mantiene alta la tensione, alimentando ulteriormente il disprezzo e il risentimento reciproco che anima i due popoli, esasperati da oltre trent’anni di guerra.

Il rancore resta vivo anche in Anahit ma non sfocia mai nell’odio. “Se si tratta di bambini darei da mangiare anche a quelli che vivono oltre il confine, senza distinzione -dice salutandoci-. Bisogna iniziare a spezzare questa spirale”.

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