Esteri / Approfondimento
“I palestinesi nella storia sono passati da un disastro all’altro ma esistono ancora”

Con il volume “I Palestinesi. Storia di un popolo e dei suoi movimenti nazionali”, edito da Carocci a inizio anno, gli storici Maher Charif e Issam Nassar hanno dato vita a un prezioso strumento didattico che ha il merito di trattare con rigore 250 anni di fatti e sconvolgimenti dall’interno, non da vittime ma da soggetti. Il filo rosso è l’identità nazionale palestinese. Senza fare sconti a contraddizioni, ambiguità ed errori
A scrivere la storia, anche dei vinti, sono sempre i vincitori, salvo rare eccezioni. “I Palestinesi. Storia di un popolo e dei suoi movimenti nazionali” di Maher Charif e Issam Nassar (Carocci editore) è una di queste. Si tratta, infatti, di un saggio redatto con la consapevolezza che “i palestinesi nella storia sono passati da un disastro all’altro, ma nonostante questo, esistono ancora”.
A dirlo, in occasione della presentazione alla Fondazione Serughetti La Porta, a Bergamo, il 26 febbraio scorso, è stato Maher Charif, autore dell’opera e tra i maggiori storici palestinesi viventi.
“Questo libro è importante perché nasce come strumento didattico superiore, ma è anche un tentativo di scrivere la propria storia dall’interno, non da vittime ma da soggetti”, ha sottolineato Francesco Mazzucottelli, docente di Storia e cultura del Medio Oriente dell’Università di Pavia. Insieme a Paola Gandolfi, docente di Antropologia culturale e politiche educative dei Paesi arabo-islamici del Mediterraneo dell’Università di Bergamo e Ignazio De Francesco, monaco dossettiano, islamologo e curatore del libro, hanno dialogato con l’autore.
“Maher Charif -ha raccontato De Francesco- è membro di una famiglia palestinese fuggita nel 1948, dopo la creazione dello Stato di Israele. È un autore laico e comunista, che ha conseguito il dottorato alla Sorbona di Parigi proprio sulla storia del partito comunista palestinese, che fu l’unico nel 1948 a esprimersi a favore della partizione della Palestina in uno Stato degli ebrei e uno dei palestinesi”.
Charif è uno studioso di storia del pensiero arabo e palestinese contemporaneo, è stato insignito del “Premio Mahmoud Darwish” per la libertà e la creatività e del “Premio Stato di Palestina” nel campo delle Scienze umane e sociali. Vive in Francia e insegna all’Institute for Palestine Studies e all’Institut Français du Proche Orient, entrambi con sede a Beirut, in Libano.
Il libro si basa su una rigorosa storiografia tradizionale, che fa ricorso agli storici arabi e palestinesi, ma anche a quelli israeliani e francesi e, motivo di particolare interesse, ad archivi arabi locali di gruppi politici e movimenti palestinesi. Copre circa 250 anni di storia, dall’Impero ottomano fino agli eventi più recenti e si chiude con una grande incognita sul futuro, dopo l’attacco di Hamas e altri gruppi armati palestinesi nel Sud di Israele del 7 ottobre 2023 e la violentissima risposta israeliana, estesa, nel silenzio generale, anche alla Cisgiordania.
Il filo rosso -che attraversa il periodo ottomano, britannico e israeliano- è il costituirsi e perdurare, nonostante tutto, dell’identità nazionale palestinese: come si è formata e che cos’è oggi, in uno Stato che non c’è e che sembra impossibile? Quali eventi, da un punto di vista storico, hanno influito sulla sua formazione? Il libro risponde a questi e altri quesiti, sottolineando, per esempio, l’influenza della costituzione ottomana, quella della seconda ondata di coloni ebrei in Palestina, che cacciarono i contadini palestinesi, boicottando i loro prodotti, la creazione del giornalismo arabo, le Intifade, fino al diffondersi del nuovo sionismo, il declino dell’Organizzazione per la liberazione della Palestina (Olp) e l’impasse della politica palestinese precedente al 7 ottobre.
“Charif non fa sconti e non nasconde le contraddizioni, le ambiguità e anche gli errori compiuti nella storia dai palestinesi”, sottolinea Paola Gandolfi, relazionandoli sempre alle vicende e alle teorie politiche sia regionali sia globali. Esattamente come oggi non si può prescindere dalla situazione dei palestinesi per comprendere gli equilibri mondiali.
“Ci sono voluti quarant’anni perché l’Olp accettasse la spartizione della Palestina, nel 1988 -ha detto Charif-. I comunisti furono oggetto di una vasta campagna contro di loro, sia da parte dei palestinesi sia degli arabi, per aver accettato subito la spartizione. In quel momento la leadership è stata miope, non avendo capito che quella era l’unica soluzione”.
“Dal libro emerge chiaramente che, mentre la coscienza politica nazionale sionista aveva chiaro fin dall’inizio che cosa voleva, quella palestinese è stata estremamente tortuosa, con una classe dirigente assolutamente impreparata a pensare a un progetto nazionale -ha aggiunto De Francesco-. Basti dire che quando lo Stato turco emana una legge per cui i contadini possono diventare titolari delle loro terre, registrandosi, a patto di pagare le tasse e mandare i figli in guerra, moltissimi registrano i terreni a nome dei latifondisti. Saranno questi a vendere le terre ai coloni ebrei”.
L’11 febbraio scorso, a Gerusalemme Est, la polizia israeliana ha fatto irruzione all’Educational bookshop, molto più che una libreria per chi conosce, studia o si reca nella parte orientale della città santa contesa. Un luogo di incontro e scambio internazionale e certamente anche di presidio della cultura, della storia e dell’identità nazionale palestinese. “I soldati israeliani cercavano libri con la bandiera palestinese. Li hanno esaminati con Google Translate e hanno preso tutti quelli che non gli piacevano”, ha dichiarato un parente dei due librai, Ahmad e Mahmoud Muna, arrestati per “turbamento dell’ordine pubblico” e liberati in fretta, grazie alla pressione internazionale.
“I giornalisti palestinesi rischiano la vita per documentare il presente -soprattutto a Gaza, ma non solo, come abbiamo raccontato nel podcast ‘La guerra dei giornalisti‘– che cosa significa, invece, documentare il passato? Quanto è rischioso?”, chiediamo a Maher Charif.
“Ho scritto questo libro perché serviva un’altra prospettiva -risponde, glissando sui pericoli-. Nella terra in cui abitiamo da millenni non abbiamo nessun potere. Oggi possiamo rinunciare a una giustizia assoluta e accettarne una parziale, pari al 22% della terra”.
“Lo Stato palestinese quindi, separato da quello israeliano? Crede ancora nella teoria dei due Stati?”. “Avere uno Stato palestinese potrebbe essere il passaggio per arrivare a un solo Stato. Non ci siamo arrivati per lo sbilanciamento di poteri tra noi e gli israeliani, la vera sfida per i palestinesi è cambiare i rapporti di forza”.
Charif rimane aderente alla realtà, non sembra rassegnazione la sua, ma l’onestà intellettuale di chi sa fare i conti con il presente, avendo scandagliato per bene il passato. “Noi italiani, invece, che cosa sappiamo dei palestinesi? C’è un pregiudizio verso di loro e una maggiore vicinanza agli israeliani, che vengono percepiti come più occidentali, anche se non lo sono, e che condiziona la rappresentazione che diamo e abbiamo dei palestinesi?”, chiediamo infine a padre De Francesco.
“Bisogna sempre ricordare che siamo noi gli autori dell’antisemitismo -conclude il monaco- gli ebrei non sono stati perseguitati così nel mondo arabo e islamico. Il nostro sentimento filoisraeliano e filoebraico è complesso e risente certamente anche del nostro senso di colpa. La sensazione è che dei palestinesi si conosca poco e male, anche per questo abbiamo tradotto e pubblicato il libro in italiano”.
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