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Esteri / Approfondimento

Le responsabilità della multinazionale HeidelbergCement nei Territori palestinesi occupati

Il colosso del cemento, proprietario di Italcementi, è accusato di avere estratto materiali da una cava situata in un territorio espropriato da Israele ai palestinesi. La denuncia in un report dettagliato a cura di due organizzazioni della società civile, Somo e Al-Haq. Che ora hanno chiesto l’intervento delle Nazioni Unite

La cava di Nahal Raba osservata dal villaggio di Al-Zawiya fotografata a gennaio 2020 © Al-Haq

La multinazionale tedesca HeidelbergCement -una delle principali multinazionali del cemento sul mercato mondiale, proprietaria dell’italiana Italcementi- è complice della violazione dei diritti della popolazione palestinese che vive nei Territori palestinesi occupati (OPT). A sostenerlo sono Al-Haq, organizzazione impegnata in attività di denuncia degli abusi commessi da Israele, e Somo, centro di ricerca sulle multinazionali con sede ad Amsterdam. Nel rapporto “Violations set in stone” realizzato lo scorso febbraio e consegnato a luglio alle Nazioni Unite, le due organizzazioni della società civile accusano il colosso del cemento di avere estratto materiali dalla cava di pietra di Nahal Raba, situata in un territorio sottratto illegalmente da Israele al villaggio di Al-Zawiya.

Le operazioni estrattive, effettuate attraverso la controllata Hanson Israel, “hanno avuto luogo in un contesto caratterizzato da deliberate politiche istituzionali che mirano alla confisca e allo sfruttamento delle terre e risorse palestinesi da parte di Israele. Inoltre queste attività hanno consentito di mettere a disposizione materiali poi utilizzati per espandere le colonie israeliane”, scrivono Al-Haq e Somo in un comunicato indirizzato all’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Diritti Umani Michelle Bachelet, chiedendo di inserire il gigante tedesco nella lista delle Nazioni Unite sulle aziende coinvolte in attività economiche negli insediamenti israeliani nei Territori palestinesi occupati. Secondo le due organizzazioni, le attività di HeidelbergCement costituiscono “un esempio di come le multinazionali sono coinvolte nell’occupazione israeliana” e di come tale coinvolgimento conduca a sistematiche violazioni dei diritti umani, tra cui la negazione del diritto all’autodeterminazione e a esercitare la piena sovranità sulle proprie risorse naturali, tutelati dalla Carta delle Nazioni Unite.

La storia della cava di Nahal Raba, situata nel territorio appartenente al villaggio di Al-Zawiya, non è recente. La sua espropriazione da parte delle autorità israeliane è avvenuta negli anni Ottanta: tra il 1986 e il 2000, è stata sotto la direzione dell’australiana Pioneer, poi acquistata dalla British Hanson nel 2000. Quest’ultima, insieme alla sua controllata Hanson Israel, nel 2007 è stata acquistata da HeidelbergCement. Che ha dichiarato di avere ottenuto dal governo israeliano una licenza, rinnovabile ogni due-tre anni, per sfruttare l’area dove sorge la cava. Si tratta di un modus operandi comune, e più volte denunciato dalle organizzazioni della società civile, in base al quale le autorità israeliane rilasciano autorizzazioni edilizie alle aziende, che lavorano nei terreni confiscati o espropriati ai palestinesi, da cui ricevono il pagamento di royalties per lo sfruttamento della terra. Solo tra il 2009 e il 2015, l’Amministrazione civile israeliana ha ottenuto royalties per oltre 285 milioni di shekel israeliani derivanti dalle attività delle cave nell’Area C (la parte della Cisgiordania che comprende tutti gli insediamenti israeliani in territorio palestinese, ndr). I pagamenti sono direttamente trasferiti a Israele e non in un fondo separato così che, specifica il rapporto “Violations set in stone”, è difficile capirne il successivo utilizzo. Ma sono immediatamente comprensibili le conseguenze sull’economia dei Territori occupati. Secondo la Banca Mondiale, le mancate entrate per le attività delle cave presenti nella West Bank, compresa HeidelbergCement, ammontano a circa 3,4 miliardi di dollari annui e potrebbero aumentare di un terzo il Pil palestinese.

 

Il villaggio di Al-Zawiya © Al-Haq

HeidelberCement AG -il cui fatturato nel 2018 è stato di 18 miliardi di euro- utilizza la cava attraverso la sua controllata israeliana Hanson Israel Limited, il secondo produttore di materiali per l’edilizia in Israele, di cui è azionista di controllo per il 99,98%. Questa provvede a soddisfare circa il 20% della domanda di materiali per l’edilizia in Israele. Nel 2017 il suo fatturato annuo era stato di 1,2 miliardi di shekel israeliani. Il rapporto “Violations set in stone” sottolinea che la struttura della multinazionale con le sue numerose filiali -nel mondo sono 1.626 di cui cinque si trovano in Israele- è tale da manlevare la società madre dalle sue responsabilità. In particolare, è la controllata Hanson Israel Limited a utilizzare la cava. È sempre la Hanson Israel Limited ad avere fornito circa 196mila tonnellate di materiali estratti dalla Nahal Rab al governo israeliano, come riportato da un documento dell’Amministrazione civile israeliana. Ed è sempre lei ad avere pagato nel 2014 circa 3,4 milioni di euro a Israele, oltre a 430mila euro pagati direttamente a un consiglio regionale che si occupa dell’amministrazione della West Bank.

Ma le violazioni non si limitano alla negazione del diritto all’autodeterminazione. Le organizzazioni Somo e Al-Haq hanno evidenziato che i materiali estratti dalla cava sono stati utilizzati per ulteriori lavori di costruzione nelle colonie israeliane della West Bank, rafforzando così l’occupazione militare e la presenza di israeliani nei Territori palestinesi occupati, spinti a muoversi dalle opportunità di lavoro. HeidelberCement ha sempre negato le accuse.

A maggio 2019 HeidelbergCement ha annunciato la volontà di vendere la cava specificando che sono state avviate le prime trattative per portare a termine l’operazione. A dicembre 2019, come risposta al rapporto “Violations set in stone”, la multinazionale ha dichiarato di avere richiesto al governo di Israele l’estensione della licenza d’uso della cava per assicurarne la vendita. “Quando un’azienda deve rispondere alle violazioni dei diritti umani che ha commesso, può verificarsi  che cerchi soluzioni per evitare di assumersi le sue responsabilità e per mantenere integra la sua reputazione”, affermano Al-Haq e Somo. Un simile tentativo era già stato fatto nel 2016. Di fronte all’accusa di non portare alcun beneficio economico e opportunità lavorative ai palestinesi, HeidelbergCement aveva fondato la HeidelbergCement Mediterranean Basin Holdings SLU Palestine Ltd, da lei controllata al 100%, con l’obiettivo di “sostenere l’economia della regione” sotto il controllo dell’Autorità palestinese. Tuttavia né il bilancio annuale del 2016 né i bilanci o rapporti successivi hanno mai indicato quali sono gli utili o le attività della filiale palestinese. Che a oggi non rimangono ancora chiari. Un tentativo che, affermano Al-Haq e Somo, “non assolve in alcun modo HeidelbergCement dalle sue responsabilità legate alle operazioni illegali di Nahal Raba”.

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