Diritti / Attualità
Le proposte del Tavolo asilo per proteggere le persone in fuga dall’Afghanistan
Mentre i governi dell’Unione europea si rifiutano di garantire tutela e accoglienza ai cittadini afghani, decine di associazioni e realtà impegnate nel campo dei diritti mettono in fila strategie concrete di intervento. Gli strumenti giuridici esistono già -come la direttiva 55/2001-, occorre la volontà politica
Qualcosa si può (e si deve) fare per proteggere i civili in fuga dall’Afghanistan. È un messaggio chiaro e “concreto” quello che arriva dal Tavolo asilo e immigrazione (Tai), una rete composta da 28 realtà associative impegnate nella tutela del diritto d’asilo. Dalla possibilità di attuare un piano di evacuazione coordinato a livello europeo, al riconoscimento di protezione e tutela a chi già si trova nei Paesi dell’Unione europea, passando dal rilascio di visti umanitari che facilitino l’ingresso legale sul territorio. Le autorità italiane ed europee hanno già, nei rispettivi ordinamenti giuridici, gli strumenti adeguati a proteggere -almeno una parte- di uomini, donne e bambini in fuga dal Paese dopo la presa del potere dei Talebani. Servono volontà politica e coraggio, che ad oggi sembrano mancare.
La direzione verso cui si muove l’Unione europea è stata chiarita dal documento finale del Consiglio Ue dei ministri dell’Interno che si è tenuto martedì 31 agosto. Una posizione che il Tavolo asilo definisce “inaccettabile” perché di fatto “esclude un impegno degli Stati Membri ad accogliere i cittadini afghani in fuga, scaricando gli oneri sui Paesi limitrofi e ribadendo l’obiettivo prioritario della protezione dei confini esterni dagli ingressi non autorizzati”. Niente di nuovo: dall’inizio della guerra in Afghanistan, Pakistan e Iran hanno accolto il 90% delle cinque milioni di persone che hanno dovuto abbandonare il Paese. Per questo motivo, il Tavolo sottolinea la necessità di “realizzare un ampio programma di trasferimenti e di ricollocamenti dei cittadini afgani da attuarsi anche dai paesi di transito” senza considerare “i Paesi in cui molti cittadini afghani che tentano di raggiungere l’Unione Europea si trovano bloccati”. Paesi come la Turchia e quelli dell’area balcanica che non offrono sufficienti garanzie in merito all’accesso al diritto di asilo”. Inoltre, merita particolare attenzione “la situazione della Grecia, Paese Ue dove si trovano attualmente bloccati migliaia di cittadini afghani in condizioni precarie”.
Un’alternativa esiste. La Direttiva 55 del 2001 (in vigore ma mai attuata) contiene elementi utili per la crisi in atto con la “possibilità di adozione di un ampio piano di evacuazione concordato a livello europeo con ripartizione dell’accoglienza concordata dagli Stati sulla base di criteri equi che comunque tengano conto dei possibili legami significativi delle persone con un dato paese della Ue, accesso a risorse europee e rilascio di un titolo di soggiorno per protezione”. Un piano straordinario che garantirebbe protezione e equa ripartizioni degli “oneri” dell’accoglienza. Inoltre, l’attivazione della Direttiva richiede una maggioranza qualificata, con la possibilità di superare l’ostruzione del cosiddetto “blocco Visegrad”, formato da Polonia, Ungheria, Slovacchia e Repubblica Ceca.
Nel documento, presentato in conferenza stampa a Roma nella sede della Federazione nazionale stampa italiana l’8 settembre, il Tavolo chiede poi che venga “sempre consentito” l’accesso al territorio europeo e alla procedura per il riconoscimento della protezione internazionale sospendendo i respingimenti posti in essere “sia dalle autorità nazionali sia dall’Agenzia europea per la guardia di frontiera costiera, in particolare nel mar Egeo e verso la Turchia così come verso i Paesi non Ue della rotta balcanica”. Per i cittadini afghani già presenti sul territorio si richiede la sospensione di qualsiasi forma di decisione negativa (dinieghi, rimpatri e respingimento) e che vengano considerate “tutte le donne come rifugiate prima facie” con un rapido riesame dei dinieghi che hanno precluso a migliaia di afghani di ricevere protezione: come raccontato anche su Altreconomia sono almeno 290mila negli ultimi 12 anni.
Le richieste specifiche rivolte alle autorità italiane riguardano innanzitutto la possibilità, per coloro che sono fuggiti dall’Afghanistan, di avere accesso al rilascio di visti d’ingresso nelle rappresentanze consolari dei Paesi limitrofi in cui si trovano. “Servono procedure rapide e semplificate che tengano conto della possibilità che il passaporto afghano possa essere scaduto o non sia più in possesso degli interessati e del mancato soggiorno regolare del richiedente nel Paese in cui la rappresentanza è situata” sottolinea il Tavolo.
Allo stesso modo, serve garantire l’arrivo sul territorio italiano di coloro che hanno già ricevuto il nulla osta per il ricongiungimento familiare delle autorità ma non sono riusciti ad ottenere il visto e di tutti i parenti “in una accezione allargata” delle persone che possono attivare la procedura. Per chi è già in Italia serve “un immediato accesso alla procedura per il riconoscimento della protezione internazionale” con un esame prioritario della domanda che riconosca loro protezione e quindi un titolo di soggiorno. È auspicabile, secondo i firmatari del documento, che vengano sospesi i trasferimenti dei cittadini afghani verso Paesi terzi con le autorità italiane chiamate a “garantire l’assunzione della competenza da parte dell’Italia all’esame della domanda di protezione internazionale, compresi anche coloro che hanno procedure giudiziarie in corso”. Alle misure di protezione si affiancano, poi, quelle dell’accoglienza. Ampliare il sistema d’accoglienza pubblico è la strada individuata dal Tavolo asilo con un finanziamento straordinario del Sistema di accoglienza e integrazione (Sai) che “consenta ai nuovi richiedenti asilo di essere ospitati nel sistema dei Comuni e valorizzando le disponibilità volontarie della popolazione italiana da collega subito al sistema Sai senza attivare binari paralleli, in modo da consentire una gestione competente e integrata ai servizi del territorio”.
In chiusura del documento, firmato, tra gli altri, da Acli, A Buon Diritto, RiVolti ai Balcani, Action Aid, Amnesty International Italia, Arci, Asgi, Caritas Italiana, Centro Astalli, Cgil, Cnca, si evidenzia infine come l’emergenza della crisi afgana vada affrontata in un “quadro di politiche coerenti” riguardanti sia gli interventi di aiuto umanitario sia le politiche relative ai programmi di ingresso protetto e accoglienza. Per questo motivo i firmatari sostengono l’istituzione “di un tavolo di coordinamento unitario sull’Afghanistan con il coinvolgimento del ministero degli Affari esteri, del ministero dell’Interno, delle rappresentanze Ong e delle organizzazioni del Tavolo asilo, oltre ai rappresentanti degli enti locali e delle Regioni”.
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