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Le piscine pubbliche di Milano, i privati e il tramonto dello sport a basso costo

L'impianto di Argelati a Milano

Dei 118 centri sportivi dati in concessione in città, solo 24 sono direttamente gestiti dalla controllata Milanosport. Diversi impianti come il Lido, Argelati o il centro Scarioni sono stati chiusi, dal 2018 in poi, per scelta dell’amministrazione di non coprire quelli che sono percepiti come costi e non come investimenti a redditività sociale. Un report fa il punto della situazione e prova a ritrovare il senso dell’iniziativa pubblica

La balneabilità nelle città va considerata un diritto pubblico e urbano? Se lo sono chiesti Tommaso Goisis, esperto di politiche pubbliche e attivista della campagna di mobilitazione “Sai che puoi?”, Antonio Longo e Alessandro Coppola, entrambi docenti di urbanistica al Politecnico, nel dossier “Il fine o la fine dello sport e del tempo libero pubblico a Milano”, pubblicato nel luglio di quest’anno.

Con uno sguardo che lega lo studio dello spazio a quello della politica, il documento investiga il fenomeno del passaggio di gestione da pubblica a privata dei centri balneari nel capoluogo lombardo e di come quegli impianti, che per anni hanno accolto le cittadine ed i cittadini a praticare sport a basso costo, vedano cambiare il loro scopo originario.

Il riconoscimento del valore pubblico della balneazione estiva da parte del Comune si è concretizzato per più di venti anni con l’affidamento della gestione degli impianti a Milanosport, società partecipata al 100%, che ha permesso per decenni di garantire una buona accessibilità alle piscine estive grazie ad un sistema tariffario modico, votato dal Consiglio comunale.

Come in tutti i servizi pubblici a carico della fiscalità generale, il ricavo generato dalla vendita dei biglietti di ingresso non ha mai coperto il totale dei costi. Si trattava dunque di un investimento a redditività sociale, in cui la balneazione estiva veniva riconosciuta come un servizio pubblico che rispondeva a uno spettro ampio di bisogni, quali la salute, l’aggregazione, la coesione sociale, oltre che un investimento nella cura del patrimonio pubblico, considerando il pregio architettonico di alcuni impianti, costruiti tra la fine dell’Ottocento e la prima metà del Novecento.

Oggi però, come sottolineato nel report, le evidenze mostrano che gli interessi dell’amministrazione siano altri e che la tendenza sia di lasciare la gestione pubblica in carico al privato.

Dei 118 centri sportivi dati in concessione a Milano solo 24 sono direttamente gestiti da Milanosport. Diversi impianti balneari come il Lido, la Argelati e il centro Scarioni sono stati chiusi, dal 2018 in poi, per la decisione dell’amministrazione di non coprire i costi previsti per la regolare manutenzione ordinaria o straordinaria.

Nel caso del Lido, centro balneare progettato negli anni 30, la gestione è stata affidata alla multinazionale spagnola Go Fit, tramite un accordo di partenariato pubblico privato (Ppp). Quest’ultimo strumento prevede che enti privati possano presentare un progetto al Comune per ottenere, se la proposta viene reputata fattibile, la gestione e il ripensamento dell’impianto fino al termine della concessione.

Il centro balneare Lido è stato progettato dall’ingegner Cesare Marescotti e inaugurato nei primi anni 30 © pagina Facebook “Milano sparita e da ricordare”

La nuova gestione privata del Lido ha deciso di convertire la grande vasca del centro in una fontana non balneabile e ha ridotto il numero di accessi da 50.000 a 11.000. Inoltre ha previsto all’interno della struttura la creazione di 316 nuovi parcheggi, nonostante il Lido si trovi a Lotto, zona servitissima dal trasporto pubblico. Quest’ultima scelta risulta in controtendenza rispetto alle politiche di riduzione della mobilità privata intraprese dal Comune.

Il rendering del progetto del “nuovo” Lido. Con la storica vasca per la balneazione popolare trasformata in fontana. Tratto dal report “Il fine o la fine dello sport e del tempo libero pubblico a Milano?” a cura di Tommaso Goisis, Antonio Longo e Alessandro Coppola

Come sottolineano gli autori infatti, l’obiettivo del privato è, legittimamente, di stabilire le proprie tariffe e ridurre i costi e aumentare le entrate, ma questo è in contraddizione con l’idea che la balneabilità sia un principio sociale e un diritto di tutte le cittadine e i cittadini.

Per Antonio Longo questi cambiamenti sono indice di una perdita di legame tra la città stessa e le istituzioni, lontane dai bisogni reali della popolazione. “Le dotazioni di servizi di balneazione e tempo libero che Milano ha costruito nel corso di un secolo e più sono davvero notevoli per quantità e qualità a confronto con altre città italiane. Ciò anche perché Milano è forse l’unica città che manca totalmente di risorse naturali, quindi strutture come Lido, Scarioni, Argelati e Romano sono eccellenze funzionali e opere architettoniche molto belle che per anni hanno sopperito ai bisogni fondamentali della cittadinanza. Non è pensabile -spiega Longo- che l’ingresso di privati determini una modifica strutturale del servizio tale da perdere la funzione originale, bloccando l’adattabilità delle strutture e sostituendola con nuove funzioni radicalmente differenti da quelle per cui i centri sono stati concepiti”.

È infatti in controtendenza pensare che impianti pubblici, come le piscine all’aperto, chiudano proprio in un momento in cui le estati si allungano e si intensificano a causa dei cambiamenti climatici. La chiusura o la trasformazione di questi centri impattano, soprattutto, sui gruppi sociali più vulnerabili che non possono andare in vacanza e che, da dopo il Covid-19, sono quantitativamente aumentati.

Il Lido di Milano

“Le nuove funzioni adibite alle strutture sono inadeguate a far fronte alla domanda di benessere e salute necessaria in tempi di cambiamenti climatici e sociali profondi, quando cioè la città deve ripensare sé stessa con grande adattabilità e reattività. A guidare il cambiamento non è la domanda e la politica pubblica della città -continua Longo- ma il business plan di singole operazioni non coordinate, esplicitato dai partner privati negli studi di fattibilità che diventano la base per gli accordi di convenzione”.

Dopo la pubblicazione del rapporto, i tre autori sono andati a presentarlo al rientro feriale all’assessora allo Sport, al Turismo e alle Politiche giovanili, Martina Riva, durante una seduta della commissione consiliare. Quest’ultima ha ribadito l’interesse che il Comune continua ad avere per i centri balneari, ma ha anche difeso l’utilizzo di accordi Ppp, sottolineando l’insostenibilità della gestione di tutti gli impianti balneari con i soli fondi pubblici e ribadendo che i partenariati non corrispondano a una privatizzazione, in quanto la proprietà resta pubblica, ed esiste ampio margine di trattativa con il privato.

Gli autori del report hanno replicato mostrando come il costo degli impianti corrisponda soltanto allo 0,17% del totale delle uscite correnti del Comune, sostenendo quindi che la decisione di chiudere i centri e di non portarne avanti la manutenzione sia frutto di una scelta ideologica precisa, che decide di considerare la differenza tra le entrate e le uscite degli impianti balneari come un costo e non come un investimento.

L’obiettivo del report non è quello di demonizzare i privati ma di ritrovare il senso dell’iniziativa pubblica, in cui sia la politica a guidare il cambiamento e a orientare gli investimenti del privato. Non il contrario.

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