Altre Economie / Reportage
Le mani unite delle sarte di La Perla ricamano un modello alternativo
L’acquisto del fondo Tenor dello storico brand di lingerie di Bologna ha portato a uno stop della produzione. “UnicheUnite” riunisce 25 lavoratrici in cassa integrazione: cuciono bamboline e lottano per frenare la finanza speculativa
È uno spazio piccolo, ma c’è tutto quello che serve: quattro macchine da cucire, fili, forbici e persino una pressa. Ci sono i pasticcini, le tisane, il chiacchiericcio di sottofondo di donne indaffarate, e i pizzi. Azzurri, verdi, viola, arancioni. Non pizzi qualunque, ma quelli che impreziosivano lingerie di alta gamma. Il fornitore è lo stesso stocchista che ha comprato gli scarti de La Perla, brand storico di corsetteria, nato nel 1954 a Bologna, nella cucina di una sarta.
Chiamata “forbici d’oro” per il talento con cui tagliava tessuti e sete leggerissime, Ada Masotti iniziò con poco ma riuscì a trasformare il “mestiere di creare bellezza” in un’azienda florida e conosciuta in tutto il mondo che quest’anno avrebbe dovuto festeggiare settant’anni. Anche le mani sono le stesse. Mani esperte, anzi iper-specializzate delle lavoratrici de La Perla che dal primo febbraio 2024 (fino al 31 gennaio 2025) sono in cassa integrazione. Da questi pizzi ritagliano sagome di bamboline che si tengono per mano formando un cuore che le unisce. Le applicano poi al centro di magliette in cotone bio e Fairtrade da aziende che rispettano i diritti dei lavoratori e pagano compensi giusti. Il marchio è altraQualità, cooperativa di commercio equo e solidale che ha deciso di sostenere il loro progetto.
“Abbiamo scelto questo logo perché esprime chiaramente il cuore della nostra battaglia iniziale per La Perla e quella che vogliamo portare avanti, come associazione”, dice Stefania Prestopino, da 21 anni grafica digitale per la comunicazione e delegata sindacale. Venticinque di quelle che erano più di trecento dipendenti dell’azienda hanno infatti deciso di costituire un’associazione con il nome UnicheUnite.
Ripercorrere la storia del simbolo che hanno scelto per accompagnare la loro lotta aiuta a ricostruire le fasi della crisi dell’azienda a partire dal 2018, anno in cui viene acquistata dal fondo anglo-olandese Tennor di proprietà del finanziere tedesco Lars Windhorst, già coinvolto in alcuni fallimenti societari e oggetto di indagine da parte degli organi di controllo finanziario di diversi Paesi. Una crisi non dovuta al calo della domanda, ci tengono a precisare le lavoratrici, che riportano che dal 2018 al 2023 le vendite sono state pari a 12 milioni all’anno.
Il 2018 è stato l’anno di acquisto de La Perla, fondata nel 1954 a Bologna, da parte fondo Tennor di proprietà del finanziere tedesco Lars Windhorst, già coinvolto in alcuni fallimenti societari e oggetto di indagine da parte degli organi di controllo finanziario di diversi Paesi
L’idea della catena di bamboline che si tengono per mano è stata infatti pensata la prima volta come decorazione per l’albero di Natale proprio di quel dicembre 2023 in cui la fabbrica di via Mattei ha spento le macchine e chiuso per le vacanze, per poi non riaprire più. “Ce lo aspettavamo e non ce lo aspettavamo. Molte hanno lasciato dentro gli occhiali e altri effetti personali -dice Elena Castano, modellista, con quella commozione che spezza un po’ la voce-. Dopo 32 anni di lavoro, anche quando è iniziato a mancare il primo stipendio (nel novembre 2023) mi sono detta, vedrai che arriverà. Poi ho cominciato a prender consapevolezza e a capire quello che stava accadendo mentre stava succedendo veramente”.
“Dopo 32 anni di lavoro, anche quando è iniziato a mancare il primo stipendio mi sono detta, vedrai che arriverà. Poi ho cominciato a prender consapevolezza” – Elena Castano
L’azienda infatti è stata fatta morire lentamente, a poco a poco, pezzo per pezzo. Con il passare del tempo non venivano più acquistate le materie prime e pagati i fornitori e di conseguenza non si lanciavano più nuove collezioni, l’ultima risale al 2021, tanto che la produzione andò avanti solo grazie alla professionalità e ingegnosità delle sue lavoratrici “le perline”: “Abbiamo inventato modelli di reggiseni senza ferretti, quando sono terminati i ferretti e modelli che si infilavano senza gancetti quando sono finiti anche quelli -raccontano-. Per tenere alto il morale dentro l’azienda abbiamo iniziato a realizzare le bamboline con gli scampoli di tessuto”. Nel frattempo i debiti si accumulavano e si moltiplicavano e i 150 negozi nel mondo iniziavano a chiudere per insolvenza. Non venivano più pagati i magazzini, la logistica, i sistemi informatici, la piattaforma eCommerce, la posta elettronica, il medico aziendale e la società di pulizie.
Fumetti per agire (clicca sull’immagine per leggere la storia illustrata da Chiara Piccinno)
La catena di bamboline inizia dunque a essere usata come simbolo nei cartelloni per protestare fuori dal tribunale durante la prima udienza del 15 dicembre 2023 che porterà pochi giorni dopo, il 19, al provvedimento di sequestro di tutto il patrimonio de La Perla Manufacturing, la parte dell’azienda che si occupa della produzione. “Non siamo numeri ma persone”, recitavano. Viene poi trasformata in gadget da vendere sempre in quella occasione e dopo in molte altre ancora, per finanziarsi sì, ma più che altro come pretesto per attirare le persone e spingerle ad ascoltare la loro storia: quella di una tradizione di competenze e professionalità che rischia di essere perduta per sempre e che necessita di essere salvaguardata.
La creatività non manca alle lavoratrici de La Perla, anche nel modo di portare avanti la loro causa e protestare. Già dal marzo 2023 avevano infatti deciso di denunciare la situazione di “congelamento” in cui si trovava l’azienda, “non attraverso lo sciopero, per evitare stop produttivi e ulteriori cali di retribuzione”, racconta Stefania Pisani, segretaria generale della Filctem Cgil, ma dandosi i turni in pausa pranzo per scendere in strada, davanti alla fabbrica: fare rumore, sbattendo coperchi di pentole, bidoni di vernice e suonando fischietti è il modo che hanno scelto per farsi sentire le operaie insieme alle impiegate.
“Questa lunga vicenda ci ha insegnato una cosa importante: da sole non si può fare nulla, insieme qualcosa si muove”, dice Prestopino. Il 2 settembre di quest’anno 28 lavoratrici sono infatti tornate in fabbrica e la produzione ripartirà gradualmente con una rotazione tra le duecento dipendenti rimaste. Un piccolo passo avanti verso l’obiettivo finale. La speranza è infatti quella che l’azienda venga presto riacquistata, questa volta da un imprenditore “serio”, come lo definiscono loro. Le prospettive però sono un po’ cambiate. Se inizialmente si manifestava per salvare La Perla, con il tempo si è compreso che la posta in gioco è molto più alta e non riguarda solo l’azienda per cui hanno lavorato la maggior parte di loro per più di trent’anni. La loro lotta è connessa infatti al tema della finanza speculativa che sta annientando l’economia reale. Oppure ancora all’esternalizzazione delle competenze e della produzione al solo fine di ridurre i costi, sfruttando regole meno rigide e condizioni di lavoro meno sicure all’estero.
“Questa lunga vicenda ci ha insegnato una cosa importante: da sole non si può fare nulla, insieme qualcosa si muove” – Stefania Prestopino
Queste stesse battaglie sono portate avanti, con modalità diverse, da altraQualità, organizzazione di commercio equo che dal 2002 si occupa di moda etica con una dozzina di partner in Asia, Africa e America Latina attraverso una filiera trasparente e garantita senza sfruttamento del lavoro. “La storia de La Perla è un’altra faccia dei problemi che oggi affrontiamo nel mondo dell’abbigliamento e del fashion, qui come dall’altra parte del mondo -dice David Cambioli, presidente di altraQualità-. È tutto strettamente connesso ed è emblematico di un sistema che non crea benessere, ma sfrutta i lavoratori e l’ambiente per creare profitti in maniera indecente. Il profitto non è un male in sé, lo è quando lascia un deserto invece che creare benessere diffuso e relazioni virtuose. Questo per noi sarebbe invece l’obiettivo di fare impresa”.
Nessuno sa se queste due realtà che appartengono a mondi e sistemi differenti si sarebbero mai incontrate altrimenti. È un dato di fatto che le componenti di UnicheUnite sono rimaste incuriosite “da quella parte di economia che riesce a lavorare in modo efficace ed efficiente scostandosi però dalla questione del profitto a tutti i costi”, come la definisce Cambioli. “Non conoscevo nulla di questo mondo, è proprio un’altra dimensione, ma ho scoperto che mi piace e anche molto”, racconta infatti Prestopino.
Paola Rinaldi, modellista, imbusta l’ultima maglietta che è stata decorata dalle sue colleghe. Dentro la confezione trasparente aggiunge un cartellino che racconta la storia di UnicheUnite, perché si capisca che non è una maglietta come altre. “Il fatto di stare tutte qua insieme ci ha permesso di affrontare questo periodo difficile -concludono ‘le perline’-. Chiacchieriamo, ci raccontiamo come abbiamo conosciuto i nostri mariti, ci conosciamo e ci confrontiamo,” e nel frattempo nascono nuove idee e alleanze. Non è grande come una fabbrica, ma c’è tutto quello che serve per andare avanti in questo piccolo spazio.
© Riproduzione riservata