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Le mani della ‘ndrangheta sugli enti locali e le loro risorse

© Markus Spiske - Unspalsh

Un campanello d’allarme alla luce della “messa a terra” del Pnrr. Il giudice Antonino Balsamo indica alcuni possibili interventi. La rubrica di Pierpaolo Romani

Tratto da Altreconomia 259 — Maggio 2023

Se può (e deve) esistere una politica senza rapporti con la mafia, non può certamente esistere una mafia senza rapporti con la politica. A certificarlo è stata la Direzione investigativa antimafia (Dia) nella sua ultima relazione riferita al primo semestre 2022, pubblicata ad aprile. Attestando come la ‘ndrangheta calabrese sia “l’assoluta dominatrice dello scenario criminale” anche al di fuori del territorio d’origine e all’estero, la Dia evidenzia come l’attività investigativa e dei prefetti abbia “disvelato l’abilità delle ‘ndrine di infiltrare le compagini amministrative ed elettorali degli enti locali al fine di acquisire il controllo delle risorse pubbliche e dei flussi finanziari, statali e comunitari, prodromici anche ad accrescere il proprio consenso sociale”.

Si tratta di un preoccupante campanello d’allarme di cui si deve tenere conto anche in vista della cosiddetta “messa a terra” dei progetti finanziati dal Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr). Dal 1991 a oggi, come evidenzia Avviso Pubblico, in Italia sono stati sciolti per mafia 281 enti locali, compresi due capoluoghi di provincia (Foggia e Reggio Calabria) e sei aziende sanitarie. Ben 76 Comuni sono stati sottoposti a questo procedimento più di una volta, in particolare nel Mezzogiorno, e non sono mancati casi nel Lazio e nel Nord del Paese.

La penetrazione delle mafie nella politica, in particolare in quella locale, divenuta sempre di più un importante centro di distribuzione di risorse, non è dovuta solo a un deficit di applicazione delle norme e dei controlli. Ma, scrive la Dia, anche a una “grave crisi valoriale che interessa ampie fasce di amministratori locali, funzionari della pubblica amministrazione e operatori economici che, sensibili al fascino del facile guadagno, si rendono disponibili a comportamenti collusivi e a pervasive pratiche corruttive”.

L’accumulo di ricchezza e di potere, attraverso l’esercizio della corruzione anziché attraverso il ricorso alla violenza, genera meno allarme sociale, distoglie l’attenzione dei media, ma distrugge dall’interno il tessuto democratico delle istituzioni, trasformando i diritti in privilegi, aumentando le disuguaglianze e riducendo la libertà civile, politica ed economica.

Sono 281 gli enti locali sciolti per mafia dal 1991 a oggi, compresi due capoluoghi di provincia (Foggia e Reggio Calabria) e sei aziende sanitarie. Ben 76 Comuni sono stati oggetto di questo provvedimento più di una volta, soprattutto al Sud

Di fronte a questo scenario che cosa è possibile fare? Importanti indicazioni vengono fornite da Antonio Balsamo, presidente del Tribunale di Palermo nel libro “Mafia, fare memoria per combatterla” (Vita e Pensiero, 2022) secondo cui un’antimafia efficace e concreta deve unire l’aspetto giudiziario a quello sociale poiché “in un sistema autenticamente democratico, la risposta alla criminalità non è monopolizzata dallo Stato, ma è affidata in parte anche alla stessa società civile”.

Un altro elemento indispensabile è il rafforzamento della cooperazione giudiziaria e investigativa a livello internazionale, così come richiamato da alcune convenzioni delle Nazioni unite che hanno colto “il pensiero anticipatore” di Giovanni Falcone. Un terzo elemento da considerare è l’armonizzazione della legislazione antimafia tra i vari Paesi.

Un pilastro fondamentale per la sconfitta delle mafie, secondo Balsamo, è puntare sull’attuazione di un “diritto penale mite”, che sappia “ricostruire un rapporto di fiducia con la società” e che veda nella lotta alla criminalità organizzata “un passaggio essenziale per garantire i diritti umani e le libertà fondamentali” nonché il “raggiungimento degli obiettivi di sostenibilità e la piena realizzazione dei principi dello Stato di diritto”.

Fondamentale, per Balsamo, è operare per mantenere saldo il connubio tra “diritto alla verità”, che spetta ai familiari delle vittime di reato, e “diritto alla speranza”, inteso come possibilità di cambiamento di vita anche da parte di chi ha commesso delitti efferati.

Pierpaolo Romani è coordinatore nazionale di “Avviso Pubblico, enti locali e Regioni per la formazione civile contro le mafie”

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